di Dario Tamburrano, EFDD – MoVimento 5 Stelle Europa
Il tentativo di modificare la definizione UE di piccole e medie imprese avrebbe danneggiato una miriade di aziende fondamentali per il nostro Paese. Lo abbiamo sventato. Quando si tornerà a votare la legislazione cercheremo di eliminare ogni residua minaccia.
Era un attacco alle PMI, la miriade di piccole e medie imprese che rappresentano la spina dorsale dell’economia italiana. Mercoledì 4 luglio, al Parlamento Europeo, il M5S ha contribuito in modo decisivo a far sì che questo attacco diventasse molto, molto meno pericoloso. Prossimamente con ogni probabilità si dovrà votare di nuovo sull’argomento e cercheremo di eliminare ogni residua minaccia per il nostro Paese.
La richiesta di cambiare la definizione di PMI. Mettere i pesci piccoli in concorrenza con quelli più grossi
Mercoledì l’assemblea plenaria di Strasburgo era chiamata a votare una risoluzione nata da un’iniziativa del PPE tedesco che sembrava costruita attorno agli interessi nazionali della Germania.
La risoluzione chiedeva alla Commissione Europea di modificare l’attuale definizione di piccole e medie imprese, con lo scopo di includervi soggetti imprenditoriali ben più grandi. In questo modo anch’essi avrebbero avuto accesso più facile ai finanziamenti; avrebbero potuto contare su politiche dedicate (Small Business Act), su procedure amministrative più rapide e meno costose (SME Test) e su agevolazioni nazionali. Praticamente le vere piccole e piccolissime imprese fondamentali per l’economia italiana avrebbero fatto la fine dei pesciolini messi in una vasca insieme a pesci ben più grossi.
La strategia del M5S ha fatto perdere alla richiesta gran parte del suo veleno
Grazie alla strategia che il M5S ha adottato al momento di votare in aula, il testo approvato a Strasburgo ha perso gran parte del suo veleno. E’ sparita l’esortazione a definire le piccole medie imprese anche tramite criteri quali l’elevato volume di esportazioni rispetto al numero di dipendenti, la gestione diretta da parte dei proprietari, l’alto coefficiente di fondi propri. E’ sparita dal testo finale anche l’esortazione a “affrontare le problematiche specifiche” delle imprese a media capitalizzazione (mid caps).
La strategia che ci ha permesso di ottenere questo risultato si chiama “voto separato” (in aula abbiamo fatto votare separatamente dal testo principale uno dei paragrafi più problematici, ed è stato bocciato) e “split vote”. In questo caso abbiamo spezzettato un altro paragrafo inaccettabile in più parti affinché ciascuna di esse fosse votata separatamente: tramite questo escamotage il Parlamento Europeo ha potuto cancellare alcune parole, capovolgendo il senso della frase. Per chi vuole saperne di più vedasi in fondo a questo post gli “ulteriori dettagli”.
La mozione approvata a Strasburgo ed i pericoli residui
Nella risoluzione approvata a Strasburgo sono però rimasti alcuni passaggi indigeribili sia per noi sia per le autentiche piccole e medie imprese italiane ed europee: la Commissione Europea è comunque invitata a rivedere la definizione; si auspica attenzione verso le imprese a media capitalizzazione; si accusa non troppo velatamente che le PMI rinuncino a crescere per non perdere le agevolazioni legate al loro status. L’ultima frase costituisce un invito implicito per chiedere di allargare la definizione di piccole e medie imprese. Dunque, nonostante abbiamo sventato la minaccia maggiore, abbiamo ugialmente votato “no” al testo finale e siamo pronti ad essere vigili, e nel caso a dare di nuovo battaglia, quando la Commissione Europea procederà a rivedere la definizione delle PMI.
La attuale definizione UE di “piccole e medie imprese”
Nell’UE, come recita l’introduzione della mozione approvata a Strasburgo, le piccole e medie imprese sono 23 milioni. Rappresentano il 99% delle imprese europee, impiegano due terzi della popolazione attiva in Europa, assicurano 90 milioni di posti di lavoro.
L’attuale definizione UE di “piccole e medie imprese” facilita la vita alla stragrandissima maggioranza di queste aziende. Essa è contenuta in un allegato di una raccomandazione della Commissione Europea che risale al 2003: le piccole e medie imprese son quelle che occupano meno di 250 persone e hanno un fatturato annuo fino a 50 milioni di euro e/o un bilancio annuo fino a 43 milioni di euro. All’interno di questa categoria sono comprese le piccole imprese (meno di 50 occupati; fatturato o bilancio annuale fino ai 10 milioni di euro) e le piccolissime imprese con meno di 10 occupati e fatturato annuale o bilancio annuo fino ai 2 milioni di euro.
Ulteriori dettagli
Paragrafo 12 prima dello split
Invita la Commissione, oltre a dare la priorità alle misure politiche dell’Unione per le PMI, a esaminare il varo di un’iniziativa destinata alle imprese a media capitalizzazione che non sia semplicemente speculare alle misure per le PMI, ma affronti le problematiche specifiche delle mid-cap e che, avvalendosi esclusivamente di nuove risorse finanziarie, riguardi l’accesso alla cooperazione nel campo della ricerca, le strategie di digitalizzazione, lo sviluppo dei mercati d’esportazione nonché la flessibilizzazione delle norme in materia di protezione dei dati, ove opportuno e pienamente giustificato;
Paragrafo 15 approvato dopo lo “split vote”
Invita la Commissione, oltre a dare la priorità alle misure politiche dell’Unione per le PMI, a esaminare il varo di un’iniziativa destinata al finanziamento che riguardi l’accesso alla cooperazione nel campo della ricerca, le strategie di digitalizzazione e lo sviluppo dei mercati d’esportazione;
Paragrafo cancellato dal voto: criteri aggiuntivi nella definizione di PMI
Su richiesta del M5S (e dei Socialisti) di “voto separato” è stato cancellata la seguente parte di testo. Noi a differenza dei Socialisti abbiamo anche chiesto il RCV ovvero la registrazione di come e chi ha votato a favore o meno (vedasi qui a pag 60 e 61)
Invita a la Commissione ad analizzare i vantaggi di criteri aggiuntivi, tra cui quelli di “impresa fortemente esportatrice” (volume di esportazioni elevato rispetto al numero di dipendenti), “gestita in larga misura direttamente dalla proprietà” e “ad alto coefficiente di fondi propri”, di cui tener conto nel classificare le imprese salvaguardando nel contempo la chiarezza e la coerenza delle norme, e a trarre da tale analisi le debite conseguenze;