L’intervista integrale di Davide Casaleggio a La Verità

Tutti la descrivono come l’uomo che muove i fili nell’ombra. Il New York Times l’ha definito “potenzialmente l’uomo più potente d’Italia”. Dica la verità: almeno un po’ la fa piacere?
Credo più nel potere delle idee che in quello degli uomini. Le idee restano, crescono, si moltiplicano e cambiano la storia. Gli uomini sono solo interpreti del momento. Queste definizioni mi fanno sorridere, perché capisco che non è ancora chiara la portata del cambiamento che la nostra società sta vivendo.

Altri giornali parlano di “enigma Casaleggio”. Non crede che i suoi silenzi contribuiscano a crearle attorno un alone di mistero?
Sono una persona riservata per natura e alle parole, generalmente, preferisco i fatti.

Lei non vuole entrare nel merito delle decisioni spicciole della politica. Ma, in generale, possiamo dire qual è il cambiamento che lei immagina? E quello intrapreso dall’Italia va nella direzione giusta?
La nostra società sta vivendo un profondo cambiamento, grazie alla diffusione capillare di internet che deve essere inteso come un diritto, un bene essenziale al quale tutti i cittadini devono avere accesso. La Rete sta modificando tutti gli ambiti sociali, dai sistemi produttivi, ai servizi, alle relazioni tra le persone a quelle tra Stato e cittadino. Il nostro Paese non può sottrarsi a questo processo, può subirlo oppure guidarlo. Penso che sia meglio la seconda ipotesi e mi impegno per questo.

Si aspettava più o meno resistenze?
Tutti i processi di cambiamento comportano resistenze da parte di coloro che non li comprendono e quindi ne hanno paura.

Lei punta molto sull’innovazione. Ma i robot non rischiano di distruggere posti di lavoro? Di sostituirsi agli uomini? Non lo stanno già facendo? Non si rischia spingendo questo processo all’estremo?
Chi non innova distrugge posti di lavoro. Nell’illusione di difendere un posto di lavoro si perde l’opportunità di creare quello che verrà. Penso, ad esempio, a chi con l’avvento delle macchine voleva continuare a costruire carrozze senza comprendere quello che sarebbe successo nei cento anni successivi. La scelta più miope che si possa fare è rallentare l’innovazione in Italia aspettando di vederla arrivare importata da multinazionali estere. A quel punto potremo solo chiudere le nostre aziende e sperare in un posto di lavoro alle loro dipendenze. L’innovazione genera opportunità e sviluppo, genera crescita, nascita di nuove aziende e quindi di nuovi posti di lavoro.

Ci si potrà fidare di una società completamente robotizzata? E se i robot si ribelleranno agli uomini?
Credo che questa sia una visione più che altro cinematografica, che ha bisogno di raffigurare la robotizzazione come robot dalle sembianze umane. Oggi stiamo assistendo a un’evoluzione incredibile sul fronte della computazione dei processori e dello studio del funzionamento del cervello umano. Credo di più in un’evoluzione dell’estensione delle capacità umane, come quella in sviluppo da Neuralink di Elon Musk, che nella creazione di robot umanoidi come quelli che vediamo nei film.

Non è il caso di “fermare le macchine”?
È una domanda che si sono posti in molti nei secoli passati, ma sono sempre state persone rimaste dalla parte sbagliata della storia. I luddisti, che all’inizio del 1800 distruggevano i telai meccanici, lo facevano con l’illusione che sarebbe stato sufficiente distruggerne alcuni per arrestarne l’avvento e con la miopia di non rendersi conto che presto si sarebbe aperto un enorme nuovo mercato del tessile che avrebbe generato molte nuove opportunità.

Chi pagherà l'”ozio creativo” degli uomini? E in che modo? Non teme l’accusa di immaginare una società in qualche modo “comunista”?
L’ozio creativo è un concetto antico che non ha mai avuto un’accezione negativa, anzi era il momento in cui nascevano le idee e si sviluppavano il pensiero, la cultura, le arti, le scienze. Era considerato un momento necessario e insostituibile per il benessere del singolo e per il progresso della comunità. La nostra società ha bisogno di tornare a pensare, a immaginare nuove soluzioni per creare nuove opportunità. L’innovazione tecnologica, in realtà, consentirà la nascita di un nuovo umanesimo. Per il resto, continuiamo a riferirci a etichette del passato che oggi non hanno più senso. “Comunista” è una di queste.

A questo proposito: molte accuse alla cultura che sta dietro al Movimento 5 Stelle di essere nemica delle imprese e di chi produce ricchezza…
Credo che questa sia un’accusa senza alcun fondamento. Basti pensare che i parlamentari del MoVimento 5 Stelle per tutta la scorsa legislatura si sono dimezzati lo stipendio per finanziare il fondo del microcredito per le PMI con milioni di euro che hanno sostenuto migliaia di aziende. I fatti parlano più delle parole. Senza contare tutte le iniziative e le proposte di legge presentate in Parlamento e nel programma di governo proprio per sostenere le aziende che operano in Italia.

C’è stato un pregiudizio positivo nei confronti dei giganti della new economy? Non le sembra che siano diventati i padroni del mondo? E’ necessario limitare la loro azione? O almeno evitare che eludano il pagamento delle tasse?
I giganti della new economy sono diventati tali perché hanno colto prima degli altri le straordinarie opportunità della Rete e hanno generato profitti e lavoro diretto e indotto per milioni di persone. Dialogare con loro è fondamentale, ma resta il fatto che le multinazionali devono pagare le tasse dove generano i profitti. Questo anche tramite un’armonizzazione dei sistemi fiscali europei. Trovo molto scorretto ad esempio il dumping fiscale da parte di un Paese all’interno dell’Unione Europea come l’Irlanda, che ovviamente attrae aziende che vogliono mettere piede in Europa a basso costo, danneggiando gli altri Paesi dell’Unione.

I social network ci rendono più stupidi?
Sono un mezzo di comunicazione come lo sono i giornali, le tv, i manifesti e così via. C’è un’enorme offerta di contenuti diversi per qualità e tipologia. Sta a noi scegliere.

Più aggressivi?
Questo dovrebbe chiederlo a uno psicologo piuttosto che a me. Certamente manca l’educazione all’uso dei social e della Rete in generale. Nelle scuole andrebbe insegnata ai bambini fin da piccoli.

Favoriscono il populismo? Che cos’è il populismo?
Danno voce a tutti indistintamente, sono molto democratici. Poi c’è chi queste voci le ascolta e chi le ignora. Se populismo significa ascoltare le persone invece che stare rinchiusi in una turris eburnea senza alcun contatto con la realtà quotidiana, allora si potrebbe dire di sì. Ma anche “populismo” è una vecchia categoria…

Lei crede che gli italiani siano animati da invidia sociale?
Non credo che gli Italiani siano socialmente invidiosi per natura. Piuttosto bisogna riflettere sul fatto che l’ascensore sociale è ormai bloccato da molto tempo per ragioni che non hanno nulla a che vedere con le origini famigliari o il diritto di nascita, ma piuttosto con le politiche statali del passato che si sono progressivamente disinteressate delle fasce più deboli del Paese, delle periferie e del loro malessere. La cristallizzazione della ricchezza nelle mani di un gruppo sempre più ristretto di persone, l’impoverimento della classe media e l’innalzamento della fascia di povertà sono dinamiche dalle quali il nostro Paese non è immune e sono sempre più evidenti.

Le nuove tecnologie ci rendono tutti più controllabili?
Sono trent’anni che si parla di Grande Fratello, ben prima delle nuove tecnologie. Direi che il tema risieda altrove, non nel progresso tecnologico.

Ci rendono tutti più pigri?
Dal mio punto di vista ci rendono più liberi.

Non ha paura di un mondo in cui anche i geni dell’uomo si possono cambiare con un clic?
Credo fermamente nell’uomo e nella sua intelligenza. Il metodo Crispr di editing del DNA è sicuramente rivoluzionario e le sue applicazioni dovranno essere valutate dal punto di vista bioetico come molte altre innovazioni mediche che abbiamo avuto nel passato.

Nel futuro che lei immagina varrà sempre il principio dell'”uno vale uno”? Non si rischia il trionfo dell’incompetenza?
“Uno vale uno” non significa “uno vale l’altro”. “Uno vale uno” è il fondamento della democrazia diretta e partecipativa. I grandi cambiamenti sociali possono avvenire solo coinvolgendo tutti attraverso la partecipazione in prima persona e non per delega. Non servono baroni dell’intellighenzia che ci dicono cosa fare, ma persone competenti nei vari ambiti che ci chiedano verso quali obiettivi vogliamo andare e che propongano un percorso per raggiungerli. L’incompetenza è spesso la scusa che si adotta per non far partecipare le persone alle scelte importanti che le riguardano.

E’ soddisfatto di come è stata selezionata la classe dirigente del Movimento 5 Stelle?
Molti di loro sono alla prima esperienza nelle istituzioni e, da questo punto di vista, possiamo considerarli inesperti. Ma sono esperti del paese reale, perché lo hanno vissuto fino a poche settimane fa e credo che a Roma ci sia necessità di un po’ concretezza e realismo. Per il resto, il Movimento ha portato in Parlamento il maggior numero di laureati o addirittura con titoli accademici superiori alla laurea.

Pensano che siano in grado di scalfire la resistenza della burocrazia?
Vede, a questo tipo di domande non posso che rispondere nello stesso modo: c’è un cambiamento in atto che è ineluttabile e investirà tutti gli ambiti sociali, istituzioni pubbliche incluse. Innovazioni come la blockchain rivoluzioneranno anche questi settori che necessariamente dovranno modificarsi ed evolversi. Non c’è alternativa.

Come definirebbe la burocrazia italiana?
In uno stato affetto da iperproduzione normativa, la burocrazia inevitabilmente assume un ruolo centrale e diventa spesso depositaria di un sapere quasi esoterico.

Nel futuro che lei immagina esiste la democrazia diretta? E si esprime tramite Internet?
La democrazia partecipativa è già una realtà grazie a Rousseau che per il momento è stato adottato dal Movimento 5 Stelle, ma potrebbe essere adottato in molti altri ambiti. I modelli novecenteschi stanno morendo, dobbiamo immaginare nuove strade e senza dubbio la Rete è uno strumento di partecipazione straordinario. Per questo la cittadinanza digitale deve essere garantita a tutti.

Per cui la democrazia rappresentativa è superata?
La sfiducia dei cittadini nella classe politica ha radici lontane e lo scollamento tra i palazzi e la vita reale non è una novità. Nonostante questo, per lungo tempo il metodo della rappresentanza è stato il migliore metodo possibile. Oggi però, grazie alla Rete e alle tecnologie, esistono strumenti di partecipazione decisamente più democratici ed efficaci in termini di rappresentatività del volere popolare di qualunque modello di governo novecentesco. Il superamento della democrazia rappresentativa è quindi inevitabile.

Se lei dovesse immaginare una riforma dello Stato, il Parlamento a) ci sarebbe b) ci sarebbe con meno poteri c) non ci sarebbe?
Il Parlamento ci sarebbe e ci sarebbe con il suo primitivo e più alto compito: garantire che il volere dei cittadini venga tradotto in atti concreti e coerenti. Tra qualche lustro è possibile che non sarà più necessario nemmeno in questa forma.

E l’Europa? Dovrebbe avere più o meno poteri?
All’Europa è stato dato moltissimo potere negli ultimi anni e questo si è tradotto in uno squilibrio rispetto alla legittima sovranità nazionale dei singoli Paesi aderenti. Sono stati adottati strumenti come il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio in Costituzione che hanno certamente soddisfatto l’Europa o meglio alcuni altri Paesi europei, ma che sono stati percepiti come calati dall’alto dai cittadini, sebbene, in ultima analisi, siano loro a subirne le conseguenze sulla propria pelle. L’Unione Europea è certamente una risorsa preziosa ma servono maggiori strumenti di partecipazione. Un esempio potrebbe essere l’introduzione del referendum popolare obbligatorio per la ratifica di qualunque trattato.

Si sente minacciato dai mercati finanziari internazionali?
Ai mercati finanziari internazionali interessano stabilità e politiche di governo rivolte alla crescita e allo sviluppo economico. Mi sembra che per il momento l’Italia stia dando prova di entrambe.

Che cosa pensa quando in Italia scatta l’allarme spread?
L’allarme spread è stato usato come uno spauracchio per orientare l’opinione pubblica e far accettare misure che altrimenti non avrebbero trovato spazio nel nostro Paese. Certamente è un parametro di cui tenere conto, ma non è l’unico.

I parametri europei su deficit e debito vanno rispettati?
Il tetto del 3% è anacronistico e soprattutto non tiene conto di quanto avvenuto sul piano economico negli ultimi dieci anni. L’Italia ha resistito alla crisi grazie a una straordinaria solidità che le ha consentito di superare il momento critico. Ora ha bisogno di supporto per rilanciare l’economia interna e tornare a crescere. In questo senso serve flessibilità. I finanziamenti per sviluppare l’economia non devono essere conteggiati in questo limite. Il rilancio italiano sarebbe un traino importantissimo per tutta Europa.

La globalizzazione va fermata? Anche attraverso dazi? O va assecondata?
Oggi il principale veicolo della globalizzazione è la Rete che è ormai un grande mercato globale. Ogni giorno entra direttamente nelle nostre case attraverso l’e-commerce, che sta registrando una crescita esponenziale. Come si può pensare di fermare questo fenomeno con i dazi? Piuttosto il sistema paese dovrebbe essere in grado di operare in modo sinergico su più fronti e sfruttare questa opportunità per la promozione del Made in Italy nel mondo con lo scopo di generare ricchezza nel Paese. In questo quadro, è necessario intervenire anche sulle aziende disincentivando la delocalizzazione.

Non si rischia attraverso la globalizzazione di importare condizioni di lavoro da Terzo Mondo anche in Italia?
In Italia esistono tutele dei lavoratori tra le più alte in Europa. Un adeguamento su questo fronte sarà necessario, ma in relazione alle nuove modalità di lavoro che si stanno imponendo come conseguenza del cambiamento in atto, non certo per via dell’immigrazione.

Il filosofo Diego Fusaro, ospite dell’ultimo Sum, dice che l’immigrazione è una “deportazione di massa”, uno “schiavismo” che viene utilizzata per ridurre i diritti dei lavoratori nei Paesi europei. Lei condivide?
Non condivido questa posizione.

Lei è favorevole all’accoglienza sempre e comunque?
L’immigrazione è un fenomeno globale che l’Italia vive in prima linea per ragioni storiche e geografiche. Non può essere totalmente deregolamentata. Deve essere gestita sul duplice fronte della cooperazione internazionale e della creazione di vie di immigrazione legale.

L’immigrazione è una vera emergenza o una paura creata ad arte?
Quello che conta è la percezione che ne hanno i cittadini che quotidianamente si confrontano con l’immigrazione nelle città, nei paesi e sul territorio.

La questione sicurezza: esiste davvero o è solo percepita?
Gli ultimi dati sono confortanti, l’Italia è un Paese sicuro. Credo che come in ogni cosa della vita, si debbano evitare gli estremismi.

I puri devono stare attenti perché c’è sempre qualcuno più puro che li epura: lo diceva Pietro Nenni. Secondo lei è vero?
Dal momento che la purezza è un valore positivo, ben vengano i più puri che epurano i meno puri.

Bisogna moralizzare l’Italia? Come?
Più che di moralizzazione, a mio parere l’Italia avrebbe bisogno di recuperare la dimensione civica. Per questo scopo il ruolo delle scuole è fondamentale.

Non teme che si possa scivolare nel giustizialismo?
Il giustizialismo è un’aberrazione che trova spazio dove mancano cultura ed educazione civica.

Ci sono molte polemiche sull’associazione Rousseau di cui è presidente. Quali sono i rapporti tra Associazione Rousseau e Casaleggio Associati?
L’unico rapporto oggi riguarda la mia persona, dal momento che sono presidente di entrambe.

Eppure la sede è la stessa, il presidente è lo stesso, la sovrapposizione quasi perfetta. Come lo spiega?
Le persone che collaborano a Rousseau sono distribuite in tutta Italia e qualcuna anche all’estero. Per legge un’associazione deve avere una sede fisica, un indirizzo e un numero di telefono. Quindi formalmente la sede è dove ho l’ufficio essendone il presidente. Questo è un tipico esempio di quello che dicevo poco fa: la Rete consente a persone che si trovano in luoghi molto distanti tra loro di collaborare a un unico progetto. La legge, però, ci impone di indicare luoghi fisici. Vecchi schemi applicati a nuovi modelli.

I parlamentari 5 stelle devono versare ogni mese 300 euro all’Associazione Rousseau. I parlamentari 5 stelle sono 331. Ciò significa che ogni mese nelle casse della Associazione Rousseau entrano 99.300 euro. Cioè 1.191.600 euro l’anno. Quasi 6 milioni nella legislatura. Ho sbagliato i calcoli?
Questo è un altro punto che ci differenzia. Sinceramente non comprendo come sia possibile che i partiti in Italia chiedano contributi ai loro eletti in parlamento fino a 10 volte tanto dopo aver tra l’altro incassato decine di milioni di euro di finanziamenti pubblici. È di venerdì scorso la notizia che Pietro Grasso è stato condannato a versare al PD oltre 83mila euro di contributi non pagati al partito. Nel MoVimento dichiariamo sempre in modo trasparente gli impegni dei nostri eletti e le finalità delle raccolte fondi.

Come vengono utilizzati quei soldi? Lei, in passato, ha parlato di “costi di mantenimento della piattaforma”, di “sviluppo”, di “sicurezza”: può spiegarci esattamente di cosa si tratta?
Il contributo all’associazione serve al mantenimento della piattaforma Rousseau che oggi conta undici funzioni al servizio degli iscritti al MoVimento, a migliorare questi servizi, a crearne di nuovi, ma anche a supportare la realizzazione degli eventi sul territorio come il Rousseau City Lab e altri progetti come la Rousseau Open Academy. Si tratta di un’associazione senza fini di lucro, questo significa che non può fare utili.

Si tratta di una forma di finanziamento pubblico della politica (seppur sotto forma di versamento volontario)?
Mi sembra un’interpretazione maliziosa. I parlamentari versano una quota che sottraggono al proprio stipendio come farebbe chiunque altro con qualunque altra associazione culturale.

Come garantirà la trasparenza di queste spese?
Il conto economico dei primi due anni di vita dell’associazione è già stato reso pubblico sulla pagina trasparenza del sito e, nonostante non fossimo tenuti a farlo, lo abbiamo anche inviato alla commissione di controllo parlamentare.

Il Garante della Privacy ha accusato il sistema Rousseau di essere “obsoleto”. Come risponde?
Abbiamo risolto i problemi riscontrati dal Garante e ci siamo adeguati alle ultime normative entrate in vigore ultimamente, come tutti coloro che hanno a che fare con la raccolta di dati degli utenti.

Dopo Cambridge Analytica molti si sono interrogati sulla sicurezza dei dati in rete e sulla possibilità di influenzare in modo subdolo le elezioni. Lei non teme che la democrazia stia correndo un qualche rischio? Non teme che, al di là delle buone intenzioni di chi organizza un sistema di questo tipo, qualcuno ne possa approfittare?
La sovranità dei dati personali deve essere del singolo. Il caso che cita si basa sul commercio di dati personali in possesso di Facebook e venduti indirettamente alla società di analisi che li ha utilizzati per indicare dove fare pubblicità sui social media e con quali messaggi a varie formazioni politiche in giro per il mondo. Il Movimento 5 Stelle ha scelto un percorso completamente opposto: nell’ultima campagna elettorale è stata l’unica formazione politica dove dal comitato elettorale non è uscito un euro da investire in pubblicità online. Il programma di governo è stato l’esito di un percorso di oltre un anno e mezzo di formazione sui temi, condivisione delle possibili soluzioni e scelta tramite votazioni on line da parte degli iscritti.

Che cos’è la Rousseau Open Academy?
L’obiettivo di Rousseau Open Academy (rousseauopenacademy.com) è costruire una comunità internazionale che, attraverso strumenti di intelligenza collettiva e di democrazia diretta, sia in grado di definire e condividere il concetto di cittadinanza digitale e consentire così a tutti i cittadini di esercitare a pieno i propri diritti. Sono, infatti, nati nuovi tipi di diritti che possiamo esercitare grazie alla Rete. Questi diritti hanno la particolarità di accrescere il loro valore in funzione del numero di persone che li esercitano. È quindi importante spiegare quali sono, come si richiedono e attraverso quali strumenti sono oggi esercitabili.

Suo padre che cosa direbbe oggi?
Una volta disse che uno vale uno, ma un’umanità interconnessa tende all’infinito. Sarebbe contento dei risultati raggiunti e dei progetti futuri.

C’è una cosa che le direbbe di non fare?
Credere a chi dice che è impossibile e non si può fare.

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Ps: Gli eletti che ipotizzano lo scioglimento dell’ente in cui sono eletti entro il 2018, possono candidarsi salvo in fatto che all’atto del deposito della lista verranno depennati tutti gli eletti che 20 giorni prima della data di deposito della lista siano ancora in carica.

Per le selezioni in Sardegna, si precisa che le candidature per il Presidente saranno limitate a coloro che all’atto dell’accettazione della candidatura hanno indicato di volersi candidare a Presidente di Regione. Nel testo di accettazione della candidatura è infatti presente un refuso, secondo cui: “Il candidato più votato in ognuna della quattro province potrà avanzare la candidatura a Presidente”. In base alla vigente legge elettorale, non è possibile candidarsi per entrambe le cariche.