“Buongiorno a tutti.
Questo è l’ultimo appuntamento con il Passaparola del 2008, quindi è un’occasione per farci gli auguri e per raccontarci un paio di cose che oggi riguardano i processi e le indagini che stanno investendo in varie parti d’Italia il Partito Democratico e la sua reazione.
La reazione iniziale di Veltroni, va detto, era stata buona e civile, quella che ci si attende da un leader di una democrazia normale, e cioè massima fiducia nella magistratura, facciamo autocritica, poniamoci la questione morale, evitiamo i complottismi.
Poi via via col passare dei giorni siamo arrivati alle ultime esternazioni, che sono iniziate quando è stato scarcerato dagli arresti domiciliari Luciano D’Alfonso, sindaco di Pescara.
Allora la posizione del PD ha cominciato a declinare verso non dico una posizione berlusconiana ma molto vicino.
Nel frattempo, hanno pizzicato il figlio di Di Pietro e alcuni collaboratori campani di Di Pietro nell’inchiesta napoletana, dalle quali è risultato che il figlio e alcuni suoi collaboratori segnalavano amici per incarichi a questo provveditore per le opere pubbliche.
Non è reato segnalare amici per incarichi, è però malcostume, quindi bene ha fatto Di Pietro a tirare le orecchie a suo figlio.
Nel suo, come negli altri partiti, ci dovrebbe essere immediatamente l’intervento del collegio dei probiviri che esamina i casi non penalmente rilevanti – quelli li segue la magistratura – e decide sanzioni possibilmente tipizzandole e stabilendo in anticipo cosa rischia chi si comporta in un certo modo.
Non bastano le lavate di capo, ci vogliono anche i provvedimenti concreti, soprattutto in un partito che vuole presentarsi ai cittadini come un partito diverso dagli altri.
E’ chiaro che gli altri, non facendo mai niente, autorizzando anche chi vuole essere diverso a vantarsi di esserlo semplicemente in presenza di piccoli segnali, ma bisognerebbe cominciare a ragionare come se ci si trovasse non in Italia ma in Germania, negli Stati Uniti o in Inghilterra e infischiarsene del fatto che gli altri partiti non fanno nulla e cominciare a fare delle cose forti in casa propria.
Detto questo, abbiamo vari tipi di reazioni: se viene preso un politico di centrodestra è un complotto, se viene preso un politico di centrosinistra dipende dai giorni, dal tasso di umidità: rispetto per la magistratura, quasi complotto, complotto a metà.
Quando viene preso, sia pure non a commettere reati, qualcuno del giro di Di Pietro lui fa una sfuriata, alla quale però, come ho detto, dovrebbero seguire delle sospensioni temporanee o definitive dal partito a seconda della gravità dei comportamenti.
E’ interessante però un punto, e cioè chi deve decidere sugli arresti di un politico.
Perché su questo ci sono molte discussioni e in realtà non c’è motivo perché che ne siano.
Due avvenimenti degli ultimi giorni ci aiutano a capire bene come stanno le cose.
Voi sapete che fino al 1993, in base all’articolo 68 della Costituzione della Repubblica Italiana, il parlamentare non poteva essere nemmeno processato senza l’autorizzazione del Parlamento, tant’è che l’autorizzazione era per “procedere”.
Il magistrato era obbligato, quando riceveva una notizia di reato a carico di un parlamentare, a iscriverlo nel registro degli indagati e poi non più tardi di un mese dopo, se non ricordo male, doveva mandare l’incartamento alla camera di cui faceva parte il parlamentare e chiedere l’autorizzazione ad andare avanti nelle indagini.
Questo articolo 68 copriva i parlamentari anche dagli arresti, dalle intercettazioni, dalle perquisizioni, per cui non si poteva, senza il permesso del Parlamento, mettere in carcere – o meglio in custodia cautelare – o in altre misure cautelari tipo i domiciliari, il divieto di espatrio, l’obbligo di firma, un parlamentare.
E non si può nemmeno perquisirgli la casa o intercettargli il telefono.
Questa seconda garanzia è rimasta: ancora oggi non si può fare nessuna di queste cose al parlamentare. Invece si può indagarlo senza più il bisogno del permesso del Parlamento.
Ma sulla sua libertà personale, sul suo diritto a non essere intercettato, perquisito, arrestato, non è cambiato nulla.
Il politico che, invece, non sta dentro il Parlamento ma sta nel governo è sottoposto alla giurisdizione del Tribunale dei Ministri se il reato che gli viene contestato è collegato con la sua attività ministeriale. Se non è un parlamentare il ministro può essere arrestato, naturalmente, anche se è raro il caso di ministri tecnici non parlamentari, almeno per quanto riguarda quest’ultimo governo.
Se invece uno non è nemmeno ministro è sottoposto alla giurisdizione normale: se uno è sindaco, per esempio, non ci sono problemi. Presidente di regione idem.
Dico questo perché recentemente i magistrati hanno chiesto l’autorizzazione al Parlamento per poter arrestare un deputato ex Margherita, ora PD, della Basilicata, Salvatore Margiotta, e hanno invece arrestato ai domiciliari l’ex sindaco di Pescara, Luciano D’Alfonso, sempre ex Margherita e ora PD.
Il primo è accusato di avere ricevuto o comunque di essersi fatto promettere 200.000 euro per un appalto petrolifero in Basilicata, Margiotta.
L’altro, cioè D’Alfonso, è accusato di vari episodi di corruzione o finanziamento illecito per avere fatto fare gratis dei lavori in due sue abitazioni da imprese che poi hanno vinto appalti o avuto incarichi nella sua amministrazione, per costruire cimiteri o fare altre opere pubbliche, e per essersi fatto pagare l’auto blu e l’assistente da un imprenditore privato: Carlo Toto, il proprietario dell’AirOne, abruzzese anche lui.
L’accusa dice che il sindaco girava con un autista portaborse su una Lancia di alta cilindrata, che non erano a spese sue o dell’amministrazione ma a spese di questo simpatico imprenditore, che evidentemente aveva investito su questo sindaco facendogli questo genere di favori in cambio di, ipotizza l’accusa, altri favori.
Queste sono le due vicende: uno è finito dentro perché è sindaco e non ha nessuna protezione, l’altro non è finito dentro perché quando i giudici hanno chiesto l’autorizzazione ad arrestarlo la giunta delle autorizzazioni a procedere della Camera ha negato l’autorizzazione.
Ed è interessante vedere le motivazioni perché, come vi ho detto, è vero che il Parlamento può negare l’autorizzazione all’arresto, alla perquisizione o alle intercettazioni.
Pensate, bisogna chiedere al Parlamento persino il permesso per intercettare un parlamentare, così lo si avverte preventivamente e lui, ovviamente, su quel telefono, se non è proprio stupido, non parla più.
In ogni caso qui ci interessa la richiesta di autorizzazione alla custodia cautelare; peraltro lo volevano mettere ai domiciliari, non in carcere. Semplicemente lo volevano isolare, ritenendo che possa inquinare le prove, cioè concordare versioni di comodo con le persone indagate con lui per avergli, nell’ipotesi accusatoria, promesso o dato dei soldi.
Il Parlamento può negare l’autorizzazione all’arresto soltanto se dimostra che questa richiesta di autorizzazione non dipende da elementi di indagine normali ma dalla volontà persecutoria del magistrato nei confronti del parlamentare.
In questo caso la volontà persecutoria dovrebbe essere non soltanto del PM che chiede gli arresti ma anche del giudice che poi li accorda.
Ci dovrebbero essere, a Potenza, un GIP e un PM che ce l’hanno con Margiotta e lo vogliono mettere in galera per fini di persecuzione politica: questa è l’unica ragione per cui il Parlamento può dire di no.
Perché a decidere sulla gravità delle accuse e sull’esigenza di tutelare l’indagine con gli arresti di una persona deve essere il giudice, infatti il giudice ha già arrestato alcuni dei presunti complici di questo Margiotta, che non avevano la fortuna di essere parlamentari.
Dato che i fatti sono gli stessi o li arresti tutti o non ne arresti nessuno.
In ogni caso, Woodcock – il PM – e il GIP di Potenza hanno ritenuto che Margiotta debba stare agli arresti domiciliari: bisognerebbe dimostrare che ce l’hanno con Margiotta.
In Parlamento manco si sono posti il problema, anzi hanno escluso quasi tutti coloro che si sono espressi in giunta per le autorizzazioni che ci sia una persecuzione giudiziaria ai danni di Margiotta, eppure hanno detto di votare no.
L’unico che ha detto che voterà sì è l’Italia dei Valori.
Perché vi rendiate conto: cito dal verbale della seduta che si è tenuta in giunta per le autorizzazioni a procedere il 17 dicembre, una settimana prima di Natale.
Destra e sinistra si ritrovano amorevolmente insieme.
Il relatore, nonché presidente della giunta, è Castagnetti, compagno di partito di Margiotta, ex Margherita ora PD. Prima curiosità.
Castagnetti riassume molto puntualmente tutta la vicenda petrolifera con la presunta promessa di tangenti a Margiotta.
Notate che io non conosco Margiotta, non ho la più pallida idea se sia giusto o meno mandarlo in galera: sia chiaro, non ho nessun interesse e non me ne importa niente.
Stabilisco un principio: è il giudice che deve decidere se Margiotta e i suoi complici presunti tali devono finire ai domiciliari oppure no.
Gli altri ci sono finiti, Margiotta no perché è un Mandarino della Casta.
Allora vediamo con quali motivazioni gli hanno dato questo privilegio.
Parla Margiotta, il quale dice che potrebbe dimostrare il fumus persecutionis perché Woodcock non è la prima volta che si occupa di lui.
Cioè, secondo lui è una persecuzione il fatto che un magistrato a Potenza si occupi più di una volta di un politico.
Sarebbe come dire, mutatis mutandis, che ogni tanto c’è un tipo che viene preso perché scippa le vecchiette e la terza volta che lo prende lo stesso poliziotto dicesse: “ah ma lei ce l’ha con me, è la terza volta che mi prende!”. E l’altro, giustamente, potrebbe dire: “ma se lei smettesse di scippare le vecchiette…”.
Secondo lui il fatto che Woodcock si sia già occupato di lui in altre inchieste non è sinonimo del fatto che lui tiene dei comportamenti border line, ma del fatto che Woodcock ce l’ha con lui. E’ fantastico come ragionamento!
Dice: “Sempre il dott. Woodcock, in altro procedimento, avanzò richiesta al GIP di inoltrare alla giunta altre conversazioni telefoniche riguardanti me…”.
Tra l’altro questo Margiotta, che opera e viene eletto in Basilicata, a Potenza ha la moglie che faceva il Capo della Squadra Mobile, cioè che teoricamente avrebbe dovuto indagare su di lui: immaginate il conflitto di interessi.
Questa sarebbe la separazione delle carriere da fare: il parlamentare non può avere la moglie Capo della Polizia nel posto dove svolge le sue funzioni.
Si potrebbero separare queste carriere, le hanno separate dopo queste indagini, naturalmente, non prima.
Quindi Margiotta dice: “potrei dire che c’è il fumus persecutionis, ma sono un signore e non lo dico.
Potrei dire che ce l’hanno con me, ma sono un signore e non lo dico.
Preferisco dire – meno male – che non ho preso tangenti”.
Interviene Brigandì, della Lega. Notate che questi sono quelli che nel ’92-’93 sventolavano le forche.
Adesso nessuno vuole le forche, per carità: si vorrebbe semplicemente che difendessero il principio “La legge è uguale per tutti” e “Gli arresti li decide il giudice e non l’interessato”.
Brigandì è fantastico… leghista eh!
Chiede a Margiotta: “Lei ritiene che la vicenda sia caratterizzata da un fumus persecutionis nei suoi confronti?”.
Risposta di Margiotta: “Si.”.
Fantastico, è l’autocertificazione: il fumus persecutionis lo fanno decidere dall’interessato.
A questo punto interviene – seduta successiva, 18 dicembre, hanno lavorato troppo, si ritrovano il giorno dopo esausti da questa prima audizione – Paniz, del Popolo delle Libertà, e dice: “La linea seguita dalla nostra parte politica è stata e sarà costante, a prescindere dall’appartenenza dei deputati interessati.
Il nostro schieramento sarà sempre a guardia delle garanzia di libertà che la Costituzione e la legge assicurano ai parlamentari e ai cittadini”.
Ai cittadini un par di palle, come si direbbe in inglese raffinato, perché queste sono garanzie che si danno ai parlamentari.
Il cittadino non può rivolgersi alla giunta della Camera per farsi tutelare, il cittadino finisce in galera e basta.
Lui si vanta: “orgoglio di appartenere a uno schieramento politico…” che ogni volta che il giudice chiede di procedere nei confronti di un parlamentare risponde sempre di no, a prescindere dal colore così non ci sbagliamo.
Questo è l’ottimo Paniz di Forza Italia.
E dice che “la libertà personale può essere limitata solo in caso di pericolo di fuga o di circostanze che possono mettere a repentaglio la genuinità delle prove”.
E in effetti proprio per questo si chiede di mettere Margiotta ai domiciliari, ma Paniz dice: “nel caso dell’On. Margiotta mi sembra evidente la carenza di questi presupposti”.
Decide lui: invece del giudice, i presupposti per la custodia cautelare li decide Paniz.
Antonio Leone, sempre Popolo della Libertà, va anche oltre. Dice – sentite questa che è meravigliosa – che Woodcock non è nuovo a iniziative di questo genere, è un persecutore di politici.
Già in passato ha indagato su politici e questo, secondo lui, è già un indice di devianza. Poi aggiunge: “Il Woodcock avanzò altresì domanda di utilizzo di intercettazioni telefoniche di conversazioni tra il Margiotta medesimo e la di lui moglie, in barba al motto popolare per cui ‘tra moglie e marito non mettere il dito'”.
Questi sono atti parlamentari, sono parlamentari della Repubblica che rappresentano noi e che citano dei proverbi per dire che non bisogna arrestare o intercettare una persona.
C’è un’indagine sulla moglie, capo della Mobile di Potenza, dell’On. Margiotta. Woodcock giustamente manda le telefonate perché quando coinvolgono il marito bisogna chiedere il permesso al Parlamento, se il marito è parlamentare.
Bene, secondo Leone se una moglie indagata parla con il marito bisogna interrompere le intercettazioni perché lo dice il proverbio: “tra moglie e marito non mettere il dito”.
Questi sono grandi giuristi, grossi giureconsulti. La prossima volta dirà “tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino” oppure “campa cavallo che l’erba cresce”… cose del genere.
“Finiamola con questi processi, se il processo dura da un anno lo chiudiamo perché campa cavallo che l’erba cresce”.
Uno potrebbe fare di tutto con i proverbi, questo usa un proverbio per dire la sua stronzata, dato che non gli veniva in mente nessuna massima giuridica.
Ma andiamo a Pierluigi Mantini, Partito Democratico, il quale naturalmente accusa i giudici di disinvoltura, non il Margiotta.
“I giudici sono di una disinvoltura incredibile” e poi aggiunge che bisogna riflette sull’anomalia italiana per cui un avviso di garanzia si trasforma immediatamente in una condanna definitiva.
Questo non so dove l’abbia letto, ma tutti sanno la differenza che c’è tra un avviso di garanzia e una condanna definitiva.
Qui peraltro c’è una richiesta di arresto alla quale lui vota no, e conclude il suo intervento dicendo che bisogna riequilibrare il rapporto fra magistratura e politica, facendo pagare ai magistrati nei casi di colpa grave.
Dopodiché, quando la procura di Salerno va a vedere i reati della procura di Catanzaro, questi invece di applaudire e dire “bene, finalmente i magistrati pagano in caso di loro colpe”, se la prendono con la procura di Salerno perché ha innescato una guerra fra procure.
Guardate che sono singolari, questi signori.
Interviene Luca Rodolfo Paolini, un altro leghista, uno che dovrebbe difendere la trasparenza, “La legge è uguale per tutti”.
“Mi ha colpito l’incongruenza per cui viene chiesta oggi una misura cautelare per fatti avvenuti tra il dicembre 2007 e il gennaio 2008”.
Gli sfugge che prima i fatti succedono, poi il magistrato li deve scoprire, poi quando li ha scoperti prende la decisione di chiedere l’arresto di una persona, poi lo chiede al GIP, poi nel frattempo passano le vacanze, poi il GIP risponde e lo mandano alla Camera.
E alla Camera cosa fanno? Cincischiano, invece di essere veloci, e continuano a rimpallare la cosa.
Tenete presente che quando si fanno le cose subito si dice: “ma perché l’hanno chiesta subito senza esaminare bene gli atti?”.
Quando invece esaminano bene gli atti dicono: “ma perché ce lo chiedete dopo?”.
E quando, alla fine, qualcuno dice “state impedendo l’arresto di un parlamentare” loro rispondono: “ma se il magistrato non è d’accordo, può sollevare davanti alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato”.
Cioè: per riuscire ad arrestare questa persona che nell’ipotesi di accusa deve essere arrestata, magari vai a fare un ricorso alla Corte Costituzionale che si pronuncerà fra un anno o due.
Ma a questo signore, che ha tanta fretta, non viene in mente.
Alla fine interviene Formisano, di Italia dei Valori, e dice che loro voteranno a favore dell’arresto, e rimane l’unico come, del resto, fa sempre Li Gotti nella giunta del Senato.
Donatella Ferranti, del PD, dice: “chi pensa all’esistenza di un complotto o a trame eversive sarebbe in errore”. Bontà sua, dice che non c’è ma a questo punto interviene Giachetti, sempre del PD, che dice: “i parlamentari, fino a prova contraria, sono tutti onesti”.
Qui si sta discutendo di uno che è accusato di cose e l’altro dice che, per definizione…
Antonio Leone interviene e se la prende con questa povera Ferranti per aver detto una cosa sensata, cioè che qui non c’è nessun complotto. Dice: “lei parla in qualità di deputato o di magistrato?”.
Se parlasse in qualità di magistrato sarebbe un brutto personaggio.
Notate che stanno parlando di un indagato che dev’essere arrestato e stanno salvandolo, no?
Quando qualcuno dice che non c’è un complotto, si alza un altro e dice: “ma lei parla come un magistrato! Si vergogni!”, come se avesse detto che bisogna andare a rubare.
E, infine, Antonino Lopresti, sempre del PDL, dice: “nessuno finora ha parlato di complotti, ma il Parlamento deve pur tutelarsi dalle iniziative estemporanee della magistratura”.
Eh già, peccato che non si possa tutelare dalle iniziative della magistratura, il Parlamento, salvo che non ci sia la prova di un complotto, cioè di una persecuzione politica.
Questi dicono: “non c’è il complotto, ma l’autorizzazione non la diamo lo stesso”, cioè confessano di abusare dell’articolo 68 della Costituzione.
Anche la Samperi, del PD, dice: “non mi pare che esistano i presupposti per la misura cautelare” e anche questo non lo può dire, perché i presupposti li decide il giudice, loro devono decidere solo se c’è o non c’è la persecuzione.
Poi interviene un altro bell’elemento, un certo Vittorio Belcastro della MPA, il partito del governatore della Sicilia Lombardo, il quale dice che c’è una piaga nazionale.
Uno dice la corruzione? No, “il protagonismo della giustizia penale che, quindici anni fa, ha portato alla fine di un’era”. Pensate, questo rimpiange ancora Andreotti, Craxi, Forlani…
Ha colto l’occasione di lacrimare in diretta per cotante perdite di quindici anni fa.
Pierluigi Castagnetti, presidente e relatore, tira le somme e dice anche lui una cosa che non potrebbe dire, cioè che il quadro indiziario appare limitato e frammentario.
I politici giudicano se le prove sono sufficienti o no, esattamente quello che non potrebbero fare.
L’altro caso, e così andiamo a conclusione, è quello del sindaco di Pescara.
Voi sapete che viene interrogato in segreto dieci giorni prima delle elezioni regionali, in Abruzzo.
Gli sciorinano davanti gli elementi di accusa su quei lavori da parte di imprese che vincevano poi gli appalti.
Sul fatto che circolava su una macchina con autista pagati da un imprenditore privato che, gentilmente, glieli aveva messi a disposizione.
Che aveva ricevuto dei finanziamenti per il partito della Margherita da gente che poi otteneva incarichi e commesse dalla sua giunta.
Lui si rende conto, evidentemente, che c’è qualcosa che non va, tant’è che annuncia ai magistrati che si dimetterà dopo le elezioni.
I magistrati lo arrestano la sera stessa delle elezioni, dopo che si sono chiuse le urne per non influenzare il voto.
Lui si dimette, anche perché il sindaco arrestato è automatico che poi la giunta cada e venga commissariato il comune.
Si va di nuovo a votare, non è un bel gesto che fa lui, è un gesto che sarebbe stato imposto dopo qualche tempo.
In ogni caso se ne va, a quel punto i magistrati fanno un giro di interrogatori per mettere al sicuro le versioni dei vari personaggi e, alla vigilia di Natale, scarcerano D’Alfonso – ripeto, era agli arresti domiciliari non in galera, ma a casa sua – per le feste di Natale.
Un giornalista, D’Avanzo, scrive che i magistrati si sono smentiti, rimangiati l’ipotesi accusatoria che è crollata, che c’è stata leggerezza da parte del Pubblico Ministero e del GIP.
Francamente, non si capisce quale ordinanza di quale giudice abbia letto questo signore, perché basta leggere l’ordinanza per rendersi conto che è stato scarcerato perché si è dimesso da sindaco e non può più inquinare le prove e ripetere reati della stessa specie.
Se non è più sindaco non può più dare appalti, ovviamente.
Certamente si guarderà bene, pensano i giudici, dall’avvicinare persone per concordare versioni di comodo.
Invece, basandosi su quell’anticipazione giornalistica farlocca, anziché leggere l’ordinanza, intervengono politici del PD e purtroppo cominciano a strillare alla maniera vagamente berlusconiana.
Veltroni dice: “è un fatto gravissimo”; Tenaglia, ministro ombra del PD per la giustizia, dice: “è un fatto grave, è necessaria più prudenza nell’arrestare i politici, perché poi ci sono conseguenze gravi come le dimissioni del sindaco di Pescara”.
“Quando si prendono queste decisioni ci vuole prudenza, i magistrati facciano presto”, eccetera.
Poi interviene l’ottimo Violante, che ormai è diventato una specie di consulente del centrodestra, parla come un Alfano o un Gasparri qualunque: “non esistevano le ragioni per le quali è stato arrestato il sindaco di Pescara, credo ci voglia molta prudenza perché il sindaco di Pescara e la giunta sono caduti per ragioni, a quanto pare, insussistenti”.
Il centrodestra, ovviamente, è entusiasta perché dice: “finalmente anche voi attaccate i giudici, finalmente siete come noi, finalmente rubate anche voi e poi attaccate i giudici, siamo tutti uguali, mettiamoci d’accordo” per la controriforma.
Il giudice che cosa ha scritto? Ha scritto che l’ha scarcerato perché le accuse erano venute meno? Manco per sogno!
L’ordinanza la trovate sul nostro blog, voglioscendere.it: “in relazione al D’Alfonso, in termini di gravità indiziaria, il quadro accusatorio già integralmente condiviso dal GIP – questo scrive il GIP nell’ordinanza che toglie gli arresti domiciliari all’ex sindaco – nel momento dell’adozione delle misure cautelari rimane, nel suo complesso, confermato e anzi sotto taluni aspetti rafforzato, sulle due principali vicende di corruzione e sull’associazione per delinquere.
Le acquisizioni successive all’interrogatorio del sindaco hanno in gran parte eliso – cancellato – il valore del suo costituto difensivo” cioè la sua difesa è crollata di fronte a quello che è venuto fuori dopo il suo arresto.
Anzi, hanno fatto bene a metterlo ai domiciliari perché appena l’hanno messo ai domiciliari sono riusciti a interrogare e a trovare della roba che ha fatto crollare la sua linea difensiva.
Questo dice il GIP.
“L’interrogatorio del Paolini – il portaborse pagato da Toto – ha offerto piena conferma dell’impianto accusatorio in relazione al fatto che Paolini era una sorta di assistente del sindaco stipendiato da Toto e fornito di autovettura di alta gamma” senza che sia possibile documentare quali prestazioni abbia svolto per l’imprenditore Toto questo Paolini.
Lavorava pagato da Toto per il sindaco.
“Ribadita la gravità del quadro indiziario, come originariamente nell’ordinanza, occorre a questo punto farsi carico delle sopravvenienze intervenute in relazione al pericolo di inquinamento probatorio ascritto al D’Alfonso.
Le preannunciate e poi effettivamente eseguite dimissioni costituiscono un’apprezzabile sensibilità istituzionale e il commissariamento del comune determina un ulteriore indebolimento della rete di rapporti intessuti dal D’Alfonso nell’esercizio della propria attività politico amministrativa e della sua conseguente capacità di manipolare persone informate e documenti.
Quanto alla possibile costituzione di tesi difensive di comodo – mettersi d’accordo con altri – va rilevato che esse sono già state in parte disvelate – cioè si è già scoperto che D’Alfonso s’era messo d’accordo per concordare versioni di comodo con altri, che però quando è stato arrestato hanno confessato che quello che avevano detto era falso, fatto per difendere se stessi e lui -.
E comunque il dettagliato sviluppo del costituto difensivo del sindaco – e i confronti già fatti con altre persone coimputate con lui – alla luce della notevole mole di materiale acquisito, rende meno probabili ulteriori manipolazioni delle prove”.
Per questi motivi il GIP revoca le misure cautelari applicate a carico di D’Alfonso.
Questo c’è scritto nell’ordinanza, come si fa a dire che sono crollate le accuse, che non lo dovevano arrestare?
Qui si dice il contrario: loro dicono “hanno fatto dimettere una giunta in base a fatti insussistenti”.
In realtà è il contrario! Il giudice dice che i fatti sono sussistenti e proprio grazie al fatto che il sindaco e la giunta si sono dimessi si possono togliere gli arresti all’ex sindaco, proprio perché è diventato ex.
Se non si fossero dimessi, cioè se non fossero stati arrestati, oggi non sarebbero stati scarcerati.
Se D’Alfonso fosse ancora al suo posto sarebbe ancora agli arresti.
Vedete come si falsificano le cose, forse sarebbe meglio leggerle le ordinanze, sono anche 8 pagine, è abbastanza facile, ce la possono fare anche i nostri politici e certi nostri maestri di giornalismo.
Naturalmente, tutto ciò viene usato da Berlusconi per abbracciare il centrosinistra nella speranza che lo coprano sulla legge sulle intercettazioni che ha di nuovo minacciato in questi giorni.
Perché la legge sulle intercettazioni è molto impopolare, la gente le vuole le intercettazioni per i potenti!
E dato che riguardano soltanto i delinquenti e i potenti che hanno rapporti con i delinquenti, perché un cittadino normale non rischia certamente di essere intercettato o il rischio è infinitesimale, è evidente che la gente le intercettazioni le vuole anche e soprattutto per questi reati.
Come ci sono in America, vedi l’arresto del governatore dell’Illinois.
Berlusconi ha bisogno della copertura del centrosinistra, perché se ha Di Pietro e il PD che tuonano contro questa legge la gente che vuole più sicurezza e più legalità comincerà a rendersi conto che Berlusconi ha un conflitto di interessi giudiziario che rende impossibile la sicurezza.
Infatti, vuole distruggere uno strumento fondamentale come le intercettazioni.
Ecco perché bisogna impegnarsi, in questo anno, a far sapere ai parlamentari del centrosinistra ma anche di quel centrodestra che ancora non ci sta – sapete che sulle intercettazioni la Lega e una parte di AN non ci vogliono stare -, bisogna rafforzare le posizioni di chi vuole fare opposizione sia all’interno della maggioranza di centrodestra sia, ovviamente, nei banchi della minoranza.
L’unico modo è quello di scrivere ai rappresentanti parlamentari, intasare le loro caselle di posta elettronica – se andate sul sito di Camera e Senato le trovate tutte – per far sapere: “noi non vi votiamo più se vi rassegnate o non contrastate questo devastante progetto sulle intercettazioni, contro la sicurezza dei cittadini”.
Questo è l’augurio che vi faccio: che prendiamo in mano la situazione ciascun cittadino singolarmente e tutti collettivamente.
Che ci facciamo carico del principio di eguaglianza, facciamo sapere loro che vogliamo ancora essere tutti uguali di fronte alla legge senza nessuna eccezione.
E speriamo di ritrovarci, questo è l’unico augurio che mi sento di fare, fra un anno a festeggiare la nascita del 2010 in un Paese dove la legge è ancora uguale per tutti.
Passate parola. Auguri.”
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