di Manlio Di Stefano
Un eventuale “impegno italiano” in Libia potrebbe avvenire solo “sulla base della richiesta di un governo libico legittimato” e “comunque avrebbe necessità di tutti i passaggi parlamentari e istituzionali necessari”. Così scriveva il primo ministro Matteo Renzi nella sua e-news dello scorso marzo, spiegando che “non è il tempo delle forzature, ma del buon senso e dell’equilibrio: queste le nostre parole d’ordine, ben diverse da chi immagina di intervenire in modo superficiale e poco assennato”.
Dopo sei mesi di esitazione, lo stesso governo ha deciso di inviare nella città libica di Misurata, a garantire la sicurezza di un ospedale da campo, un contingente di circa 300 uomini di cui circa 100 paracadutisti della Folgore, 65 tra medici e infermieri, 135 a supporto logistico. Obiettivo? Curare i miliziani misuratini feriti nella battaglia di Sirte. Tradotto: sostenere una guerra coi nostri uomini.
La missione, che è stata chiamata “Ippocrate”, prevede inoltre, secondo il Ministro Pinotti, “lo schieramento di un aereo C27-J per una eventuale evacuazione strategica e lo stazionamento di una nave attualmente impegnata nel dispositivo di Mare Sicuro con funzioni di supporto”. Di interventi militari camuffati da missioni umanitarie (sanitarie, in questo caso) sono pieni i libri di storia e il rischio, come dimostrano tutti i precedenti e le indiscrezioni che parlano di un comando italiano per future missioni, è che la presenza italiana sul territorio cresca. D’altronde, pur mantenendo un basso profilo, l’Italia è da tempo impegnata in prima linea in Libia. Nuclei delle nostre forze speciali negli ultimi mesi hanno partecipato all’assalto di Sirte.
L’Italia, appoggiando una fazione delle due in campo nella guerra civile libica attualmente in corso, si inimica ulteriormente un popolo storicamente amico.
Ma qual è lo scenario in cui andranno ad operare i parà italiani? Vediamolo.
Approfittando del momento che vede le forze fedeli al Governo Serraj quello che secondo Renzi sarebbe il governo legittimo della Libia – impegnate contro lo Stato Islamico a Sirte, i miliziani del generale Haftar hanno conquistato due obiettivi strategici: i terminal petroliferi di Sidra e Ras Lanuf e due porti, tra Sirte e Bengasi, da cui viene esportato il petrolio libico. Questi ultimi si trovano nella “mezzaluna petrolifera” della Libia, l’arco di terminali attraverso cui transita quasi la metà del greggio esportato, e sono visti come una fonte vitale di reddito per il governo di riconciliazione nazionale libico, riconosciuto dall’ONU ma non da Haftar, che sta lottando per affermare la sua autorità.
Il petrolio è la principale risorsa naturale della Libia con riserve stimate in 48 miliardi di barili, le più grandi dell’Africa. Dal 2010 la produzione del paese è crollata da 1,5 milioni di barili al giorno a 200.000 barili. L’operazione “lampo improvviso” di Haftar è dunque un duro colpo per il governo di Tripoli. Le forze dell’autoproclamato esercito nazionale libico del generale si sono scontrate con le guardie delle installazioni del petrolio, una milizia guidata da Ibrahim Jathran, che a luglio aveva trovato un accordo con il governo di unità nazionale appoggiato dall’Occidente. Si tratta quindi del primo conflitto armato tra il governo della Libia orientale, che appoggia Haftar, e il cosiddetto “governo di unità nazionale” che si è insediato nella capitale Tripoli. Il governo di Serraj ha chiamato a raccolta tutte le sue milizie chiedendo di dirigersi verso la zona della mezzaluna petrolifera per riprendere il controllo dei terminal di petrolio.
In questo contesto il governo ha deciso per l’intervento dopo che, per mesi, Renzi e Gentiloni hanno mentito al popolo italiano, assicurando sempre due cose: l’accordo tra Tripoli e Tobruk, passo necessario per le Nazioni Unite per un intervento armato, e un ruolo da protagonista del Parlamento. Due menzogne, le ennesime di questo governo.
Il piano ONU/USA/Italia per riunificare le diverse formazioni militari dell’Est e dell’Ovest della Libia, sotto l’autorità del governo di Tripoli, è fallito. La Libia di oggi è il frutto dell’interventismo occidentale, dell’invasione del 2011 che oggi, anche il Parlamento britannico, riconosce come criminale, condannando la superficialità di Cameron e la sua “disattenzione” rispetto ai report dell’intelligence che negavano un pericolo per i civili libici.
O il governo Cameron (come i suoi sodali occidentali) è stato poco dotato sotto questo profilo, oppure ha scientemente ignorato i rischi, in particolare quello della diffusione dell’islamismo radicale, pur di conseguire i suoi obiettivi (leggi petrolio e altro).
Lo stesso si potrebbe dire, oggi, di Renzi rispetto ai cosiddetti “ribelli di Misurata”, milizie islamiche non dissimili da altri gruppi oltranzisti che l’Italia fa male ad appoggiare e che domani potrebbero diventare i nuovi nemici della pace e della stabilità della Libia. L’esempio della Siria su questo è emblematico.
Un nuovo intervento peggiorerà solo la situazione trascinandoci in una guerra senza fine.
In ultimo una riflessione: come può sfuggirci la consequenzialità, perlomeno temporale, tra l’annuncio della missione in Libia e il sostegno americano, per bocca dell’Ambasciatore USA in Italia, alla riforma costituzionale voluta da Renzi/Verdini/Napolitano?
Meno notizia, del resto, aveva fatto l’ingerenza dell’ambasciatore Phillips quando, sei mesi fa, chiedeva 5000 soldati italiani per invadere la Libia.
L’ordine di Washington è stato eseguito. Per ora, con pochi uomini ma, con la debacle dei “nostri” ribelli di Misurata e la guerra che si prospetta contro il generale Haftar, l’altro presidente della Libia, siamo certi, aumenteranno al più presto.
Nel silenzio dei media e alle spalle del Parlamento, il Presidente Renzi ci porta in guerra. Una guerra che la nostra Costituzione, il M5S e il popolo italiano, da sempre, ripudiano.