di Beppe Grillo
Siamo al passaggio finale in Senato di un disegno di legge che, se venisse approvato, avrebbe il potere di snaturare i Parchi Nazionali, come dicono le associazioni ambientaliste, aumentando il potere di condizionamento dei centri di potere politico locale e introducendo elementi rischiosi di mercanteggiamento su quelle risorse naturali, che proprio nelle nostre aree protette dovrebbero essere tutelate al meglio.
L’intento è quello di riformare la legge sulla aree protette (legge n. 394/1991), una normativa di oltre 25 anni che ha sicuramente bisogno di un tagliando e di un rilancio, non certo di modifiche che ne stravolgano il senso. Oggi i parchi nazionali proteggono effettivamente poco più del 10% del nostro territorio e dovrebbe imparare a custodire con maggiore efficacia e competenza la più ricca biodiversità d’Europa (sì, abbiamo anche questo invidiabile primato). Ma il testo in discussione al Senato non garantisce nulla di tutto questo e quindi va abbandonato o bocciato.
La vera scommessa in gioco, mancata da chi ha redatto la riforma, sarebbe quindi quella di destinare maggiori risorse alla tutela di un patrimonio naturale che contribuisce alla ricchezza della Nazione e di affinare ed estendere le competenze di gestione al di là dei 24 parchi nazionali e delle 30 aree marine protette per garantire una tutela attiva, ad esempio agli oltre 2.200 siti di interesse comunitario localizzati ne nostro Paese, fiore all’occhiello dell’Unione Europea nel mondo.
Invece, ancora una volta, abbiamo a che fare con una bassa cucina della politica, che vuole condizionare le nomine del Presidente e del Direttore dei parchi nazionali, possibilmente senza che abbiano curriculum all’altezza delle sfide in campo naturalistico e ambientale e mira a ridurre le aree marine protette (AMP) ad una sorta di condominii degli enti locali. Questo nonostante le AMP siano preposte alla tutela del bene demaniale per eccellenza: il mare.
Pur di soddisfare gli interessi localistici di questo o quel centro di potere e di alcune categorie economiche (agricoltori e pescatori professionisti), si va ben oltre, mettendo in discussione la stessa competenza dello Stato ad una tutela unitaria di un patrimonio indivisibile, di un capitale naturale che fa parte del patrimonio di tutti/e noi.
E’ la nostra Costituzione che all’articolo 9 chiede che sia lo Stato a tutelare il paesaggio e, quindi, l’ambiente e dovrebbe essere interesse delle nostre istituzioni garantire una rete di aree protette nazionali che costituiscano un’eccellenza nella protezione di habitat e specie vegetali e animali che stanno via, via scomparendo, in questa Italia dove è sempre più raro trovare aree di pregio con un paesaggio o un patrimonio naturalistico non degradato.
E, invece, si vogliono trasformare i parchi nazionali, non in laboratori avanzati di ricerca o in culle per lo sviluppo sostenibile e l’ecoturismo, ma in una sorta di pro loco, di camere di commercio (con tutto il rispetto per la funzione di questi enti) che càmpino sui proventi derivanti dalla messa sul mercato dei marchi di qualità concessi dai parchi e soprattutto da introiti derivanti da royalties una tantum, da compensi per l’esercizio di attività economiche produttive esistenti nelle aree parco. Insomma, una licenza a continuare ad inquinare nelle aree di maggior pregio così, ottenuta, per giunta, pagando un modico prezzo, una volta per tutte. Pensiamo cosa significhi assecondare questo andazzo, aprendo quindi un varco ad attività come quella delle trivellazioni per la ricerca e coltivazione degli idrocarburi, che già stanno condizionando pesantemente il futuro di un Parco Nazionale come quello della Val D’Agri.
E la deviazione dal mandato principale, dalla missione affidata ai parchi nazionali viene ribadita anche nel caso della gestione dell’area del Delta del Po (il sistema di zone umide più esteso del Paese), dove 20 anni di gestione inefficiente dei due parchi regionali (veneto ed emiliano romagnolo) non hanno insegnato niente. Nel disegno di riforma si propone la nuova istituzione di un parco ibrido in cui le Regioni, che sinora non sono state colpevolmente all’altezza, conservano forte potere di condizionamento e dove gli obiettivi di sviluppo economico, tout court, sono equiparati a quelli propri delle aree protette, che dovrebbero aiutarci a salvare, il salvabile di quelle risorse naturali che vengono rapinate e che, se meglio gestite, contribuirebbero ancor più al nostro benessere, a migliorare la nostra qualità della vita.
La tutela della Natura non può, non deve, essere sacrificata allo sviluppo economico, e lo Stato non può e non deve venire meno al suo mandato costituzionale, consegnando ai soli interessi locali la gestione di un bene comune come il sistema dei Parchi Nazionali e delle Aree Marine Protette, che, a pensarci bene, va ben oltre le nostre responsabilità nazionali ed è bene di tutta l’umanità, solo per un caso affidato ad una entità che si chiama Italia. Una comunità nazionale che dovrebbe risponderne dimostrando di essere all’altezza della sfida. Cosa che, ancora una volta, se questa proposta diventasse legge, non saremmo capaci di fare di fronte al Mondo.