Il futuro dell’economia UE

Draghi parla di competitività europea del suo ultimo rapporto pubblicato dalla Commissione Europea. 

Mi fa sempre piacere leggere documenti che descrivono come costruire il nostro futuro economico e sociale.

I punti che mi hanno interessato di più:

  • 800 miliardi sono tanti? Il piano arriva a ipotizzare una manovra di 800 miliardi l’anno per più anni (il doppio del Piano Marshall della fine della seconda guerra mondiale), con un debito comune europeo. Il programma post pandemico Next Generation EU (PNRR) ha un valore di 750 miliardi, ma è spalmato in 6 anni, quindi in media 125 miliardi di euro l’anno (con il Piano Draghi invece si prevede un investimento aggiuntivo di 5% sul PIL annuo, il piano Marshall era meno del 2%). Investire sul futuro è essenziale, tuttavia un indebitamento così grande richiede una discussione ampia per esser certi che la direzione sia giusta e voluta da tutti perché gli effetti (di indebitamento e svalutazione dell’euro) ricadranno sui prossimi decenni.
  • L’UE è già terza per PIL mondiale. Gli Stati Uniti producono il 26% del PIL mondiale, L’Europa e la Cina il 17%. Se il PIL si valuta per capacità di acquisto (in base ai prezzi del posto) vent’anni fa l’Europa era allo stesso livello statunitense, ma soprattutto oggi la Cina è prima avendo superato gli Stati Uniti già nel 2016.
  • Visione atlantista con dati asiatici. Emerge dai dati presentati una accelerazione e spesso un sorpasso cinese su molti fronti. La maggior parte delle comparazioni presentate sono tuttavia con gli Stati Uniti. Forse il benchmark è cambiato.
  • Costo energetico alto perché continuiamo con il gas. Una debolezza europea è il costo dell’energia che nei primi vent’anni di questo secolo erano stati contenuti di molto grazie al gas economico russo. Oggi paghiamo tra due e tre volte l’energia rispetto agli Stati Uniti e alla Cina e 4 volte il gas rispetto agli Stati Uniti e 50% in più della Cina.  Il gas conviene quindi solo a Russia e USA. Il resto del mondo guarda alle rinnovabili.
  • L’Italia più costosa in UE per l’energia. L’Italia si distingue come il Paese UE che compra l’energia più cara di tutti (128 euro per MWh vs. 51 euro in Svezia) e anche quello che utilizza più gas del suo mix energetico. Forse è ora di pensare ad un piano serio per le rinnovabili italiane.
  • Regimi sandbox per AI. Finanziare e fornire accesso ai supercomputer europei alle aziende AI meritevoli alle quali concedere un regime leggi sandbox per non regolare troppo presto questo settore. Concordo pienamente visto che oggi il “cost of Europe” per le aziende che vogliono investire in AI sono proprio le leggi troppo restrittive su tecnologie non ancora mature, motivo per il quale il 60% delle aziende lo vede come un limite per poter investire in Europa.
  • Prospettive di decrescita per l’Europa. Solo quattro delle top tech mondiali sono europee e la quota di mercato tecnologico europeo è passata negli ultimi vent’anni dal 22% al 18% (con gli Stati Uniti passati dal 30 al 38%).
  • Abbiamo puntato tutto sull’automotive. Il settore auto impiega 14 milioni di europei, la rivoluzione delle macchine elettriche potrebbe far perdere il 30% del mercato globale dei produttori europei. Forse dovremmo iniziare ad anticipare le rivoluzioni e non solo rincorrerle.
  • Non si investe abbastanza in UE. I gap di investimento per tutti gli stadi di impresa sono del 80% tra Stati Uniti e Europa. Se inoltre le prime tre aziende statunitensi con più investimenti in R&S sono evolute da quelle farmaceutiche negli anni 2000, a quelle di software e hardware negli anni ‘10 e in quelle digitali negli anni ‘20; in Europa sono sempre e solo quelle automobilistiche.
  • Gli europei sono meno produttivi. Alla fine della seconda mondiale avevamo in UE il 22% della produttività statunitense, grazie ai forti investimenti in innovazione siamo arrivati al 95% nel 1995. Oggi siamo caduti all’80%. Una situazione aggravata dal fatto che in UE è in decrescita anche la popolazione. Andando a vedere la produttività per settore si vede che il vero gap è nel settore tecnologico (in alcuni settori come il retail siamo più produttivi noi europei).
  • La produttività come soluzione alla demografia. Il rapporto vede la necessità di aumento di produttività per colmare la mancanza di 2 milioni di persone ogni anno a partire dal 2040 visto che facciamo meno figli, quando passeremo da un rapporto di 3 a uno tra lavoratori e pensionati, a 2 a uno. Quindi l’aumento della produttività europea dello 0,7% annuo della produttività che stiamo avendo non sarà più sufficiente. Non si stima l’impatto dell’AI che potrebbe ribaltare le necessità già nel breve termine e in molti settori vedere aumenti a doppia cifra.
  • Si valutano solo i nuovi lavori. Tra il 2022 e il 2035 si prevede la creazione in Europa di 2 milioni di nuovi posti di lavoro dalle innovazioni nei vari settori.
    Mi ha sorpreso il fatto che si sottovaluti così tanto la rivoluzione della produttività portata all’AI dove le stime di lavori impattati o sostituiti sono di un ordine di misura superiori a queste cifre e che potrebbero più che colmare la questione demografica.
  • Formazione continua. Il rapporto identifica molti skill gap evidenziando che molte ricerche di personale non trovano le persone (fino a oltre il 4% delle ricerche nell’hotellerie e nell’ICT). Come soluzione vede programmi di formazione continua finanziata dall’UE.
    Su questo concordo pienamente, anche se per le ragioni opposte.
  • Mi ha sorpreso non vedere analisi sul reale impatto dell’AI sull’economia (nonostante siano citati brevemente un paio di studi). L’AI è menzionata come una delle tante tecnologie sulle quali investire, ma non come un canale trasformativo dell’economia. Questo ovviamente porta con sé il fatto di non vedere la necessità di redistribuire la produttività che sta inserendo in molti settori e di sostenere le persone che ne saranno impattate.
    Inoltre l’AI è menzionata quasi esclusivamente come LLM, ma non tutto il layer applicativo che si sta sviluppando sopra. È un po’ come se negli anni ‘90 si parlasse di internet come economia dell’hosting e non si vedessero le potenzialità dei social media o dell’Ecommerce.

My two cents.