la dichiarazione di voto di Tiziana Ciprini alla Camera dei Deputati per la votazione finale del Decreto Dignità
Il decreto Dignità che stiamo per approvare in questo ramo del Parlamento persegue 2 principali e fondamentali obiettivi: aggredire la precarietà e rilanciare l’economia del Paese attraverso il lavoro stabile e qualificato. Che ci sia in Italia un’emergenza precariato a causa dell’utilizzo selvaggio dei contratti a termine – e quindi la necessità e urgenza di intervenire con un decreto – sono gli stessi dati ISTAT a denunciarlo. È record storico di lavoratori a termine: 3 milioni e 105 mila nel giugno 2018 contro i 2 milioni e 280 mila del giugno 2008.
In 10 anni quasi 1 milione di lavoratori in più sono entrati nel circolo vizioso del precariato.
Nel 2017 l’84% dei nuovi contratti sono stati a tempo determinato. Questo significa che attualmente in Italia abbiamo un mercato del lavoro completamente fuori legge. Perché dico questo? Perché se 4 contratti su 5 sono a termine e solo 1 a tempo indeterminato vuol dire che siamo in piena violazione persino del Jobs Act, all’art. 1, che afferma che “Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro.”
Ma avere un mercato del lavoro fuorilegge non è degno di un Paese civile come il nostro, dove negli anni si è assistito a liberalizzazioni da selvaggio West che hanno finito per togliere diritti e ricchezze, sia individuali che collettive. Ecco perché riteniamo civile, degno e democratico intervenire con una legge d’urgenza per ricondurre il contratto a termine nell’alveo fisiologico di utilizzo, in linea con le direttive e raccomandazioni europee.
La direttiva europea 99/70, per esempio, ha condannato l’abuso della reiterazione dei contratti a termine per coprire esigenze strutturali e ha chiesto agli Stati membri di adottare misure preventive: fra queste ci sono proprio le ragioni oggettive. Il decreto Poletti, confluito nel Jobs Act, contrastava invece apertamente con la direttiva, rendendo incontrollato il ricorso alle assunzioni a termine. Con il decreto Dignità restiamo al passo con gli altri Paesi europei. In Europa il contratto a termine dura massimo 24 mesi; in Italia il Decreto Dignità lo riduce , appunto, da 36 a 24 mesi.
In Europa il numero dei rinnovi in media è di 3, in Italia col decreto Dignità lo si riduce da 5 a 4.
In Europa la “causale” per il contratto a termine esiste quasi dappertutto. In Germania per esempio esiste una causale attenuata, simile a quella introdotta col decreto dignità, in cui prevediamo in sostanza 12 mesi di prova del lavoratore dove non c’è bisogno di specificare nessuna causale. Ci sembra un tempo più che ragionevole, che permette alle imprese di testare la bontà di un lavoratore e capire se l’incremento del proprio business si consolida.
Ma non è solo questione di riallinearsi alle direttive o rimodulare le statistiche, perché il diritto del lavoro non può essere considerato né una branca del diritto commerciale, né un surrogato della statistica, ma una colonna portante della dignità delle persone. Perché con le norme non si creano né si distruggono posti di lavoro, ma si tolgono o creano i diritti e il decreto va in questa direzione, riallineandosi in primis col buon senso.
È di buon senso il voler creare una comunità di persone che possano finalmente progettare il loro futuro. Una comunità di questo tipo è la condizione ideale per fare impresa; come si può garantire qualità della vita alle persone quando i lavoratori sono costretti a passare per 4-5 contratti nell’arco di 11 mesi? Come si può anche solo pensare di farsi una famiglia o chiedere un mutuo per una casa quando non si sa nemmeno se si avrà un lavoro il mese successivo? Questa non è una vita di qualità, questa non è vita. Questi sono frammenti di vita. Ogni buon imprenditore sa che un popolo di precari non fa bene né alle imprese né al tessuto produttivo. Perché lavoratore e consumatore sono la stessa cosa: impoverendosi il primo, scompare il secondo.
Quindi smentiamo con forza la tesi secondo la quale con questo decreto andiamo ad alimentare il conflitto lavoratori-imprenditori. È falso! Come è falso che il decreto porterà ad un aumento del contenzioso per aver semplicemente reintrodotto le causali, ovvero le ragioni per le quali si sceglie il contratto a termine per esigenze extra business o per picchi di attività. Decade ogni rischio di contenzioso se non si abusa dello strumento del contratto a termine, spacciando come temporanea una necessità che perdura nel tempo.
D’altronde solo in un mondo senza diritti si può pensare di non avere contenziosi. La verità è che in Italia il contenzioso è crollato perché non ci sono più i diritti da difendere! Per questo non accettiamo lezioni di moralità sull’articolo 18 da parte di Pd e cespugli di sinistra vari, che quei diritti hanno cancellato quando erano maggioranza di Governo!
Il decreto Dignità è solo il primo grande passo per restituire valore democratico del lavoro, come indicato nel primissimo articolo della nostra Costituzione. Ma non ci fermeremo certo qui. I lavoratori hanno capito perfettamente che in poche settimane abbiamo fatto di più per loro che il centro-sinistra negli ultimi due decenni. Con che faccia parlamentari come Roberto Speranza, in prima fila nel 2014 per abolire l’articolo 18, oggi usano strumentalmente quell’articolo per attaccare un decreto che finalmente inverte la rotta della precarietà totale seguita dal Partito Democratico.
A chi ci dice che il nostro decreto produrrà un calo di posti di lavoro rispondiamo con le stime accolte pochi giorni fa dalla Ragioneria Generale dello Stato: solo grazie agli sgravi per le assunzioni stabili degli under 35 il decreto creerà 31.200 nuovi posti di lavoro nel 2019, e altrettanti nel 2020. Non ho visto montare nessun caso mediatico su queste stime, a differenza di altre stime scientificamente discutibili che hanno sollevato un inutile e cinico polverone.
Per i lavoratori, naturalmente, c’è dell’altro. Grazie al decreto garantiamo maggiori tutele ai lavoratori in somministrazione, cioè coloro che hanno contratti con agenzie interinali, e li proteggiamo anche dalla somministrazione fraudolenta. Andiamo a semplificare l’utilizzo dei Presto (ex voucher) per i lavori occasionali, senza riaprire una nuova stagione di voucheropoli. Nessuna liberalizzazione, quindi. Basti pensare che sotto il governo Renzi, che li aveva liberalizzati, i voucher venduti sono schizzati a 134 milioni nel solo 2016. Dopo la quasi completa abolizione del marzo 2017 il fenomeno è rientrato nei ranghi, con una stima sull’anno scorso di appena 5 milioni di Presto venduti, cioè 27 volte in meno i numeri precedenti. Un fenomeno quindi limitato a settori molto ristretti e che tale rimarrà, perché non abbiamo aumentato le categorie che possono usufruirne, ma solo semplificato la normativa e garantito all’imprenditore agricolo o turistico un maggior margine di tempo per usufruirne, da 3 a 10 giorni massimi.
Il decreto è tutto questo, ma anche molto altro. Abbiamo iniziato una lotta più ampia, che mette al bando altri odiosi abusi colpevoli di aver danneggiato in questi anni milioni di cittadini e imprese.
Poniamo uno stop alle delocalizzazioni selvagge, spesso e volentieri condotte da multinazionali che hanno comprato le nostre aziende per un tozzo di pane per poi spostarne la produzione all’estero, desertificando i nostri territori, magari dopo aver ricevuto aiuti pubblici con la promessa di rimanere e di arricchire il Paese. Da ora in poi chi si comporterà così con lo Stato, con i lavoratori e con le oneste imprese che rimangono in Italia dovrà restituire tutto quanto ricevuto e, se delocalizza fuori dall’Unione Europea, dovrà pagare anche una sanzione fino a 4 volte l’aiuto ricevuto. Non c’è più spazio per quelli che il Ministro Di Maio giustamente chiama “prenditori“. E sono orgogliosa di annunciare che grazie ad un emendamento della maggioranza questi fondi recuperati dalle pubbliche amministrazioni verranno reinvestiti nel sito produttivo abbandonato, garantendo la stabilità occupazionale e il futuro delle comunità locali
E ancora, abbiamo introdotto il divieto totale alla pubblicità e alle sponsorizzazioni del gioco d’azzardo, così da contrastare quella vera e propria piaga sociale che è diventata l’azzardopatia, una piaga che distrugge intere famiglie e deprime i consumi. Ogni euro tolto all’azzardo è una famiglia aiutata, ed è un euro che torna nell’economia reale, a vantaggio delle nostre piccole e medie imprese, perché va detto una volta per tutte che l’azzardo non è solo un grave problema sociale, ma anche un moltiplicatore economico negativo: sottrae ricchezza al nostro Paese! Da una ricerca della Caritas di Roma emerge che l’80% dei minori azzarda dopo uno spot tv ed il 68% online. Con questa legge diciamo basta a questi fiumi di denaro che da 15 anni drogano sport, informazione, società e anche la sanità e iniziamo a contrastare seriamente questa piaga! L’azzardo, come il fumo, fa male alla salute per questo ne vietiamo spot e sponsorizzazioni! Siamo i primi in Europa e ne andiamo orgogliosi! Da oggi lo chiamiamo con il suo nome: disturbo da gioco d’azzardo, non ludopatia’ perché questo fenomeno non è un divertimento ludico! E’ previsto l’obbligo di tessera sanitaria per azzardare con slot e Videolottery. Tutti i negozi che rifiutano le slot macchine o l’azzardo avranno il logo “no slot“. Abbiamo anche eliminato calcoli truffaldini sulle possibilità di vincite legate al gratta e vinci. È l’inizio di un percorso importante. La crescita di un Paese si costruisce con merito e impegno non tentando la sorte!
Infine il capitolo semplificazione fiscale. Abbiamo iniziato subito a bonificare la foresta di burocrazia e scartoffie che imprigiona le energie produttive delle imprese italiane. Con il decreto Dignità disattiviamo spesometro e redditometro e aboliamo definitivamente lo split payment alle Partite Iva, restituendo loro quella liquidità fondamentale che i governi del Pd gli avevano indebitamente tolto. Per tutti questi motivi, voteremo convintamente a favore di questo decreto che avvia la stagione di un vero cambiamento nel panorama del lavoro in Italia, convinti che il Governo continuerà a ben operare per favorire le assunzioni stabili, ridurre il costo del lavoro e creare nuove opportunità occupazionali con gli investimenti.