di MoVimento 5 Stelle Europa
traduzione da El Pais, “El gran reto es reducir el consumo de energía“
Tre decenni fa, un professore dell’università di Innsbruck, Wolfgang Feist, ha convinto la sua famiglia a traslocare in una casa “passiva”, che consuma circa il 10% di quello che comunemente è il consumo di una normale abitazione. Aveva iniziato a studiare, negli anni settanta, i diversi metodi di costruzione che consentono di risparmiare energia isolando gli edifici ed oggi è, insieme all’ingegnere svedese Bo Adamson, uno dei principali punti di riferimento mondiale nel campo di case ad alta efficienza. È a capo del “Passive House Institute” di Darmstadt (Germania), un’organizzazione che promuove lo sviluppo di queste caratteristiche nelle nuove abitazioni.
L’introduzione di questi nuovi concetti trasformerebbero la mappa del consumo energetico, ma la costruzione di queste abitazioni è molto limitata. In tutto il mondo ci sono soltanto 15.000 edifici di questo tipo e la maggior parte si trovano in Germania e Scandinavia, anche se il Belgio ha iniziato ad investire in questa categoria di edifici per potersi mettere allo stesso livello. In Spagna, in questo momento, ci sono soltanto 140 case “passive”.
Qual è stato il problema più difficile? Convincere la sua famiglia o ridurre la dipendenza dalle società di fornitura energetica?
“Per le aziende ero considerato fuori di testa. Loro, diffidando del fatto che usavamo così poca energia, hanno cambiato il contatore. Con la mia famiglia è stato molto più semplice. Mia moglie è laureata in matematica, di mentalità aperta, e mi ha sostenuto. Gli altri, non è che fossero scettici, ma hanno cercato di minimizzare il mio impegno: “Non c’è bisogno di avere un’abitazione completamente passiva…”, mi hanno detto“.
Avete sentito freddo?
“Né caldo né freddo. Le abitazioni passive non risparmiano energia a discapito del confort. Non si può convincere la gente mettendo tre maglioni di lana. Così abbiamo messo il cappotto alla casa. E l’isolamento non è costoso“.
Prima del progetto della sua casa c’erano altre iniziative simili. La ricerca è un lavoro di squadra?
“Come fisico, sapevo che c’era una soluzione per migliorare l’efficienza energetica. Nella legge della fisica l’energia non è mai persa, va sempre da qualche parte. Negli Stati Uniti, Danimarca, Norvegia o in Canada, ci sono molti ricercatori in questo campo. Ci siamo scambiati informazioni. I più avanzati sono in Svizzera. Bo Adamson ha raggiunto un efficace isolamento con appena 20 centimetri di spessore nelle pareti esterne. Ho lavorato come ricercatore presso la sua università, in Lund, e qui ho imparato molto dalla sua esperienza“.
Avete collaborato insieme invece di competere?
“Questo è il principio della ricerca scientifica“.
È ancora cosi?
“Ci sono stati cambiamenti sul pianeta che dimostrano quanto sia pericoloso competere in questo campo. Se vogliamo il progresso scientifico, dobbiamo cooperare“.
Quando si può guadagnare con la conoscenza scientifica?
“L’obbiettivo economico è una direzione vietata per la scienza perché i soldi finiscono per controllare ed influenzare i risultati. Sulle questioni basiche, abbiamo bisogno della scienza indipendente“.
L’istituto Passive House non è una forma di business?
“Abbiamo preso la decisione di non registrare la parola o il marchio. Non volevamo che la soluzione fosse di proprietà esclusiva. Abbiamo una rete di certificatori che controllano la qualità delle case passive. Ma offriamo informazioni gratuitamente“.
Cosa si può fare per rendere queste abitazioni passive più attrattive per l’utente? Ci sono tanti certificatori e questo non ispira fiducia.
“C’è tanto business. Pero ciò che definisce una casa passiva – il fatto che consuma il 10% dell’energia utilizzata per una abitazione media – è misurabile scientificamente“.
È tale percentuale proviene da fonti rinnovabili?
“Nelle città possono provenire da fonti fossili. Lo stesso vale nel campo della nutrizione. Si può coltivare le proprie verdure, ma questa non è una soluzione applicabile ad una città. I problemi del mondo non si risolvono con le singole case unifamiliari. Ma attraverso l’edificazione su larga scala. Abbiamo bisogno di soluzioni che funzionano ovunque“.
Dove è più facile stabilire le case passive?
“Solo eliminando alcuni errori nelle costruzioni è possibile raggiungere l’obbiettivo del risparmio energetico. Storicamente la Germania è all’avanguardia in queste nuove tecnologie, anche se il Belgio è in prima linea. Tuttavia, sono ancora un’eccezione: molto poco di ciò che è costruito è passivo. Il settore delle costruzioni non vuole adattarsi alle nuove sfide. Tuttavia, l’illuminazione a LED, per esempio, riduce il 10% del dispendio energetico, e lo stesso accadrebbe se le case fossero isolate con criterio“.
Si potrebbe imporre tutto ciò attraverso delle leggi specifiche?
“L’Imposizione genera resistenza. Cerchiamo di convincere attraverso l’educazione“.
Quanta energia solare è utilizzata in Germania, rispetto alla Spagna?
“Meno della metà. Sarebbe molto più economico costruire case passive in Spagna che in Germania“.
Siamo il quarto paese Europeo in povertà energetica: il 9% della popolazione non può permettersi il riscaldamento.
“Si tratta di una questione politica con varie soluzioni. Consumare meno attraverso l’isolamento delle casse è una soluzione. Come scienziato penso che sia molto meglio che sovvenzionare i combustibili fossili“.
Dare la priorità all’isolamento di fronte alla riduzione di combustibile richiede una società matura?
“Non vediamo l’ora che la società maturi. Ma sono ottimista. In Germania, per esempio, ho visto come abbiamo progredito: abbiamo trattato meglio gli immigrati, viviamo più a lungo, abbiamo sradicato malattie. Questo progresso è molto più lento rispetto alla tecnologica. Quindi dovremmo concentrarci sul miglioramento dell’efficienza. Gli effetti sarebbero straordinari“.
A che cosa serve un edifico passivo se la città non è sostenibile?
“La domanda è quasi religiosa. Vale la pena piantare un albero quando il mondo è un disastro? È essenziale dimostrare che ci sono soluzioni. L’astrofisico Carl Sagan ha difeso la consapevolezza di appartenere al pianeta. Sembra ovvio, ma abbiamo finito per non credere che la chiave per la sopravvivenza della civiltà umana e quello di essere uniti, non di affrontarsi. La maggior parte dell’umanità vive nelle città. Così la sfida non è l’autosufficienza, ma il calo dei consumi. Siamo forti quando siamo uniti. Non quando ci isoliamo“.
Che pensa di Masdar, la città progettata da Norman Foster in Abu Dhabi con un consumo di energia pari a zero?
“Nel settore energetico le soluzioni vengono dall’unione, non dalla separazione. Un ghetto non può essere la soluzione“.