Intervista ad Alfonso Celotto: Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università degli studi Roma Tre. Dal 2012 al 2014 presidente di Università telematica “Unitelma Sapienza”. Insegna Diritto pubblico comparato presso la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali “Guido Carli” di Roma.
Danilo Toninelli: Siamo qui, oggi, con il professore ordinario di Diritto costituzionale a Roma Tre Alfonso Celotto. Il M5S ha presentato la delibera per introdurre strumenti di democrazia partecipativa all’interno dello Statuto del Comune di Roma. Molti suoi colleghi hanno espresso opinioni critiche su questi strumenti, quindi è molto importante confrontarci con esperti come lei per chiedere: come vede oggi, in un contesto diverso di democrazia da quella ottocentesca, questi strumenti di democrazia partecipativa?
Alfonso Celotto: Assolutamente necessari. Sono temi che studio da qualche anno, perché il nostro modello di Stato è un modello a democrazia rappresentativa, significa che si eleggono dei rappresentanti che trasmettono la volontà del popolo. Però la stessa Costituzione prevede anche strumenti di democrazia diretta, in quanto il popolo che detiene la sovranità (art.1) deve poter partecipare direttamente. Ma questi strumenti, la petizione (articolo 51), l’iniziativa legislativa popolare, il referendum abrogativo, sono ormai col tempo completamente decotti, desueti, e quindi è importante -come sta accadendo in tutte le principali democrazie- cercare di recuperare la partecipazione popolare. Come? Con nuovi strumenti di democrazia diretta. Anche perché la democrazia della Costituzione a base ottocentesca passa attraverso l’intermediazione dei partiti, ma ormai il partito tradizionale di massa non esiste più, non si va più in sezione il pomeriggio, quindi occorre recuperare la partecipazione in altri modi altrimenti si verifica lontananza dalla politica.
Danilo Toninelli: Tra gli strumenti presentati a Roma c’è la petizione online, i referendum abrogativi e consultivi, abbiamo aggiunto anche quelli propositivi senza quorum, e c’è il bilancio partecipativo, il tutto ordinato anche con il voto elettronico che stiamo elaborando. Come vede, per i referendum, l’assenza di quorum? In quali referendum ritiene che il “senza quorum” possa permettere ai cittadini maggior affluenza? Le porto un esempio: nel referendum trivelle dell’aprile 2016 c’era il quorum, e solo il 32% degli aventi diritto al voto è andato a votare. Nel referendum del 4 dicembre 2016 invece, senza quorum, oltre il 65 %. Si potrebbe allora concludere che in certi casi l’assenza di quorum aumenti il numero dei votanti perché i partiti non possono incitare strumentalmente l’elettorato a non andare a votare al referendum, quindi i cittadini vanno e c’è più competizione.
Alfonso Celotto: La storia ci aiuta a capire i fenomeni. La Costituzione prevede due referendum: uno è il referendum costituzionale senza quorum, perché? Perché si tratta di un referendum eccezionale che si verifica in pochi casi, e la serietà del tema spingerà le persone a votare. Infatti, la partecipazione è stata sempre alta. Sul referendum abrogativo -art. 75-, è stato invece inserito il quorum per dare una soglia di serietà, perché ad abrogare una legge parlamentare deve essere una porzione significativa di popolo. Il referendum abrogativo in Italia nasce nel 1973, in occasione del quesito sul divorzio: ai primi referendum parteciparono in tanti, l’ 80% della popolazione. Ma negli anni con i troppi referendum abrogativi, si parla di decine, si è creata una disaffezione e il quorum è diventato una barriera all’accesso, perché si calcolano i votanti sugli aventi diritto. E visto che in Italia normalmente il 30% non vota, la lotta nel referendum abrogativo non è più tra il Si e il No, ma fra Si e astensione, perché i partiti che favoriscono il no preferiscono che la gente non vada a votare. Ma così si invalida il referendum partendo col 30% di vantaggio, come se alla partita di calcio parti 3 a 0. Non va bene. Quindi il quorum va studiato con serietà, va prevista una soglia di serietà. Però il referendum per come è adesso è sicuramente antistorico, bisogna ragionare su come favorire la partecipazione.
Danilo Toninelli: Ultimissima domanda. Parto da un esempio: 2014, referendum sull’indipendenza della Scozia, il referendum non è passato; 2016 referendum Brexit, il referendum passa. In occasione del primo, l’estabilishment ha affermato che è stato un grande successo della democrazia; per la Brexit, lo stesso estabilishment ha detto che è stato un errore fare il referendum. La domanda è un po’ tecnica un po’ politica: professore, questo estabilishment ha paura del referendum, o ha paura dell’esito?
Alfonso Celotto: questo è il dilemma tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa. Anche l’esempio di dicembre in Italia ce lo dimostra: in fondo la riforma costituzionale, che è una riforma molto complicata e molto tecnica, è diventata un referendum sulla figura del Presidente del Consiglio, su Renzi. E lui sperava in un plebiscito a proprio favore, approfittando della scelta sulla Costituzione, e invece il popolo ha votato contro. La tua domanda mi fa quindi capire che molto spesso la politica cerca di cavalcare gli esiti della democrazia diretta, però la democrazia diretta è spesso imprevedibile perché il popolo ha una sua anima, una sua pancia, che può essere distante dalla volontà dell’estabilishment. Quindi è giusto che esista la democrazia diretta, e anche che vada guidata, perché non è pensabile che ogni legge sottoposta al Parlamento passi per un referendum popolare. Però la politica deve accettare la volontà popolare, soprattutto se il quesito è posto in maniera chiara, univoca e precisa: a quel punto la sovranità appartiene al popolo, e quando lo chiami a intervenire consapevolmente poi ti devi adeguare alla scelta.
Danilo Toninelli: ringraziamo a nome di tutto il Movimento 5 Stelle il professor Alfonso Celotto. Intervisteremo altri esperti professori di Diritto Costituzionale, per capire se anche loro ritengono che gli strumenti di democrazia partecipativa possano affiancare e integrare la democrazia in maniera sana, per migliorare la partecipazione e il livello qualitativo della nostra democrazia.
Alfonso Celotto: vorrei aggiungere una cosa: il nostro modello costituzionale è un modello ottocentesco. Oggi lo si deve attualizzare, con gli strumenti moderni. Quindi non solo democrazia diretta, ma democrazia diretta partecipata elettronica. Quel modello sarà necessariamente il futuro.