di Luigi Di Maio, Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico
Sono contento che dopo anni di battaglie oggi ci sia un consenso pressoché unanime nell’affermare che lo sviluppo di Internet, della banda larga, l’accesso alla rete per tutti e la velocità con cui i cittadini possono operare sul web, sia diventata una cosa scontata. Direi uno dei diritti inalienabili dei cittadini.
Tuttavia, ancora oggi e lo voglio dire in questa occasione, la rete sta correndo un grave pericolo. E il pericolo arriva direttamente dall’Europa e si chiama riforma del copyright. La scorsa settimana è passata una linea che maturava dopo almeno due anni di contrattazioni.
Una linea controversa, proposta inizialmente dalla Commissione europea, che riporta due articoli che potrebbero mettere il bavaglio alla rete così come noi oggi la conosciamo. Il primo prevede un diritto per gli editori, i grandi editori di giornali, di autorizzare o bloccare l’utilizzo digitale delle loro pubblicazioni introducendo anche una nuova remunerazione per l’editore, la cosiddetta link tax.
In poche parole quando noi condividiamo un articolo ed escono quelle tre o quattro righe al di sotto del link, ecco quelle tre o quattro righe verrebbero tassate. Dicono pure che sia un modo per migliorare la qualità dell’informazione. L’Europa dovrebbe puntare sulla cultura e sull’istruzione, per fare in modo che i suoi cittadini capiscano cos’è una fake news invece preferisce inondare di nuove tasse perfino le tre righe che escono quando condividiamo un articolo o un’informazione in generale.
Il secondo articolo è perfino più pericoloso del primo, perché impone alle società che danno accesso a grandi quantità di dati di adottare misure per controllare ex ante tutti i contenuti caricati dagli utenti. Praticamente qualunque cosa venga caricata che abbia anche solo una parvenza di ledere il diritto d’autore, e con questo mi riferisco a qualsiasi immagine per esempio, e sottolineo qualsiasi, potrebbe essere bloccata da una piattaforma privata.
Praticamente deleghiamo a delle multinazionali e neanche loro credo lo vogliano – che spesso nemmeno sono europee, il potere di decidere cosa debba essere o meno pubblicato. Cosa è giusto o sbagliato. Cosa i cittadini devono sapere e cosa non devono sapere. Se non è un bavaglio questo ditemi voi cos’è un bavaglio. E pensiamo anche alle piccole e medie imprese di questo settore, che non avranno mai la potenza economica per affidarsi ad un algoritmo che decide cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Quindi mentre si parla di dati statistici che ci vedono occupare la 25a posizione nella classifica dei 28 Stati membri dell’Unione europea in merito ai progressi del settore digitale. Mentre il quadro sull’utilizzo delle tecnologie ICT da parte di cittadini e imprese mostra un impiego sempre più diffuso ed evoluto di queste tecnologie nelle attività economiche e nella vita quotidiana, l’Unione Europea ha preparato un bavaglio per limitare la libertà d’espressione dei cittadini.
È inaccettabile. E come governo ci opporremo. Faremo tutto quello che è in nostro potere per contrastare la direttiva al Parlamento europeo e qualora dovesse passare così com’è, dovremo fare una seria riflessione a livello nazionale sulla possibilità o meno di recepirla. Perché internet dev’essere mantenuta libera, indipendente, al servizio dei cittadini. Nessuno può permettersi di fare azioni di censura preventiva, nemmeno se quel qualcuno si chiama Commissione europea.
Questo provvedimento, contro il buon senso, ci riporterebbe indietro di vent’anni e consentirebbe di concentrare il potere nelle mani di poche persone. Di poche piattaforme e di poche multinazionali. Questa direttiva è la plastica dimostrazione che qualcosa in quei palazzi, e mi riferisco al Parlamento europeo in questo caso, c’è qualcosa che non funziona.
E questo qualcosa è una città intera di lobbisti che si muovono all’interno delle istituzioni comunitarie senza l’obbligo di dire cosa fanno, chi rappresentano, con chi parlano, quanto guadagnano e da chi sono pagati. Intendo una città intera di lobbisti che influenza il processo decisionale non a caso, perché stiamo parlando di almeno 30mila lobbisti che ogni giorno entrano in quei palazzi.
Non hanno l’obbligo di dichiarare qual è il loro mestiere e possono facoltativamente iscriversi ad un “registro di trasparenza“. Viene sollecitata sin dal 2008 la creazione di un registro obbligatorio per i rappresentanti d’interessi specifici attivi nelle istituzioni dell’UE, sottolineando come solo uno strumento simile assicurerebbe il pieno rispetto da parte di quest’ultimi del loro codice di condotta. Stranamente non se n’è mai fatto nulla.
Il Governo italiano non può accettare passivamente un provvedimento studiato e preparato a tavolino dalle lobby dei grandi editori multimiliardari che spostano e occultano il diritto all’informazione. Non è bastato lo scandalo di cambridge analityca per fare capire a questi signori che il potere non deve essere accentrato nelle mai di pochi, ma condiviso con i cittadini.
Le nostre soluzioni non passano per i bavagli dobbiamo iniziare ad occuparci di come sviluppare una piena cittadinanza digitale; investire sulla cultura in modo che si faccia un corretto utilizzo della rete, potenziando la formazione e le conoscenza sulle sue potenzialità e sviluppare un’etica digitale. Un’etica che deve equivalere a quella della vita di tutti i giorni, un’etica che deve venire prima di tutti dal Governo del Paese, come abbiamo sempre ripetuto.
Il processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione deve diventare omogeneo, in particolare per tutti gli adempimenti burocratici che devono essere tagliati e quando necessario, digitalizzati. E mi riferisco alla gestione amministrativa dei rapporti di lavoro; alla semplificazione degli adempimenti contabili per la creazione di un fisco digitale; all’ammodernamento tecnologico e digitale del servizio sanitario nazionale; all’innovazione digitale nella didattica. Da questo punto di vista sarà ad esempio incentivata l’offerta formativa online e telematica delle università statali; dobbiamo anche intervenire nell’ambito del marketing turistico che non può più prescindere dal processo di digitalizzazione dell’offerta turistica.
Per fare questo non servono rivoluzioni, ma occorre puntare sul capitale umano. Investire nelle persone per potenziare le competenze digitali di chi lavora nella pubblica amministrazione, anche in continuità con il passato. E in questo senso rivolgo un apprezzamento al team per la Trasformazione Digitale di Diego Piacentini.
Dal punto di vista delle tecnologie invece questo Governo proseguirà il percorso di potenziamento delle infrastrutture di rete, proseguendo gli investimenti nel piano Banda ultralarga e 5G. Riteniamo che garantire l’accesso a una rete veloce a tutti possa garantire uno sviluppo della conoscenza, dell’impresa e quindi anche dell’economia italiana.
Intendiamo anche completare la riforma del roaming a livello europeo, che ad oggi seppur un passo in avanti rimane una riforma monca, perché non risolve il problema delle tariffe per le chiamate internazionali. Già in Europa è passata la linea con la quale chiedevamo che qualsiasi differenza di prezzo tra le chiamate nazionali e le chiamate intraeuropee venisse eliminata, a meno che il fornitore non dimostrasse che tali differenze fossero dovute a differenze oggettive in termini di costi. Questi costi che oggi permangono anche se limitatamente, devono essere completamente eliminati, in modo da dare ulteriore slancio alle piccole e medie imprese che fanno ad esempio dell’export un cavallo di battaglia.
Investiremo ancora maggiormente per avere una banda ultra larga che copra tutta l’Italia, da Nord a Sud. Lo faremo perché questa azione rappresenta un moltiplicare economico per la nostra economia e per la creazione di posti di lavoro. Dobbiamo agganciare a questo treno, scordarci le restrizioni che alcuni vorrebbero imporci. Da sempre la forza politica da cui provengo lavora affinché un giorno i referendum via Rete, senza quorum e propositivi, possano diventare la normalità. E per far questo, ma anche per una idea di cittadinanza digitale che non possiamo ulteriormente rimandare, è necessario che la connessione a Internet diventi un diritto primario di ogni singolo cittadino.
E immagino uno Stato che, per tutelare questo diritto, interviene e fornisce gratuitamente una connessione a Internet di almeno mezz’ora al giorno a chi non può ancora permettersela. La Rete è al centro del cambiamento. E questo cambiamento non può più aspettare!