di Manlio Di Stefano, Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri
In un’epoca di riforme, in cui tutto viene finalmente messo in discussione, non poteva esimersi da questa esigenza l’organismo internazionale e multilaterale per eccellenza: le Nazioni Unite.
Ho trascorso l’ultima settimana a New York proprio per partecipare alla 73esima Assemblea Generale ed è stata un’occasione d’oro per osservarne i meccanismi, i pregi e i difetti da un’angolazione differente.
L’ONU è certamente il miglior esperimento di multilateralismo mai fatto, ma non sbaglia chi, come il Presidente Trump, sostiene che se non raggiunge il suo obiettivo in svariati scenari di intervento allora c’è qualcosa che non va. E siccome tutta questa enorme macchina ha un costo immane, è tempo che questo qualcosa vada cambiato.
I fiori all’occhiello dell’organizzazione sono certamente il peacebulding e il peacekeeping ovvero le operazioni di stabilizzazione delle crisi e mantenimento della pace. Per capire meglio il loro funzionamento ho incontrato Oscar Fernandez Taranco, Segretario generale aggiunto per il sostegno al Peacebuilding, Atul Khare, Sottosegretario generale per il Dipartimento di supporto sul campo e Jean-Pierre Lacroix, Sottosegretario generale per le operazioni di Peacekeeping.
Grazie al loro contributo ho individuato alcuni grandi margini di miglioramento:
sostenibilità ambientale e finanziaria dei progetti;
razionalizzazione logistica;
visione strategica e prevenzione delle crisi;
copertura politico-economica;
gestione virtuosa;
riforma del Consiglio di Sicurezza.
La logica dell’accontentare tutti distribuendo funzioni e uffici in giro per il mondo è un limite evidente sia alla funzionalità che al controllo dei costi. È assolutamente necessario puntare ad una razionalizzazione che accentri l’intera macchina in pochi centri d’eccellenza. Un esempio concreto è lo United Nations Global Service Centre di Brindisi specializzato in supporto logistico, information technology e assistenza alle operazioni di terra per tutte le missioni ONU. È importantissimo avere dei benchmarks ponderabili sul rapporto costi/benefici di ogni missione, che siano essi economici o politici, onde evitare che la missione stessa diventi il fine invece che il mezzo.
È il momento di considerare come prioritaria la riduzione dell’impatto ambientale delle missioni in modo da lasciare un ambiente vivibile ai popoli che assistiamo. anno analizzati ed elaborati centralmente gli scenari di instabilità possibili per poter quindi anticipare le crisi e prevenire, ad esempio, genocidi e conseguenti sfollamenti. In questo modo potremmo agire sulle cause e non sulle conseguenze con un evidente risparmio di energie e risorse.
A tutto questo va aggiunto un preciso, completo e approfondito training alle truppe ONU, i cosiddetti caschi blu, troppo spesso artefici di violazioni di ogni genere dagli stupri ai saccheggi passando per la connivenza con le mafie locali e lo sfruttamento delle risorse. Dobbiamo garantire che le truppe agiscano sotto un precisa responsabilità etica e morale. In ultimo, ma in testa come priorità, è la riforma del Consiglio di Sicurezza sul modello “Uniting for Consensus” che preveda quindi l’estensione del numero dei membri non permanenti per ciascun gruppo regionale così da espanderne la rappresentanza globale e limitare il predominio delle grandi potenze, concetto ormai anacronistico. Le Nazioni Unite restano l’unico foro globale di dialogo e intesa e vanno quindi protette con una riforma profonda.
Tutto questo è stato già attenzionato dal Segretario Generale Guterres ma ora è tempo di fare sul serio e attuare questo cambiamento. L’Italia c’è, con tutta la sua forza Paese ma anche e soprattutto con la sua rete di amici. Rendiamo il mondo un posto migliore con un’Organizzazione delle Nazioni Unite al passo coi tempi e centrata su un sincero multilateralismo.
Avanti così.