Oggi discutiamo il quarto punto del #ProgrammaLavoro del MoVimento 5 Stelle. Il quesito che troverai nella votazione della settimana prossima sarà: Con quali strumenti si deve superare l’attuale sistema previdenziale a ripartizione con contribuzione obbligatoria stabilita per legge e soglie rigide di uscita dal mondo dell’occupazione?
di Giovanni Mosconi – Dirigente Responsabile della Struttura Complessa di Medicina del Lavoro dell’Ospedale di Bergamo
Buongiorno. Mi chiamo Giovanni Mosconi e sono un medico del lavoro. Dirigo da vent’anni circa un reparto di medicina del lavoro, un osservatorio privilegiato che assiste circa un migliaio di persone all’anno. Lo scopo principale delle nostre attività, oltre a diagnosi di malattie o di deficit funzionali, è il reinserimento lavorativo. Oggi sono qui per parlarvi delle attività considerate lavori usuranti. La questione principale, oggi, è sapere se esiste la necessità di adeguare l’attuale normativa sui lavori usuranti nella nostra legislazione.
Nel mondo scientifico c’è in generale una certa resistenza ad affrontare i problemi legati ai lavori usuranti, perché in linea ideale i lavori usuranti non dovrebbero neppure esistere. Ma concentrandoci sulla realtà i lavori usuranti esistono eccome, sono molti, e molti i lavoratori che oggi hanno problemi di questa natura difficili da riconoscere. Nel nostro reparto abbiamo gestito anche situazioni di una certa drammaticità: come sapete, chi rischia di perdere il posto di lavoro oggi rischia anche di prendere decisioni drammatiche come quella del suicidio.
La crisi economica oggi infatti a cosa porta? Le aziende non hanno più la copertura economica per garantire al lavoratore in condizioni di salute precarie di poter continuare la propria attività. In passato, quando c’era un lavoratore con problemi di salute lo si spostava in magazzino o in portineria; oggi questa possibilità si è ridotta. Un altro grosso problema è quello dell’invecchiamento della popolazione lavorativa, che con l’età sviluppa patologie e malattie rendendo più difficile l’inserimento lavorativo. Soprattutto nei cosiddetti lavori usuranti.
Cos’è un lavoro usurante? La definizione odierna di lavoro usurante è più difficile, a causa delle mutazioni delle condizioni di lavoro in particolare per ragioni tecnologiche. Oggi in giurisprudenza la definizione di lavoro usurante corrisponde ad un’attività svolta con un impegno psicofisico importante, particolarmente intenso e continuato, con fattori di rischio che non possono essere controllati o prevenuti. In sintesi, lavori con un carico eccessivo sul piano fisico o psicologico. Ma mentre il carico fisico è facilmente individuabile in un lavoro pesante, il carico psicologico è molto più difficile da valutare, e questo malgrado a livello europeo sia stato appurato che una delle cause principali di morte per cause lavorative è proprio lo stress, che resta difficilmente misurabile.
Quali sono i parametri che possiamo utilizzare per definire un attività usurante? Uno dei parametri più utilizzati l’aspettativa di vita: se una categoria di lavoratori ha un’aspettativa di vita inferiore vuol dire che quella attività comporta un rischio superiore. Un altro parametro sono le maggiori difficoltà o impossibilità a fare interventi di prevenzione, come accade ad esempio nell’ambito dell’emergenza o del lavoro notturno. Poi i problemi legati all’età, e quindi le funzioni psico-fisiche collegate: sono inferiori ad esempio i tempi di reazione, oppure la visione notturna di corpi in movimento. Guidare un’automobile di notte dopo una certa età è più difficile.
Altri parametri affidabili sono l’età media delle pensioni di invalidità in una certa categoria, o il profilo ergonomico della mansione, o l’esposizione a sostanze pericolose come agenti e chimici e biologici. Anche la risposta individuale meriterebbe un approfondimento, ovvero come le persone abbiano individualmente una risposta diversa ai fattori di rischio nella stessa professione. Normalmente, però, i lavori usuranti non sono riferiti a un solo agente di rischio, ma a un insieme di agenti rischio: un carico di lavoro insieme ad un ambiente confinato, orari di lavoro prolungati e lavori notturni. Anche questo aspetto andrebbe approfondito.
Le categorie più a rischio sono comunque quelle in cui si svolge attività fisica impegnativa con dispendio energetico importante e per un eccessivo numero di ore. Tra queste categorie, la prima che viene alla mente è il lavoro in edilizia. Un lavoro fisico pesante, che comporta trasporto e sollevamento pesi, posture incongrue, movimenti ripetitivi, esposizione ad agenti climatici, al rumore, alle vibrazioni, a sostanze pericolose e anche cancerogene. E’ un ambiente ad alto rischio infortunistico, con il maggior numero di morti professionali in Italia e nel mondo. Il mondo dei trasporti è un’altra realtà tra queste, autisti di mezzi pubblici con un carico di responsabilità rilevante, o camionisti di trasporto merci che si trovano a guidare per ore consecutive con situazioni di alto rischio.
Ma lo stress e la fatica sono notevoli anche nel settore degli artigiani, o per le categoria di lavoratori che svolgono attività meno qualificate come il mondo delle pulizie esposto al rischio di sviluppare malattie croniche; nel mondo della sanità chi deve lavorare di notte. Infine anche i lavori all’aperto sotto il sole o sotto la pioggia, come per i raccoglitori di pomodori o di meloni nei campi d’estate.
In sintesi, oggi nella normativa italiana quelli che mancano all’appello sono soprattutto i lavoratori edili e gli agricoltori, poi anche gli autisti di mezzi pubblici e di merci. Tutto questo significa però che noi stiamo ragionando per rimediare ad una situazione di criticità, che dovrebbe invece essere prevenuta attraverso interventi specifici. Ed è la cosa più importante: volgere la nostra attenzione all’ambito preventivo, e soprattutto non dimenticare che oggi la situazione più usurante è quella di non avere un lavoro.