Presente al sit-in anche il nostro Gianluigi Paragone che, da sempre vicino ai cittadini vittime di ingiustizie da parte degli istituti di credito, ha deciso di far sentire il suo sostegno a Sergio e, attraverso lui, mandare un messaggio di speranza a tutti quei cittadini in difficoltà: “oggi si alza un vento nuovo, che forse ci consentirà ancora di credere nel Paese. Io non ho creduto in questo Stato, quello che mi ha messo in questa situazione, nello Stato che ha fatto finta di niente anche quando le Iene hanno contattato il ministro. Non si è mosso nessuno, nessuno mi ha contattato né ha pensato di fare giustizia. In questo caso invece abbiamo ottenuto un risultato e il MoVimento 5 Stelle deve proseguire su questa strada”.
di Gianmarco Corbetta
Fallire per colpa dello Stato. È questa la sorte toccata a molte aziende italiane a causa di un settore pubblico che non paga i suoi fornitori e che ha accumulato nei loro confronti un debito di almeno 65-70 miliardi.
Sergio Bramini, 71 enne, è un imprenditore monzese che ha lavorato per molti anni nella gestione rifiuti. Nel 2011 la sua azienda, Icom Srl, è stata costretta a fallire a causa di mancati pagamenti per oltre 4 milioni di euro, la maggior parte riferiti a servizi svolti per gli A.T.O. (Ambiti territoriali ottimali) siciliani.
Trattandosi di crediti nei confronti della pubblica amministrazione, in teoria la Icom avrebbe potuto cederli alle banche e recuperare il denaro in sei mesi grazie a un meccanismo istituito dal Governo con due decreti nel 2013 e 2014.
In realtà lo Stato italiano, in contrasto con l’Unione Europea, non ha riconosciuto gli A.T.O. come pubbliche amministrazioni. Di conseguenza il curatore fallimentare ha stralciato il 90% dei crediti vantati da Icom equiparando gli A.T.O. a soggetti privati i cui debiti non sono garantiti dallo Stato.
Il problema è che lo Stato, nel tentativo di contenere l’ammontare “ufficiale” del debito pubblico, non ha nessun interesse a riconoscere e accollarsi i debiti commerciali contratti dalle pubbliche amministrazioni.
Alla fine chi ci rimette è l’imprenditore. Il signor Bramini, dopo aver tentato in tutti i modi di salvare l’azienda e i posti di lavoro dei suoi dipendenti, ipotecando perfino la propria abitazione, sta per finire in mezzo a una strada. La battaglia legale che ha condotto per cercare di ottenere giustizia non ha dato i risultati sperati: la sua abitazione è stata messa all’asta.
Di fronte a questa inaccettabile ingiustizia causata dallo Stato italiano ai danni di un cittadino, ho deciso di intervenire per evitare lo sgombero dell’abitazione istituendovi il mio ufficio ed eleggendovi il mio domicilio di parlamentare, a cui la Costituzione riconosce un diritto di inviolabilità.
Oggi sono al sit-in organizzato da Bramini presso la sua abitazione, riceverò insieme a lui le autorità che si presenteranno per effettuare lo sgombero e comunicherò loro che, nel rispetto dell’inviolabilità del mio domicilio di parlamentare, lo sgombero non potrà essere eseguito.
Quello che mi preme sottolineare è che il mio non vuole essere un gesto ostile nei confronti del Tribunale di Monza e delle forze dell’ordine chiamate ad eseguire lo sgombero: con l’elezione dell’abitazione del signor Bramini a mio domicilio parlamentare ho voluto offrire a tutti gli attori coinvolti, oltre a uno spunto di riflessione sulle conseguenze dell’inefficienze dei sistemi di pagamento dello Stato nei confronti dei propri fornitori, una via d’uscita legale da una brutta situazione che, ne sono certo, non piace a nessuna delle parti in causa.