di Piero Ricca
A tutto’oggi, lunedì 5 settembre, non conosciamo la data del referendum costituzionale. Il consiglio dei ministri si è riunito più volte da quando, l’otto agosto scorso, la corte di cassazione ha dato il formale via libera al referendum, ma non è riuscito a trovare cinque minuti per approvare la data.
Prima si parlava di ottobre, poi di inizio novembre, poi di ultima settimana di novembre.
L’altro giorno la ministra Boschi ha buttato lì che si potrebbe slittare ai primi di dicembre.
Ancora un po’ e si arriva alle feste di Natale, incompatibili per definizione.
Sappiamo bene quel che dice la legge: dalla decisione della Corte di Cassazione il governo ha sessanta giorni di tempo per stabilire la data del referendum, che dev’essere indetto entro i successivi settanta giorni. Ma non si vede un valido motivo per tutta quest’attesa.
Che ci sia dietro l’inconfessabile speranza di recuperare due voti con le solite mance della legge di stabilità? O la semplice esigenza di prender tempo, in attesa di buone notizie da parte dei fornitori di sondaggi?
Torna in mente la favola di quel tale cui fu concesso di scegliere l’albero al quale venire impiccato: non ne trovava mai uno adatto. #RenziFissaLaData