Se siete curiosi di sapere quanto sono bravi gli imprenditori che guidano Confindustria dovete prima leggere i bilanci del Sole 24 Ore. Il giornale di proprietà dell’associazione degli imprenditori è in crisi nera, sull’orlo di un baratro. In otto anni ha bruciato 350 milioni di euro, ha subito un’emorragia di copie e ha quasi azzerato il suo patrimonio netto. Il nuovo amministratore delegato Gabriele Del Torchio – che appena arrivato ha realizzato un’operazione di pulizia dei conti – si è dimesso venerdì scorso per contrasti con i vertici di Confindustria dopo soli cinque mesi e oggi l’assemblea degli azionisti eleggerà il nuovo consiglio di amministrazione che dovrà varare un piano di “lacrime e sangue” e gestire una difficile ricapitalizzazione.
I magistrati indagano per falso in bilancio
I grandi capi di Confindustria, così efficienti nello schierarsi al fianco di Matteo Renzi e ad appoggiare il fronte del Sì nel referendum costituzionale del 4 dicembre, hanno gestito in questi anni il Sole 24 Ore peggio della più lottizzata delle municipalizzate. Se volevano dare l’esempio di come si predica bene e razzola male ci sono riusciti alla perfezione. Nel frattempo dovranno spiegare agli uomini della Guardia di Finanza in che modo hanno bruciato così tanti soldi in pochi anni proprio mentre annunciavano strabilianti record di vendite del giornale. La procura della Repubblica di Milano, infatti, ha aperto un’inchiesta sui conti del Sole 24 Ore per falso in bilancio, dopo che un esposto del presidente dell’Adusbef, Ennio Lannutti, aveva posto ai magistrati il seguente quesito: come è possibile che le copie salgano e i ricavi scendano?
Già, come è possibile? Lo hanno chiesto al governo in un’interpellanza urgente alla Camera anche i parlamentari del M5S Daniele Pesco e Alessio Villarosa ma dall’esecutivo sono arrivate solo vaghe risposte. Il mistero resta e solo i magistrati potranno risolverlo.
I conti in profondo rosso e l’ipotesi commissariamento
Venerdì scorso il gruppo editoriale ha annunciato una perdita di 61,6 milioni di euro nei primi nove mesi dell’anno mentre il patrimonio netto si è ridotto a 16,4 milioni. Nel 2007 era di 347 milioni: in meno di nove anni i manager scelti da Confindustria sono riusciti a far evaporare nel nulla più di 330 milioni di euro di capitale. Il giornale non è fallito solo perché Confindustria si è impegnata a immettere altri soldi nella società attraverso un aumento di capitale di cui per ora non si vede traccia.
Nel frattempo Confindustria è dilaniata da lotte intestine che si consumano proprio sulla pelle del Sole 24 Ore. Lo si è capito dopo la fuga di notizie sulla riunione del Consiglio generale dell’associazione degli imprenditori del 12 ottobre. Per la prima volta nella storia di Confindustria il resoconto di un incontro riservato è finito sui giornali rivelando gli scontri di potere che stanno minando dall’interno la stessa organizzazione.
In questo scenario di caos totale, con l’azionista del giornale paralizzato, i conti che precipitano, il patrimonio che tende allo zero e le dimissioni dell’amministratore delegato, una possibilità che si delinea per i magistrati di Milano è quella di applicare il codice civile e di decidere il commissariamento del gruppo editoriale con la nomina di un amministratore giudiziario che ne assicuri il risanamento e ne eviti il fallimento.
Le copie gonfiate
Alla base della crisi del giornale c’è la vertiginosa crescita delle copie che non trova riscontro nei ricavi del gruppo. Il numero di abbonamenti digitali che il Sole 24 Ore vendeva a banche e società varie (le cosiddette copie digitali multiple) era sproporzionato rispetto a quello degli altri giornali. Nel marzo del 2016 questi abbonamenti erano 109.500, contro i poco meno di seimila del Corriere e i duemila di Repubblica. Ad aprile l’Ads (Accertamento diffusione stampa) l’organismo che certifica la diffusione e la vendite dei giornali, ha deciso di non diffondere più i numeri delle copie digitali multiple in attesa di cambiare il regolamento per la gestione di questo tipo di abbonamento. A ottobre 2015 prima della decisione dell’Ads – il Sole 24 Ore era arrivato a un passo dal diventare il primo quotidiano italiano: dichiarava complessivamente 374mila copie diffuse contro le 379mila del Corriere della Sera. Nell’ultima rilevazione Ads, quella di settembre 2016, la diffusione del Sole 24 Ore è precipitata a 203mila copie, ben 171mila in meno di un anno fa, anche per effetto della decisione di Del Torchio di eliminare le copie “promozionali”. La bolla si è sgonfiata.
Il direttore del giornale, Roberto Napoletano, si autocelebrava così solo pochi mesi fa: «Il sistema multimediale carta-web integrato e il sito in formula paywall varati tre anni fa, un sistema unico nel panorama nazionale ed internazionale, non solo ci hanno portato a essere il primo quotidiano digitale in Italia e il secondo per diffusione totale carta+web, ma ci hanno anche consentito il sorpasso nel 2015 dei ricavi digitali da contenuto informativo sui ricavi da contenuto in versione cartacea». Napoletano era il vero dominus della società, più potente del suo presidente e dell’amministratore delegato, come sanno bene i dipendenti e i manager del Sole 24 Ore.
La favola, però, è durata poco. E l’amara verità – portata a galla da Del Torchio – ha spinto la redazione del Sole 24 Ore a sfiduciare Napoletano per aver mentito ai giornalisti ed essersi fatto concedere una buonuscita di 2,250 milioni di euro aggiuntiva a quella prevista dal contratto dei giornalisti proprio mentre i giornalisti subivano la cassa integrazione. Napoletano è stato sfiduciato con il 75% dei voti, una percentuale di gran lunga superiore a quella che aveva mandato a casa il precedente direttore Gianni Riotta.
Le acquisizioni fallimentari
La bolla delle copie improvvisamente sgonfiatasi si è aggiunta alle operazioni industriali realizzate negli ultimi anni che hanno contribuito a dissanguare il Sole 24 Ore. Esemplare è il caso della Gpp, società editoriale venduta da Telecom Italia nel 2004 al fondo Wyse Equity che fa capo alla De Agostini, per 14,6 milioni di euro. Nel 2006 il Sole 24 Ore compra la Gpp – che pubblica riviste specializzate – per 40 milioni di euro ma la venderà alcuni anni più tardi per un euro simbolico alla società Tecniche Nuove, che riceve anche una “dote” finanziaria di 12 milioni. E chi stampa oggi alcune delle riviste di Tecniche Nuove? Una società di Salerno: la Arti Grafiche Boccia, il cui proprietario è guarda caso l’attuale presidente di Confindustria.
PS. Di seguito una nota diffusa dalla Arti Grafiche Boccia dopo la pubblicazione di questo post:
A seguito della reiterazione di notizie non
veritiere e strumentali relative a rapporti di lavoro tra Arti Grafiche
Boccia, Il Sole 24 Ore e Tecniche Nuove, si precisa quanto segue:
1) Arti Grafiche Boccia ha registrato nel 2015 un fatturato di circa 40
milioni di euro e un incremento occupazionale del 21 per cento negli ultimi
due anni portando il numero dei propri dipendenti da 144 a 175, tutti a
tempo indeterminato. Ha molti editori italiani e stranieri tra i propri
clienti con una quota export per i prodotti “core” (magazines, riviste,
cataloghi) che si attesta in circa il 30% e che si concentra sulla Francia,
la Svezia, la Norvegia, la Danimarca ed il Regno Unito.
2) Il fatturato consuntivato nei confronti de “Il Sole 24 Ore SpA” nel 2016
è di 51 mila euro. Proprio per evitare qualsivoglia idea di conflitto di
interesse Arti Grafiche Boccia aveva già deciso dall’inizio dell’anno di
non stampare più l’unica rivista che aveva in affidamento, “L’Impresa”,
cosa diventata operativa dall’agosto di quest’anno.
3) Tecniche Nuove è cliente dal mese di marzo del 2003 di Arti Grafiche
Boccia e ha fatturato 175 mila euro nel 2011, 164 mila nel 2012, 105 mila
nel 2013, 104 mila nel 2014, 95 mila nel 2015 e 92 mila nei primi mesi del
2016. Tecniche Nuove ha comprato il ramo d’azienda da Il Sole 24 Ore nel
2014, operazione gestita da Mediobanca in qualità di Advisor, quando
Confindustria non era guidata dall’attuale presidente.
4) L’importo della cambiale finanziaria non è affatto strategico per
l’azienda: si è trattato della sperimentazione di uno strumento finanziario
rivelatosi superiore al costo del denaro medio che il rating aziendale
porta a ottenere in via normale. Lo strumento finanziario, sottoscritto ad
oggi per Euro 650.000, ha durata 12 mesi.
5) La moratoria Mps è stata chiesta poiché il mutuo in oggetto ha un costo
del denaro inferiore al costo a breve e quindi si è fatta un’operazione
conseguente e conveniente per l’azienda.
6) Al 30 settembre non appaiono segnalazioni di Banca del Mezzogiorno e di
MPS capital service in Centrale Rischi.