di Enrico Piovesana – giornalista esperto di spese militari
L’Italia spende oggi per la difesa 23 miliardi di euro l’anno, cioè 64 milioni al giorno, di cui oltre 5 miliardi l’anno in armamenti. Una spesa militare ingente nella media dei Paesi NATO (Stati Uniti esclusi) e in costante aumento, + 21% nelle ultime tre legislature. Spendiamo quindi molto, ma spendiamo male, in modo irrazionale e inefficiente, gran parte della spesa è infatti assorbita dai costi di una struttura del personale elefantiaca e squilibrata, fino al paradosso di avere più comandanti che comandati, cioè più anziani ufficiali e sottufficiali da scrivania che graduati e truppa giovane e operativa.
Continua invece a crescere a dismisura la spesa per armamenti di tipo tradizionale, + 75 % dal 2006: armamenti costosissimi, logisticamente insostenibili, e soprattutto non rispondenti alle reali esigenze di sicurezza nazionale, bensì agli interessi dell’industria bellica e della lobby politico-militare che la sostiene. Succede ad esempio con i carri armati, che l’esercito continua a comprare in quantità sproporzionata rispetto alle esigenze operative, e spropositata rispetto alle capacità di manutenzione, così che la maggior parte di questi mezzi finiscono ad arrugginire nei depositi, o cannibalizzati per i pezzi di ricambio. Oppure le nuove navi da guerra ordinate dalla Marina, una seconda portaerei, quando già mancano i soldi per il gasolio necessario a far navigare la prima, e altre 7 fregate lanciamissili che porteranno la flotta italiana a superare la potenza navale francese e ad eguagliare quella inglese (entrambe ricordiamo potenze nucleari). Per non parlare dei famosi i cacciabombardieri F35 che l’Italia continua a comprare -contrariamente ad altri Paesi NATO- nonostante i costi esorbitanti (14 miliardi per 90 aerei) e la loro inutilità rispetto alle reali esigenze di difesa aerea nazionale, denunciata anche da ex generali dell’Aeronautica Militare.
A fronte di queste spese da potenza militare di altri tempi, l’Italia è gravemente impreparata a difendersi dalle minacce concrete del presente e del futuro, dal terrorismo alla cyberwar. Se carri armati, navi da guerra e bombardieri non sono di alcuna utilità nel prevenire attentati, serve allora più intelligence sul territorio e online; per difendersi da attacchi informatici potenzialmente in grado di mettere in ginocchio un intero Paese servono investimenti massicci nella cyberdifesa, che oggi mancano completamente: appena 150 milioni nel 2016, nulla nel 2017, con personale e strutture militari dedicate il cybercomando italiano è ancora solo sulla carta. E’ a dir poco paradossale continuare a spendere miliardi in armamenti tradizionali, e nulla per prevenire e fronteggiare cyberattacchi che potrebbero mettere fuori uso tutte queste armi con un semplice virus.
Il quesito a cui dovrete rispondere e a cui corrisponde il mio approfondimento, è il seguente:
Nell’ambito di una revisione del modello di difesa, e a proposito degli strumenti d’arma, si dovrebbe:
A) tagliare i sistemi di armamenti prestamente offensivi, vedi F-35, destinando le risorse ad altri strumenti innovativi come la cyber security, le reti di intelligence e gli equipaggiamenti che vengono utilizzati per l’operatività dei militari;
B) Lasciare la programmazione per sistemi d’arma come attualmente pianificata della Difesa