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Ricordate il caso di Alma Shalabayeva e sua figlia Alma? Una madre con la figlia di 6 anni arrestate illegittimamente e altrettanto illegittimamente espulse dall’Italia al Kazakhstan nel maggio del 2013 in violazione del diritto di asilo.
Per avere nuove informazioni andammo (video) direttamente in Kazakhstan a intervistare la moglie del dissidente kazakho Mukhtar Ablyazov e, tornando, presentammo una mozione di sfiducia contro Alfano. Il PD, come sempre, lo protesse e votò contro la mozione (oggi l’ha pure promosso a Ministro degli Esteri).
Ci sono voluti 3 anni per giungere alla verità ma, tanto per cambiare, ci ha dato ancora ragione.
La Procura di Perugia, a Novembre, ha chiuso l’inchiesta con l’accusa gravissima di sequestro di persona ai danni di due dirigenti di vertice della Polizia di Stato – Renato Cortese e Maurizio Improta – operato grazie ad un’ininterrotta sequenza di falsi, abusi e omissioni, con la complicità di altri 9 indagati: il giudice di pace Stefania Lavore che avallò la consegna al Kazakhstan, tre diplomatici dell’ambasciata kazaka a Roma (l’allora ambasciatore Andrian Yelemessov, il primo segretario Nurlan Khassen e l’addetto agli affari consolari Yerzhan Yessirkepov) e cinque funzionari di polizia già in servizio alla Mobile di Roma e all’Ufficio immigrazione.
Oggi si aggiunge all’indagine un tassello importantissimo a questo puzzle, il Kazakistan ha arrestato il diplomatico Nurlan Khassen per sequestro di persona confermando, di fatto, la linea della Procura di Perugia.
E qui si aprono alcune domande che potrei definire, conoscendo Alfano, retoriche:
1. Perché un capo della Squadra Mobile, il Capo dell’Ufficio immigrazione e un giudice di Pace, si prestarono ad un abuso di questa portata nei confronti di una donna a loro sconosciuta?
2. Chi diede ai tre diplomatici kazaki la possibilità di disporre della Polizia italiana?
3. Chi trasse benefici da questo accordo col Presidente kazakho?
Per rispondere a queste domande la Procura dovrebbe, ora, scalare la catena di comando ma, di questo, nell’inchiesta non c’è nulla.
Nel 2013 Angelino Alfano venne salvato da Enrico Letta con un ricatto politico al Governo, oggi il prode Ministro degli Esteri sgancia i vagoni di coda e sacrifica il destino e la reputazione di chi, come si legge nella chiusura indagini, eseguì un ordine “deciso dall’alto“.
Il nostro governo è infarcito di incapaci, poco di buono e persino delinquenti protetti e garantiti dal sistema di potere del Partito Democratico.
#AlfanoDimettiti, sei un imbarazzo per il nostro Paese.