Viviamo in una realtà virtuale. In un Paese virtuale. Abbiamo un parlamento virtuale. Tribunali virtuali. Ospedali virtuali. Scuole virtuali. Informazione virtuale. Leggi virtuali. Lavoro virtuale. Doveri e diritti virtuali. Il cittadino, di conseguenza, si virtualizza. Per sopravvivere finge di vivere in un Paese reale. Come un sano in un manicomio. Quello che resta inspiegabile è come questo Paese virtuale riesca a tirare avanti. Ci si chiede per quanto tempo ancora ci riuscirà. Che cosa ci aspetta.
Quello che abbiamo già raggiunto è l’indifferenza. Se tutto è virtuale un uomo può morire di infarto in pullman a Torino e i suoi compagni continuare la gita a Sanremo. Se tutto è virtuale non c’è da preoccuparsi per l’occupazione della democrazia da parte dei partiti. L’economia del Paese è tenuta in piedi dalle rimesse mafiose. Se le mafie non investissero in Italia i loro guadagni, superiori al Pil, faremmo bancarotta. La disonestà si è fatta sistema. L’indifferenza un’abitudine.
L’Alitalia fallita non è una notizia. Gronchi e Geronzi condannati e subito reintegrati non sono una notizia. Telecom che spia i giudici non è una notizia. Quando il marcio non si può nascondere emerge la notizia. Se il marcio serve in una lotta tra bande è divulgato come notizia.
Ci sono è vero delle piccole vandee. Di gente che si incazza e scende in piazza. Sono per ora locali. Sono Vicenza, la Val di Susa, le città toccate dalla peste degli inceneritori. Sono sussulti di sopravvivenza di un organismo non ancora del tutto piegato. Viviamo in una realtà mediaticamente modificata. I partiti e i loro media ci ipnotizzano come un serpente con i conigli.
Domani, davanti allo specchio, pensateci un attimo. E iniziate la vostra giornata con un gesto per cambiare. E poi descrivetelo in questo post. Ne ho bisogno io. Ne hanno bisogno tutti i lettori del blog. Per ricaricarsi. Reset.