Durante un recente evento di Rousseau City Lab, Davide Casaleggio ha intervistato Guido Scorza, autore del libro “Governare il futuro”. Nel video, e di seguito, alcuni passaggi chiave di questa intervista.
Davide Casaleggio: Perché, oggi, è necessario pensare alle leggi del futuro, alle leggi che magari travalicano i confini nazionali? La legislazione vigente non riesce più a gestire da una parte i diritti (diritto di accesso alla rete e di condivisione, di partecipazione, di pubblicazione dei nostri pensieri) e dall’altra i doveri (di potere leggere anche altri pensieri che magari non condividiamo, di rispettare la libertà altrui, cosa che non sempre succede). Come mai è necessario iniziare a pensare a questo tema?
Guido Scorza: Dopo di noi vengono i nostri figli e naturalmente il mondo che lasciamo ai nostri figli è anche quello che riusciremo a lasciargli e a garantirgli attraverso le leggi che stabiliremo adesso. Il problema essenzialmente è uno. Io parlo spesso di dittatura delle policy, e significa che dr oggi c’è una legge che è applicata universalmente e che riguarda oltre 2 miliardi di persone di fatto sono le condizioni generali di Facebook, sono le condizioni generali di Google, sono le condizioni generali di Microsoft. Sono le condizioni generali delle grandi piattaforme che si sostituiscono alla legge e che stabiliscono un po’ di imperio e in maniera certamente poco democratica, salvo pensare alla democrazia del mercato, cioè sono arrivati fin lì perché indubbiamente sono bravi ma cosa possiamo fare o cosa non possiamo fare on line? Cosa possiamo pubblicare o non pubblicare su Facebook, cosa possiamo comunicare attraverso la rete di fatto oggi non lo stabilisce una legge normalmente che esce dal Parlamento ma lo stabiliscono le policy di Facebook.
Davide Casaleggio: Proprio su queste policy dei servizi che oggi normalmente utilizziamo, nel tuo libro dici che se dovessimo leggerle tutte veramente prima di cliccare “ok” e “accetto” ci metteremo 76 giorni e otto ore. È questo il modo in cui possiamo gestire i nostri diritti on line?
Guido Scorza: La mia sensazione naturalmente è che non sia così, credo che d’altra parte se facessimo un esperimento sociologico qui dentro e chiedessimo quanti hanno per davvero letto le condizioni generali di Facebook, quelle di Google o quelle dei servizi utilizzati dando per scontata la sincerità di tutti credo che avremmo un plebiscito verso il no. C’è un esempio secondo me molto efficace su questa società dell’ “accetta e continua”. Uno studio fa un esperimento all’aeroporto di Heathrow a Londra, per l’accesso al wi-fi pubblico, cosa che probabilmente avete sperimentato tutti, mentre siete in attesa all’aeroporto volete mandare la mail, leggere il giornale vi collegate al wi-fi dell’aeroporto. Bene, vi vengono sullo schermo delle condizioni generali, voi avete l’areo dopo venti minuti cliccate su ok e la vostra preoccupazione è vedere le quattro onde del wi-fi essere connesse e cominciare a usare il telefonino.
Cos’è successo in questo esperimento? La società in questione ha inserito nelle sue condizioni generali di contratto qualcosa come: “accettando queste condizioni generali di contratto accetti di vendere il tuo figlio primogenito a noi”. Il risultato? Hanno acquistato circa 1500-1600 primogeniti londinesi e la cosa poi è uscita sul giornale, i passeggeri l’hanno presa così tanto sul serio che la società in questione è dovuta andare da un avvocato, farsi rilasciare un parere e l’avvocato nel parere ha detto “in effetti chi ha accettato il figlio se l’è venduto però per sua fortuna in Inghilterra vendere i bambini è evidentemente un fatto illecito, il contratto è nullo e quindi il figlio è ancora vostro”. Naturalmente questo è un esempio plastico, ma ce ne sono anche al contrario. Nel senso che c’è addirittura una società americana di software che nelle sue condizioni generali di contratto ha detto “se ti scarichi questo software e se me lo chiedi ti regalo mille dollari, non solo non devi pagare nulla ma ti do mille dollari”. Queste condizioni sono rimaste online per un anno e mezzo prima che uno degli utenti dopo migliaia – se ne accorgesse.
Tutto questo ma per dire che prima di governare il futuro il problema sia governare il presente. Tutti quanti purtroppo nel quotidiano accettiamo senza consapevolezza. Il problema è che qui discutiamo di cose tutto sommato simpatiche. Ma quando nelle condizioni generali di Facebook o anche in quelle di Google accetto un termine d’uso che, per esempio, consente a Google o a Facebook in qualsiasi momento di rimuovere qualsiasi mio contenuto semplicemente perché è in contrasto con le policy, (non perché è in contrasto con la legge dello Stato, ma con le policy!) beh, insomma tutto sommato stiamo cedendo un pezzo della nostra libertà per contratto e per un contratto di cui non abbiamo neppure consapevolezza.
Davide Casaleggio: Infatti leggendo il tuo libro ho visto un numero che mi ha sbalordito: un miliardo di volte all’anno viene tolto un link a un contenuto presente in rete da parte di Google. Questo avviene dietro la richiesta di qualcuno che dice «quel contenuto è mio», «quel contenuto è soggetto a copyright». Il tutto senza che un giudice dica se effettivamente il contenuto fosse suo. Per cui questo strumento di censura – perché alla fine stiamo parlando di uno strumento di censura a disposizione di tutti coloro che sanno come funziona – viene applicato da Google, non viene applicato da un giudice o da un ente che può decidere cosa è necessario effettivamente magari oscurare perché è illegale, perché contiene dei contenuti che non possono essere divulgati o perché sono di proprietà di qualcuno. Ma se noi affidiamo la possibilità di censurare la conoscenza, di censurare le informazioni a una multinazionale che tra l’altro lo fa in automatico e quindi non prende neanche una decisione, semplicemente esegue una scelta di chiunque passa da lì e dice «togli questo link da questo contenuto e rendilo invisibile». È questo il modo in cui dovremmo gestire l’accesso alla conoscenza?
Guido Scorza: Naturalmente no, la cosa che mi dà più fastidio è che in realtà Google e Facebook li abbiamo spinti noi in quella direzione e continuiamo a spingerli noi, con le nostre leggi. Abbiamo rischiato di farlo anche recentemente con una proposta direttiva del Parlamento europeo in materia di diritto d’autore. Cioè il tema lì è sostanzialmente questo: le leggi degli stati imputano o vorrebbero imputare in maniera sempre più incisiva a Google, Facebook e naturalmente anche agli altri come loro ai gestori delle piattaforme attraverso le quali vengono pubblicati i contenuti degli utenti, la responsabilità per l’eventuale carattere illecito di quei contenuti.
Google, Facebook e gli altri naturalmente si difendono a modo loro e la difesa è più o meno così: se lo Stato rischia o minaccia di chiamarmi a rispondere per il contenuto pubblicato da Paolo, Francesco e Giovanni io ogni qualvolta ricevo una contestazione da chicchessia in relazione al contenuto pubblicato da Paolo, Francesco, Giovanni posto che nella vita faccio l’imprenditore e quindi io devo rispondere essenzialmente ai miei azionisti minimizzando il rischio e massimizzando il profitto. Io davanti al rischio di dovere rispondere per un contenuto che non ho scritto io, che non ho creato io ma che hanno creato i miei utenti preferisco rimuovere quel contenuto.
Questo è completamente folle, è completamente sbagliato dal punto di vista democratico perché di fatto stiamo andando verso una privatizzazione della giustizia, privatizzazione e automazione della giustizia e noi rischiamo di ritrovarci nello spazio di mesi (perché naturalmente le cose di cui discutiamo non avvengono, non avverranno mai più in anni ma avverranno semplicemente nello spazio di mesi) in un contesto nel quale del lecito e dell’illecito di cui oggi si discute di fronte ai giudici e davanti alle autorità (forme di giustizia sicuramente perfettibili, sicuramente lente, sicuramente migliorabili però è la migliore giustizia che una democrazia riesce a offrire) con un algoritmo, o meglio non discuteremo con un algoritmo di Facebook o di Google che, in maniera semiautomatica, rimuoverà un nostro contenuto non perché è in contrasto con la legge magari ma semplicemente perché Paolo, del quale io nel mio video su YouTube ho parlato male, ma ho parlato male legittimamente, o esprimendo una mia opinione o raccontando un fatto vero, h scritto a Google o meglio all’algoritmo di Google e l’algoritmo di Google ha detto sì? Questo video per me vale 2 mila contatti e quindi è una roba che non riesco nemmeno a calcolare e monetizzare in termini di investimento pubblicitario, meglio rimuoverlo che poi rischiare che Paolo mi faccia causa. Questo naturalmente non ha niente a che vedere con la società del futuro che mi piacerebbe lasciare a chi verrà».
Davide Casaleggio: Possiamo vedere questo diritto anche dall’altra parte. Noi lo vediamo dal punto di vista dell’accesso all’informazione e in questo caso vediamo che ci sono Google, Facebook e altri attori ma chiunque ha una piattaforma e poi viene spaventato dalla richiesta di qualcuno e dice, per non sapere né leggere né scrivere tolgo il link e continuo la mia attività imprenditoriale. E questo è sicuramente un problema per l’accesso all’informazione. Dall’altra parte c’è un diritto di chi ha creato quel contenuto e di chi ha creato dell’artista che ha creato un brano musicale, un film, o dello scrittore che ha creato un testo. E su questo in realtà la storia abbastanza recente è quella che va a tutelare questo diritto. Nel tuo libro ricordi che il copyright è nato sostanzialmente dalla Regione d’Inghilterra nel 1709 e poi è arrivato Topolino che ha sconvolto tutto e ha esteso il diritto. Ci racconti questa storia di Topolino che estende i diritti del copyright?
Guido Scorza: Partiamo dal diritto d’autore ma arriviamo di corsa a Topolino. Quello che non bisognerebbe mai dimenticarsi quando si parla di diritto d’autore o quando si scrivono le leggi sul diritto d’autore è che la legge sul diritto d’autore, le leggi sul diritto d’autore sono davvero delle opere d’arte. È un insieme di leggi bellissime che sono basate però su un principio essenziale: il fine è massimizzare la produzione di contenuti creativi, culturali e informativi. Il mezzo per farlo è l’incentivo economico all’autore e all’editore. Devo spingere attraverso l’incentivo economico, gli autori e i creatori di opere a creare opere e a metterle a disposizione della comunità, quello è la scommessa dello Stato.
Per realizzare questo risultato tutti i sistemi di proprietà intellettuale in tutto il mondo quando sono nati sono stati basati su un bilanciamento, io Stato riconosco all’autore o all’editore per un certo numero di anni il diritto a un incentivo economico, cioè a escutere un compenso da chi sfrutta commercialmente quell’opera, dopodiché – scaduto un certo numero di anni – do per incentivato quell’autore e cioè dico ha guadagnato abbastanza da che sarà spinto ancora a creare nuove opere e quell’opera deve cadere in pubblico dominio, cioè essere a disposizione della collettività. Quando questo meccanismo straordinario entra nell’impresa – e Disney è naturalmente una delle prime imprese che è diventata grande sul diritto d’autore, qualcosa comincia ad andare storto. La storia di Topolino è particolarmente significativa: quando arriva sul mercato, infatti, il diritto d’autore negli Usa è di 25 anni. Dopodiché, ogni volta che si arriva vicini alla scadenza del diritto d’autore per Topolino, negli Stati Uniti (da noi c’è una storia analoga coi Beatles), interviene il Congresso e dice: «no, i diritti di Topolino non possono cadere, topolino non può diventare di tutti», e i termini vengono allungati. E sarà così ancora. La storia di Topolino negli USA ha dato anche il nome all’ultima legge sulla proroga dei diritti di autore: Mickey Mouse Protection Act.