“Credo che pagando le tasse paghi soprattutto una tassa, una autorizzazione, magari modesta, lo vediamo oggi, meschina, mediocre, ma a non dovere nulla al politico verso cui ti getterai, verso cui potrai anche esprimerti in modo selvaggio, troppo duro, perché tu hai dato quello che era necessario per una politica, quello che era necessario per una spesa, mentre il controllo di essa non esiste assolutamente, quindi è già una intenzione pia. Però devo dire che sentirlo dire così, questa suddivisione in chi paga le tasse e chi non le paga, fa subito venire voglia di evadere, ma non le tasse, di evadere da questo polarismo, che è peggio ancora di quelli precedenti, è più ideologico. A questo punto diventa indifferente per quale motivo si cerca di avere soldi, per quale motivo non bisogna andare in banca rotta, è un motivo puramente conservativo.
Provare a immaginare modelli in cui si perde qualche cosa, anche molto, ma guadagnando ovviamente in un altro settore, sono cose che valgono bene il sacrificio che invece stiamo facendo tutti, ma non in questi anni di crisi, il sacrificio che ha permesso al mondo di arrivare a questa crisi in modo così facile, perché non è arrivato a questa crisi, se l’è trovata di fronte, se l’è trovata di fronte che vuole dire specularmente se l’è trovata dentro di sé.” Enrico Ghezzi
Il Passaparola di Enrico Ghezzi, critico cinematografico, scrittore, autore e conduttore televisivo italiano.
Demonizzazione facile della merce e dell’involucro (espandi | comprimi)
“Questo è un pezzo che avevo scritto per il Corriere della Sera del 7 dicembre 1993, ci sarà qualche taglio, era uscito così e il titolo era, il titolo messo sul giornale mio era: Tremate, Tremate, è tornato il Beppe Parlante.
Non è proprio un caso, anzi è un bel caso, che il discorso show di Beppe Grillo in tv, RAI Uno, sia avvenuto in giorni di fermento elettorale, elezioni mutate, polarizzate per legge, nel caso dei sindaci, intorno a singole volti e personaggi, e culminate nell’incredibile successo dei faccia a faccia. Il trionfo finale di Grillo, più di 14 milioni di spettatori, può apparire stupefacente, anche se è la manifestazione ultima e più chiara di una tendenza televisiva e non di tutta la società italiana. Crollata almeno in effige la autonomia politica, privatasi di qualunque credibilità la retorica politica, di cui oggi più che mai ci sarebbe bisogno, trionfano altri leader e altre parole retoriche.
Da Adriano Celentano, il grande precursore televisivo fino dai tempi di Fantastico e l’anno scorso su RAI Tre, a Paolo Rossi, da Paolo Villaggio a Francesco De Gregori editorialisti per l’Unità, ma non è neanche questione di esposizione televisiva: piacciano o non piacciano i loro film o la loro musica Nanni Moretti e Franco Battiato oggi sono punti di riferimento retorico politico di moltissime persone, ben più di Occhetto, Bossi o Rutelli o Fini, ma anche più di quanto sia mai stato un artista come Fellini. E per retorica non si intende qui la verbosità del retor ipocrita, ma la capacità di lanciare e liberare parole Il più bello slogan del ’68 francese fu il situazionista “vogliamo parole, non fatti“, una sventura italiana fu il prevalere del politicismo tattico di conservazione del potere da una parte e il brutale passaggio terrorista alla retorica dei fatti dall’altra, mentre Berlinguer inventava geniali, provocatorie, parole retoriche come compromesso storico e austerità.
Poi Tienanmen, alla fine degli anni ’80, fu il trionfo mediatico di una pura presa di parola che riempie la piazza vuota del potere e viene dinamizzata dalla retorica della diretta CNN.
Ed eccoci sul finire di questo 1993 al grandioso successo di Grillo, un colossal di ascolto, uno spettacolo semplicissimo, povero, una persona che parla, è interessante come si arrivi anche economicamente a questo, il grande personaggio, per quanto costi, è infinitamente meno costoso della puntata di un varietà medio, da Arbore a Celentano a Grillo, artisti, autori e dirigenti televisivi si orientano verso il singolo evento in due o tre puntate, dove il personaggio si mette in scena da se, esibisce appunto solo la propria storia, la propria forza retorica.
[…]Nulla di nuovo parrebbe dal punto di vista del linguaggio, nessuna ricerca televisiva, in realtà una “one man television“, che per ora, anche pericolosamente a senso unico, è quanto di più vicino ci possa essere all’idea di una tv futura dell’intervento diretto dei singoli cittadini o spettatori.
Una tv che ha imparato da quel prolungamento e trasformazione della realtà che sono stati e sono certi programmi di RaiTre, da Un giorno in pretura a Chi l’ha visto?, dai programmi di Santoro a Chiambretti a Blob, ma la tv è ancora vista e considerata una trasmissione e come trasmissione di qualche cosa di preesistente, immagini, valori, il successo dello show di Grillo oltre che liberatorio può apparire inquietante.
Demonizzazione facile della merce e dell’involucro, appello al risparmio, certo neanche la RAI ha più un soldo, e nessun accenno alla astuzia pervasiva del capitale, a quanto la società di oggi si basi sulla produzione di puro plusvalore immaginario.
Prudenza nell’intaccare il proprio piedistallo televisivo, quanto costano le parole di un uomo, quanto valgono? Forse meno dell’acqua minerale! E quanto costa ascoltare in pubblico, infine, venduta la parola di un Grillo che denuncia i prezzi assurdi? Grande attacco alla pubblicità e grande pubblicità per se stesso.
Del resto Grillo aveva inventato un sublime spot della Yomo, lui immobile e Muto, sguardo in macchina, con la scritta pubblicità telepatica.
Non si può avere tutto in tv, non si può attaccare tutto, servono ancora valori per permettere i faccia a faccia, dove volti e corpi si scontrino e ci vengono addosso mille volte.
Aspettiamo qualcuno che venga in tv, ci guardi, ci chiami, incroci le braccia, ci faccia ascoltare intensamente il suo nulla, infine senza nulla proporci.”
Il sacrificio per la Crisi(espandi | comprimi)
Non so perché ho letto questo, se risponde allo spazio che mi proponete di occupare, e non credo di avere mai occupato uno spazio televisivo, di sicuro non volontariamente, sono, sarei per dire siamo, ma mi assumo la responsabilità individuale e soggettiva di avere forse anche imposto a altri, ma non in modo violento, ma in modo automatico, credo molto nell’automatismo, e anche con quello televisivo, quello artistico, e la vita è automatica in qualche modo, tutto quello che si trascina o che va avanti bene da solo e da cui possiamo trarre, cercando, trovando, attivando certe attenzioni, proprio la nostra situazione media di vita.Dicevo ho sempre praticato una sorta di monachesimo dello spazio, ovvero di, ribadisco, contenimento della crescita e possibilmente addirittura della riduzione di uno sviluppo, e già ci siamo noi, come persone, che crescono, in maniera che non ci entusiasma a priori, diciamo, e quindi perché mimare questa crescita diciamo naturale, la sappiamo bene che la crescita poi può essere cancerogena e non meno naturale, quindi non si tratta di bene male in questo campo, ma di sicuro l’intensificarsi dei livelli di occupazione di qualche spazio, per esempio lo spazio televisivo, per esempio lo spazio retorico, lo spazio di parola. È più grave che occupare una piazza? Di cui ci rendiamo subito conto, ma invece è una sorta di sviluppo pervasivo e di inevitabile imperialismo in qualche modo, imperialismo delle immagini, imperialismo del proprio potere sulle immagini, del proprio potere retorico o contro la retorica, personalmente uso il termine retorica in senso largamente positivo, ribadisco, credo che ci manchi retorica.
Ora anarchicamente un po’ da situazionista isolato e isolato voglio dire non in gruppo, non vuole dire isolato per qualche motivo dagli altri, ma non ho veramente mai voluto convincere qualcuno, forse neanche con l’esempio, che poi è il modo se vogliamo migliore, quello che testimonia di più, ma non riesco a reggere negli altri, figuriamoci in me stesso, il discorso ideologico, ovvero il discorso che si autogiustifica, che fornisce uno schema, spesso tranquillizzante, è il tipico discorso delle grandi e piccole religioni e delle vere grandi ideologie, come si chiamano, letteralmente, le ideologie sono ideologiche, e le religioni lo sono quasi sempre, salvo quando saltano fuori dal loro riquadro ideologico e diventano forse inservibili, fanno appello alla santità, alla capacità derviscia di girare e di farsi girare la testa, ecco, quello per me è un grande momento neanche mistico, perché non va con il contatto diretto sul divino, il finale di “Francesco, giullare di Dio“, che ho usato decine di volte tra Fuori Orario e Blob, forse 50 volte, con i frati e Francesco d’Assisi che si fanno girare la testa per sapere dove dovranno andare ciascuno a predicare, fino all’ultimo che non gli viene da girare la testa, alla fine casca e dice tu in che direzione sei? In direzione di quel pero laggiù, e allora andrai fino al pero e evangelizzerai gli uccellini di quel pero.
Ed ecco, quando dico farsi girare la testa intendo quello, non necessariamente una esperienza sublime, limite, quella della mistica come separazione e come controllo accanito di sè fino a perdere il controllo, fino a lasciare il controllo all’entità che desidera amare e essere amata, scusate se uso questi termini, ma per me sono molto forti e politici, che non vorrei usare a vuoto e non sto dicendo che sono il modo migliore, probabilmente non c’è modo, però credo che anche la sorveglianza per esempio adesso in Italia diciamo pure molto palesemente verso questa attenzione a, a un processo che definirei, l’ho già definito così, prove democratiche di fascismo, cioè prove democratiche di una economia che assume i caratteri irreversibili, guidati verso l’irreversibile, a mala pena corretti, verso il fascismo, ma corretti proprio in senso autoritario, inesplicato,nel senso che lo spread, che cosa è davvero in due o due mila parole sappiamo dire che cosa sia lo spread? Viviamo in una situazione di parole magiche di brindisi perché lo spread scende sotto o disperazione perché saliva sopra, di cittadini che vengono definiti augurabilmente non più come di destra o sinistra, ma finalmente dice Monti tra quelli che pagano le tasse e quelli che non le pagano. Divisione talmente terribile che io ho sempre ammirato mio padre, i miei, poi forse per questo tradizionalmente con un gesto che è poco anarchico, lo ammetto, c’è una sorta di temperamento diciamo democratico, curva democratica dell’anarchismo, nel senso che credo che pagando le tasse paghi soprattutto una tassa, una autorizzazione, magari modesta, lo vediamo oggi, meschina, mediocre, ma a non dovere nulla al politico verso cui ti getterai, verso cui potrai anche esprimerti in modo selvaggio, troppo duro, perché tu hai dato quello che era necessario per una politica, quello che era necessario per una spesa, mentre il controllo di essa non esiste assolutamente, quindi è già una intenzione pia, però devo dire che sentirlo dire così, questa suddivisione in chi paga le tasse e chi non le paga, fa subito venire voglia di evadere, ma non le tasse, di evadere da questo polarismo, che è peggio ancora di quelli precedenti, è più ideologico, proprio perché non c’è.. a questo punto diventa indifferente per quale motivo si cerca di avere soldi, per quale motivo non bisogna andare in banca rotta, è un motivo puramente conservativo.
Provare a immaginare modelli in cui si perde qualche cosa, anche molto, ma guadagnando ovviamente in un altro settore, sono cose che valgono bene il sacrificio che invece stiamo facendo tutti, ma non in questi anni di crisi, il sacrificio che ha permesso al mondo di arrivare a questa crisi in modo così facile, perché non è arrivato a questa crisi, se l’è trovata di fronte, se l’è trovata di fronte che vuole dire specularmente se l’è trovata dentro di sé.
Questo mondo è un mondo da decenni, da 50 anni percorso dai fiumi di denaro nero, che sono quelli che danno peso alle cose, che è zero però, perché il mondo come insieme delle cose visibili, comprabili, era tutto comprabile già da qualche decennio.
Quindi era tutto già come se fosse venduto con il cartellino della spesa, con il cartellino del costo su ogni singola molecola verrebbe da dire. Chissà se qualcuno si è già comprato il mondo stando in orbita da qualche parte.
Allora tenere aperte le possibilità di orbitare molto lontani, quindi farsi anche prendere in giro, o chissà, prendendo in giro, è già una presa di posizione agile, nel senso che uno non sta lì e occupa e mette radici, però direi gandianamente in qualche modo, non cerca di raggiungere una indipendenza, che sappiamo che è ancora una battaglia di popoli in molti paesi, il terzo mondo è stato costellato dagli anni 60 a oggi da ribellioni, le stesse rivolte, da Piazza Tharir in poi, in medio oriente hanno un aspetto politico e ideologico abbastanza ambiguo, e comunque sempre intorno a due concetti che mi fanno paura e che un po’ ci dovrebbero fare paura, che sono quelli dell’identità e quello legatissimi, e quello dell’indipendenza, che può anche essere quella innocua, uno direbbe, non so, del cineasta indipendente, che mi fa da sempre ridere, io mi occupo molto di cineasti indipendenti, molti di questi credono del lavoro di Fuori Orario, ci aiutano a aiutarli, non lo so ma credo che la prima indipendenza cui si dovrebbe puntare, e si può, è la dipendenza da se stessi.
Abbiamo poche televisioni (espandi | comprimi)
Da quella droga che è il sé stesso, che a volte ci dà dei momenti straordinari, di intensità, ma che è sicuramente, se protratta, se resa la nostra corazza narcisistica veramente una muraglia, che ci impedisce di vedere, di amare, l’autonomia è una cosa che sta a metà, diciamo, schematicamente, tra l’identità e l’indipendenza, in definitiva, (ma non c’è fine a questo discorso,) credo che si debba essere sempre sul bordo, il bordo vuole dire che sia vero o no, poi, matematicamente, aritmeticamente, per esempio in qualunque elezione mi piacerebbe votare per chi perde e aiutarlo a perdere di poco, anche persone che non stimo, che hanno un livello di pensiero umano e politico magari molto lontano dal mio, magari ributtante secondo molti canoni di giudizio, per spiegare, se.. per dire, mi è già capitato di dirlo anche così, uno mi può sputacchiare, per fortuna sono protetto dal vetro, dal vostro vetro, se state guardando questo blog,
Se io dovessi votare tra A e B, su una questione anche molto importante, di comportamento sociale, dall’eutanasia, che è proprio una cosa che ci colpisce, o chi parte per lo spazio con le poche astronavi pronte quando poi si avvicina il meteorite, queste cose che ci sembrano sempre da film e poi invece sono sotto il film, perché questo va più avanti il film mondo e io voterei a caso, con gli occhi chiusi, perché a quel punto è talmente estrema, talmente lunare, talmente impossibile la situazione che fare finta di essere colui che pesa il bene, il male, che alla fine decide, è come mutarsi in Dio, ora è vero che siamo tutti in qualche modo dei, nella nostra ideologia religiosa, alla fine, e è vero che tutti vorremmo durare indefinitamente, è vero anche, pensa che noia se fossero tutti come me, che a me sembra che ci sia per esempio poca televisione.
E allora io credo che in questo momento, checché se ne dica della televisione in crisi, che non sa che cosa essere e che è soppiantata da Internet per un sacco di cose, oppure va beh, lasciamo perdere il cinema, che già sta vivendo in questo tramonto, è un tramontaggio, un tramonto abbastanza curioso e interessante, perché ora si inizia a avere davvero le cose ipotizzate da Astruc, 70 anni fa con la caméra-stylo, a fare delle cose come si scrive, e molti non sanno che cosa fare, che cosa scegliere, quando si capisce benissimo che qualunque film, idea, può costare mille, un milione, 100 o 10, e è più o meno simile, solo dipende se lavori più sul filmato o sul modo di filmarlo, di supporlo digitalmente, dal nulla, etc.,ma il punto è che secondo me abbiamo poche televisioni, anche se la linea c’è, diciamo, la raggiera che parte da ognuno di noi c’è, e c’è anche quella dell’emettere immediatamente, dove il soggetto stesso è virtuale e non esiste in qualche modo, cioè non vengono fuori grandi momenti personali dal blog e dalla Rete, quindi è obiettivo bene, secondo me, che non escano, perché poi è una zona di banditi mascherati, il discorso violentissima libertà, ovviamente qualunque espressione artistica per chi ancora ama questa separatezza, viene ridicolizzata, giustamente, dalla Rete, cioè è talmente un motore che potrebbe anche essere immobile, ma che è tutto disperso in ognuno di noi, allora invece che detto solo teoricamente questo dovremmo favorire, può darsi che sia già così, e lo scopriremo trovando un libro di manutenzione di un supercervello tra due anni o due mesi o due secoli in una caverna in un polo marziano, non lo so, o in un pollo marziano, nell’interiora di un pollo marziano, che ci dirà che siamo 7 miliardi o ci sarà stata nel frattempo una guerra, una epidemia di dissenteria, tutta la cacca sarà scivolata giù dal pianetta, la forza di gravità della merda, non lo so, però inverano dire che è così e che forse deve essere così, mancano ancora dei miliardi, io credo che ci vorrebbero 8 miliardi di canali televisivi, almeno uno a testa, e questo vuole dire almeno uno dentro la testa e questo probabilmente è già avvenuto, e quindi ricomincia tutto, perché se è già avvenuto che cosa è stato? Un atto di imperio? Ma di chi, di quale imperatore o Dio? Una cosa contro di noi? Per noi o un gioco innocuo per chi lo fa, ma che significa tutto il dolore, tutto il terrore, tutta la paura, ma anche l’amore di questa vita, di questo mi sembra non accettabile questa cosa.
Noi né stelle né luna, cavi cavità, cavo e cavità, tutti e due.
Buona visione.
Buona visione.. propaganda buona visione, va beh, non mi far giocare con le parole, perché vado avanti.. Ti faccio un Bergonzoni di 12 ore