di Beppe Grillo In che modo un parlamento, la legge scritta oppure ancora da scrivere, può contenere in se la più grande paura dell’uomo? Come possiamo pensare di trovarci tutti d’accordo su qualcosa, la fine della vita per come la conosciamo, che ognuno di noi vede e teme in modo differente? Nulla è più soggettivo della morte, crediamo di averla descritta e definita in modo scientifico, ed è vero, limitatamente alla definizione dello stato di vita e quello di morte. Ma la morte ( noi da morti) che cos’è? Il passaggio dall’essere vivi al non esserlo più in cosa consiste? E’ questo che chiamiamo “morire” ed è tale questione che ci trova ignoranti e intimoriti al tempo stesso. C’è solo una cosa chiara riguardo a questo tipo di argomenti: finiscono per diventare la passerella di schieramento politico preferita da coloro che non intendono affrontare la questione in se ma, piuttosto, vogliono dispiegare come ruote di pavoni il loro colore morale. Invece di essere in contatto con temi potenzialmente sconvolgenti si approfitta per schierarsi, pronti a dichiarare “inaccettabile” oppure “inammissibile” l’argomento stesso. Ma neppure possiamo fare la fine dei radicali
dove ci sono disgrazie ci sono loro, referendum per morire, per divorziare (che è comunque una fine), per uccidere o aiutare ad uccidersi ci sono loro, i radicali
ma perché? Non li ho mai capiti, la loro ideologia è la fine, si tirano un po’ su con le coppie di fatto e i matrimoni Gay ma
con gli uteri in affitto si finisce di nuovo nel truculento, nella morale elitaria di chi ad una sorta di élite è convinto di appartenere. Perché vi parlo dei radicali? Loro nascono da una posizione morale e basta, li finiscono. Noi non siamo qui a dire alla gente che cosa è buono e cosa è cattivo: c’è una libertà di pensiero assoluta nel movimento. Quello che ci unisce è il desiderio di restituire ai cittadini la determinazione del loro essere sociale e il rispetto del loro essere in privato. Se considerate un medico di trincea, non uno di quelli che rifanno le tette, e lo confrontate con qualcuno che non abbia mai visto un morto in vita sua il medico saprà dire tante cose su come si cerca di evitare la morte; oppure evitare di far soffrire immensamente qualcuno che non ha alcuna speranza evitando l’accanimento terapeutico. Ad esempio rianimando oppure insistendo con chemio e radioterapie oramai inutili in quel caso specifico. Verrebbe da pensare. “caspita il primo sa tantissime cose sulla morte più del secondo” ma non è così. I medici vedono morire, cercano di evitare che accada e riconoscono quando non c’è più nulla da fare
ma non vedono la morte in se. Lo affermo per una ragione molto semplice: se conoscessero la morte come tale, a causa del loro mestiere, la saprebbero descrivere agli altri. Così come tutti coloro che hanno esperienze ripetute su di un dato argomento finisce che lo “imparano“. Ma in questo non sanno nulla in più rispetto a tutti coloro che non sono neppure stati sfiorati dalla morte. Possiamo affermare con certezza che i medici sanno tante cose in più degli altri su ciò che si verifica nella sua imminenza
però non hanno mai visto la morte in se e ciò non li qualifica in modo particolare a sapere cosa sia la morte! Al contrario, questo tipo di conoscenza, è quella che si attribuisce generalmente a tutti coloro che affermano di possederla sulla base di opinioni o credenze che tutto hanno tranne che un fondamento scientifico. Sia ben chiaro: il movimento non considera le posizioni morali, oppure religiose, come di meno o più qualificate ad esprimersi in questo senso. Semplicemente sappiamo che si tratta di opinioni piuttosto che certezze. Credere ed essere “scientificamente certi” di qualcosa rappresentano le due posizioni potenzialmente più distanti che si possano immaginare al riguardo. Eppure, se pensiamo alla società civile, tutto quello che l’uomo pensa, crede, oppure vive come una convinzione meritano uguale rispetto in una società civile, quella comunità di esseri umani che vive sotto lo stesso tetto di fronte a questo argomento. Se fossimo intimamente consapevoli di questa profonda mancanza di certezze riguardo la morte in se, sarebbe molto più semplice spogliarsi di quelle posizioni preconcette che così tanto influenzano i dibattiti sul tema. Gettare un mistero in mano a gente di quella fatta e gettare perle ai porci non è tanto diffferente, ne quella gente, nei i porci, sanno fare di meglio, con quelle perle, che guarnire una versione kitsch e nazionalpopolare di una questione che riguarda il nostro intimo più di qualsiasi altra. Una questione che, però, intima non può restare dal momento che è regolamentata e gestita dallo stato.
Questo non significa che siamo completamente incapaci di riflettere oppure fornire degli spunti di riflessione in merito al fine vita.
La prima cosa, la più semplice: il problema è reale e chiede alla politica una soluzione
Perché la vita e la morte sono la differenza principale che l’uomo percepisce se deve prendere delle decisioni. Perché la fine della vita ci terrorizza e, se non siamo particolarmente timorosi della morte in se lo siamo del morire, di come moriremo..
Credo che sia possibile instaurare un dialogo sulla morte che non si fondi sull’ideologia, ma neppure sul nulla, ed ecco un punto di partenza: non esistono esperti della morte!
Se, però, è vero che nessuno conosce la “morte in se“, a prescindere dalle delle proprie esperienze umane e professionali, dobbiamo partire proprio da questa mancanza di conoscenza, dal momento che ci tutti rende uguali di fronte alla questione. Che si tratti di un “conoscere” oppure “un non conoscere” quello che importa è che vale per tutti: il mistero della vita come il mistero della morte.
Ed è questo che vi sto chiedendo: di provare a liberarci dei preconcetti e limitarci a decidere su ciò che è contemplabile alla luce, oppure al buio, della nostra ignoranza circa la natura della morte: per questo siamo soddisfatti dei risultati raggiunti in parlamento dove non ci si poteva aspettare un’unanimità di pensiero come ha affermato Silvia Giordano, nostra parlamentare. Eppure, nonostante un lavoro collegiale e di ascolto reciproco “durante il quale più volte, ascoltando gli altri, abbiamo modificato la nostra idea” in molti hanno ceduto alla tentazione della mossa politica di demagogizzare l’altro affibbiandogli l’appellativo di “pro-morte“. Io credo che queste posizioni simil radicali oppure pienamente oscurantiste rappresentino il fumo dietro il quale ci si vuol nascondere e con il quale si desidera confondere avversari immaginare costruiti alla bisogna di un dibattito politico che cerca la sterilità per non produrre nulla, oltre a nuovi soggetti politici e persone di nuovo additabili come pro questo oppure pro quello.
Così non abbiamo permesso che il non poter definire la morte in se si sia trasformato in un caos alla radicale maniera; oggi così simile al modo in cui trattano le questioni moltissimi parlamentari che si sono nascosti dietro improbabili atteggiamenti morali in cerca di un autore politico a cui asservirsi.