Con il 58.2% dei voti e punte del 73.5% a Vaud, 72,5% a Ginevra, 69.6% a Neuchâtel e 63.4% a Basilea Città e Vallese, la Svizzera ha detto Sì al referendum sulla Legge federale del 30.09.2016 sull’energia (Lene) e secondo il Partito ecologista svizzero (I Verdi, Grüne, Les Verts), «il sì alla Strategia energetica 2050 è un sì all’uscita dal nucleare e una svolta energetica».
Ma gli ecologisti che si sono battuti per il sì insieme a una vasta coalizione di sinistra, al Partito Verde Liberale e a comunità locali e imprenditori delle rinnovabili, ricordano che questo voto non risolve tutti i problemi: «Adesso bisogna smantellare rapidamente e in tutta sicurezza le nostre vecchie centrali nucleari e infine proteggere efficacemente il clima».
I Verdi spiegano che «la campagna menzognera degli oppositori alla Strategia energetica 2050 non ha avuto l’ultima parola. Dicendo sì alla strategia energetica, la popolazione ha permesso la vittoria di una delle prime rivendicazioni dei Verdi. Grazie alla pressione esercitata dall’iniziativa per un’uscita programmata dal nucleare, è stato possibile forgiare un compromesso in Parlamento, così come convincere la maggioranza della popolazione».
Secondo la presidente dei Verdi svizzeri, Regula Rytz «senza la locomotiva verde, non si può condurre una politica energetica e ambientale degna di questo nome. Si tratta di una cocente sconfitta per i nostalgici del nucleare e gli assetati di petrolio e di un segnale essenziale per la protezione climatica».
I Verdi, Grüne, Les Verts ricordano però che la vittoria al referendum sulla Strategia energetica 2050 significa che la transizione in Svizzera sia davvero avviata e per questo i Verdi del Ticino (dove il sì ha vinto con il 56.7%) sottolineano che «la Svizzera dovrà in ogni dotarsi al più presto di una legge per la riduzione del CO2 al fine di portare un doveroso contributo alla lotta mondiale contro il surriscaldamento climatico. I Verdi si adopereranno anche per un’applicazione della Strategia energetica 2050 a favore degli inquilini, chiedendo una adattamento dell’ordinanza sui diritti di locazione abbassando le tasse a carico degli inquilini in caso di rinnovamenti».
Il partito ecologista svizzero evidenzia che «la strada per l’uscita dal nucleare è ancora lunga ed è quindi fondamentale rafforzare gli standard di sicurezza nelle centrali e per il trattamento e stoccaggio dei rifiuti radioattivi. Infine i Verdi si batteranno contro le obsolete energie e le sovvenzioni, reclamate a gran voce da alcuni ambienti che vorrebbero continuare a mantenere in vita le centrali nucleari in Svizzera. Bisognerà implementare una Strategia energetica ecologica. I Verdi rifiuteranno categoricamente qualsiasi indebolimento della tutela dell’ambiente e sono sicuri che l’implementazione della Strategia è possibile anche in rispetto del paesaggio e della natura. La campagna referendaria feroce ha dimostrato la necessità di stabilire delle basi solide all’interno della società per lanciare il progetto energetico. Questo è il motivo per cui sarà importante organizzare una tavola rotonda nell’alleanza SE2050 per definire i prossimi passi da subito».
Anche il Partito Socialista svizzero è molto soddisfatto dall’esito del referendum che «dimostra l’attenzione e la coscienza della popolazione per la tutela dell’ambiente e del territorio. Un chiaro risultato, espresso dal popolo, che mostra anche il rifiuto delle campagne politiche propagandistiche e menzognere».
Secondo i socialisti, «la Strategia 2050′ permetterà una graduale transizione energetica, di uscire dal nucleare utilizzando fonti energetiche meno inquinanti, una maggiore efficienza e il conseguente risparmio di oltre 10 miliardi all’anno che oggi spendiamo per importare combustibile nucleare e uranio. Ne trarrà beneficio la produzione di energia sul nostro territorio, in particolare il settore dell’idroelettrico ticinese e i suoi posti di lavoro, visto che al momento non riesce più a coprire i costi con la sua produzione di energia a causa dei bassi prezzi di mercato, generati da un nucleare sovvenzionato e dall’importazione di energie fossili. È inoltre una buona notizia che la netta maggioranza della popolazione non abbia ceduto alla campagna propagandistica guidata dall’Udc (Unione democratica di centro, la destra xenofoba svizzera, ndr). Un’inaudita campagna caratterizzata dalle innumerevoli menzogne che hanno riempito le pubblicazioni e i manifesti contro la “Strategia energetica 2050”. La dimostrazione è che oggi più che mai è indispensabile una legge sulla trasparenza che permetta alla cittadinanza di sapere chi finanzia le campagne politiche».
Ora rimane la parte più difficile. Nicola Schoenenberger, co-coordinatore I Verdi del Ticino, è convinto che la battaglia per l’energia sostenibile in Svizzera non sia affatto finita: «La Strategia energetica 2050 è irrinunciabile. Esprimersi su di un referendum ci fa pensare illusoriamente che abbiamo scelta, che volendo potremmo non uscire dal nucleare e andare avanti come fatto fino ad ora. Ma il nucleare è obsoleto, pericoloso e troppo caro, non è in grado di internalizzare i costi (stimati ad almeno 20 miliardi per il solo smaltimento). Non possiamo ignorare il fatto che prima o poi le ormai vecchie centrali concluderanno il loro ciclo di vita e non saranno ricostruite perché mancano gli investitori e il consenso politico. Allora dovremo avere valide alternative, già funzionanti. Arrivare al 2050 senza aver costruito, negli anni, un nuovo sistema di approvvigionamento è impensabile.
Gli oppositori alla strategia energetica si dicono contrari proprio alla costruzione, pianificata, di questo sistema alternativo di approvvigionamento. Ma non propongono misure diverse da quelle elaborate dal Consiglio Federale: si direbbe ignorino il fatto che dal nucleare, che lo si voglia o meno, saremo costretti ad uscire. E cosa faremmo senza una strategia energetica, come sopperiremmo alla mancanza di energia? Dovremmo importarla dall’estero. Che le motivazioni degli oppositori alla Strategia energetica facciano leva sul patriottismo, sulla protezione del nostro mercato interno, è dunque l’ulteriore paradosso di questo referendum. La nostra economia sarebbe messa in difficoltà proprio dalla dipendenza che avremmo dall’estero. I costi graverebbero sulla nostra economia e, proprio noi svizzeri che ci vantiamo di essere l’avanguardia nella ricerca e nello sviluppo, nell’innovatività e nella qualità dei servizi, saremmo i primi a non usare i nostri atout».