Di seguito l’intervista rilasciata dal premier, Giuseppe Conte, a Famiglia Cristiana
di Luciano Regolo
ll decreto sicurezza ha suscitato varie reazioni indignate nello scenario internazionale; la manovra economica ha scatenato critiche roventi, ma anche paure. E non lo dicono solo le temibili oscillazioni dello spread, ma anche la folla pro Pd tornata numerosa, contro ogni previsione, a protestare in un raduno romano a Piazza del Popolo dove, in modo paradossale ma non troppo in un momento politico in cui la propaganda elettorale diventa una sorta di priorità trasversale, si respirava più aggressività contro i pentastellati che non verso Salvini e la Lega. Ma il premier Giuseppe Conte non cede alla polemica, né sembra vacillare nella tranquillità che ha dipinta sul volto dal primo giorno del suo mandato. Anzi, nel rilasciare a Famiglia Cristiana questa intervista a tutto tondo, al di là delle risposte, manifesta una sicurezza e pacatezza del tutto naturali. Il suo sembra un ottimismo reale, convinto, e anche modi e toni ai quali ricorre riportano a un’epoca più felice della politica, dove la correttezza istituzionale non era quasi mai in discussione e dove il senso dello Stato e i valori più alti, il più delle volte, trascendevano l’appartenenza a questo o quel partito. Conte guarda con estrema attenzione, non semplice interesse elettorale, al mondo cattolico, un mondo che ha “respirato”, come ci lascia intendere in questa conversazione, fin dall’infanzia. Ma anche i cattolici potrebbero trovare in lui un valido punto di riferimento nella sua azione politica, incognite populistiche e sovranistiche permettendo. Ma ecco l’intervista.
Presidente, lei si dice devoto di Padre Pio. Come traduce questa devozione e il suo credo religioso nell’attività politica? Può farci qualche esempio?
La devozione per Padre Pio l’ho ereditata dai miei genitori e l’ho alimentata anche in ragione dell’adolescenza trascorsa a San Giovanni Rotondo, il paese dove egli ha vissuto il suo ministero sacerdotale sino alla morte. La sua testimonianza di vita è un costante richiamo all’importanza di adoperarsi per il bene comune evitando la dedizione agli interessi di parte. Chiunque si assume la responsabilità di gestire la cosa pubblica deve orientare le scelte in questa direzione. Questo è un governo che lotta contro le ingiustizie e che ha messo gli “ultimi” al centro della propria azione politica, accogliendo e garantendo protezione a chi fugge da guerre o persecuzioni, elaborando le premesse per ridare dignità ai lavoratori, per sollevare dalla povertà milioni di italiani, per ripristinare sicurezza e legalità, per assicurare il diritto alla salute a tutti e non lasciare nessuno ai margini della società.
Qual è la sua opinione su papa Francesco? Che ne pensa degli attacchi che ha ricevuto nelle ultime settimane da correnti della destra radicale e sovranista e da prelati come monsignor Viganò?
Non ho elementi di conoscenza diretta e per questo non sono in grado di esprimere una puntuale valutazione nel merito della vicenda. Osservo però che le accuse rivolte a papa Francesco appaiono visibilmente assurde e pretestuose. Il Santo Padre ha sempre svolto il suo apostolato e interpretato il suo ruolo con profonda umanità, sensibilità e umiltà. Il suo spessore religioso e umano lo pongono ben al di sopra di questi vili e meschini attacchi.
Papa Francesco non si stanca di ricordare i valori evangelici e umanitari dell’accoglienza e dell’integrazione. Come cattolico non si sente a disagio per le politiche anti-immigrati del Governo?
Gli unici nemici di questo Governo sono gli scafisti e tutti i trafficanti di esseri umani che alimentano le rotte della disperazione. I migranti che cadono nelle trappole di un futuro migliore e vengono derubati e sfruttati sono le vittime di questo indegno commercio. Noi abbiamo salvato migliaia di persone, ci siamo sempre precipitati a soccorrere i migranti che erano in pericolo di vita e abbiamo sempre fornito loro assistenza sanitaria e vitto. Sarebbe ingeneroso sostenere il contrario. Ci siamo resi conto, tuttavia, ed è qui il cambiamento, che le nostre coste non possono continuare ad essere il luogo di sbarco di centinaia di migliaia di migranti nell’indifferenza degli altri Paesi europei. Per questa ragione abbiamo elaborato una strategia politica che mira a regolare e a gestire i flussi migratori in via strutturale e che offre una puntuale risposta a tutti i complessi aspetti del fenomeno dell’immigrazione. La politica deve anche assumersi la responsabilità di riconoscere che l’accoglienza indiscriminata non genera integrazione. Anche papa Francesco, alcuni giorni or sono, ha osservato che bisogna accogliere i migranti nella misura in cui si integrino, con la prudenza dei governi, e che non sia una minaccia contro la propria identità. È un principio a cui ispiriamo la nostra azione di governo.
Il Decreto immigrazione e sicurezza ha suscitato numerose critiche anche da parte della Cei, per alcune misure restrittive in contrasto con la tutela dei diritti umani. Preoccupa la riduzione del soggiorno per motivi umanitari, che rischia di esporre tante persone a un futuro incerto o all’espulsione dopo il primo grado di condanna, che non tiene conto dei tre gradi di giudizio. Cosa replica a queste critiche?
Questo decreto nasce dalla duplice esigenza, da un lato di fronteggiare in maniera efficace le minacce terroristiche che possono annidarsi anche nei flussi migratori, e dall’altro lato di regolamentare il sistema dell’accoglienza degli immigrati, adeguandolo agli standard europei e internazionali. La premessa, però, è ribadire che alle persone che hanno diritto allo status di rifugiato, cioè coloro che fuggono da gravi situazioni come guerre, persecuzioni, calamità naturali o varie forme di violenza, non verrà mai negata l’accoglienza. Inoltre, nessuno sarà rimpatriato se nel paese di origine non persistono adeguati standard di sicurezza. Introduciamo, questo sì, una puntuale regolamentazione del “permesso speciale”, che prevede permessi di soggiorno di un anno poi convertibili anche in permessi di lavoro e di studio, evitando l’uso strumentale e abusivo della domanda di protezione internazionale. Credo che per una persona che vuole integrarsi in un altro Paese non commettere reati sia un requisito fondamentale.
Mentre a Milano il ministro dell’Interno Salvini vedeva il premier ungherese Orbán, inneggiando all’asse con un Stato xenofobo e sovranista, lei incontrava a Roma il premier ceco Andrej Babis e usava parole agli antipodi, affermando che è necessario «un sistema condiviso del fenomeno migratorio da tutta l’Unione europea». Non c’è contraddizione tra queste condotte? E qual è comunque la linea del suo Governo sull’U.E.?
Io ho incontrato il premier ceco Babis che era a Roma in visita ufficiale alla Presidenza del Consiglio. Matteo Salvini ha incontrato a Milano il premier Orbán per un confronto tra due leader di partito. Sono prospettive diverse. All’esito dell’incontro che ho avuto a Palazzo Chigi con il premier Babis ho riassunto la linea del Governo sul fenomeno dell’immigrazione. Questa linea l’abbiamo elaborata insieme con tutti i ministri competenti e l’abbiamo portata avanti in modo compatto, senza tentennamenti. Quel che ho detto al premier Babis l’ho ribadito in varie occasioni ufficiali e in tutte le sedi internazionali, prospettando la necessità di un approccio al fenomeno migratorio basato su una responsabilità condivisa e su misure efficaci e articolate. Confidiamo di poter tradurre a breve le conclusioni sottoscritte al Consiglio europeo dello scorso giugno e attendiamo di vedere come cambierà la fisionomia del Parlamento europeo, fiduciosi che la nuova Commissione saprà assumersi la responsabilità di contribuire a risolvere efficacemente questo problema.
Davanti all’Assemblea delle Nazioni Unite lei ha giustamente rivendicato il ruolo di soccorso della nostra Marina nei confronti di centinaia di migliaia di vite umane. Ma con il caso “Diciotti” il Governo ha scelto la linea dura con Bruxelles per far capire che l’Italia non può essere lasciata sola nella gestione dei migranti. Questa strategia sembra isolarci ancora di più. Non sarebbe stata più efficace una politica del dialogo?
Sono anni che l’Italia si ritrova isolata a gestire il fenomeno degli sbarchi. La nostra Marina ha operato in modo encomiabile in condizioni difficilissime. Non è mai venuta meno ai suoi doveri di soccorso ed è sempre intervenuta a salvare e ad assistere vite in pericolo. Questo vale anche per il caso “Diciotti”, dove abbiamo prontamente fatto sbarcare 13 persone che erano in situazioni critiche e, successivamente, i bambini e le donne vulnerabili. In molteplici occasioni ci è stato ufficialmente riconosciuto il merito di avere “salvato l’onore dell’Europa”. Non è più tempo, tuttavia, di attestati di solidarietà. Né tantomeno possiamo accettare lezioni di umanità da chi si affida alla retorica dei proclami, smentita però dalla verità delle azioni. Il dialogo rimane in ogni caso lo strumento privilegiato per giungere a dei risultati, ma occorre che le conclusioni sottoscritte al vertice europeo dello scorso giugno si traducano in efficaci protocolli operativi. I soccorsi in mare e gli sbarchi devono essere gestiti in base a un meccanismo europeo pienamente condiviso.
Il presidente della Camera Fico è intervenuto a sostegno del diritto d’asilo. Salvini gli ha detto sostanzialmente di non ingerirsi nelle sue competenze. Lei che cosa ne pensa?
Il presidente della Camera ha il diritto di esprimere le proprie opinioni, nel rispetto dei ruoli. Il confronto delle idee è la linfa vitale della democrazia. Al Governo spetta assumersi la responsabilità di esprimere una politica sul fronte della sicurezza e della immigrazione. Il Parlamento interverrà in sede di conversione esercitando le proprie prerogative, se del caso modificandolo e migliorandolo ulteriormente.
Nel Documento di programmazione economica e finanziaria si è deciso di sforare sul deficit fino al 2,4 per cento del Pil. Non teme che questa decisione possa avere conseguenze drammatiche: non solo le sanzioni UE, ma soprattutto i mercati, l’impennata dello spread, i maggiori interessi sul debito pubblico e così via, e che questo si ritorca sulle famiglie, deprimendo i consumi e frenando una ripresa ancora flebile?
Le famiglie non devono temere. La nostra è una manovra che per la prima volta, davvero, mette al centro i cittadini, che fa del bene al Paese, che guarda al ceto medio e al nostro tessuto produttivo. Puntiamo alla crescita, attraverso una manovra seria, responsabile e coraggiosa. Negli ultimi anni abbiamo visto che i tentativi di ridurre il debito pubblico con l’austerity, tagliando le spese sociali e gli investimenti hanno sortito l’effetto contrario. Questo Governo, invece, si è impegnato in maniera credibile e nell’interesse del Paese a ridurre il debito attraverso misure strutturali per generare crescita. Abbiamo predisposto non soltanto interventi che danno impulso ai consumi e che tagliano le tasse, ma anche il più ampio programma di investimenti della storia italiana. Abbiamo previsto poi un piano di riforme strutturali necessario per rimuovere gli ostacoli che impediscono alle imprese di investire: la deburocratizzazione e la digitalizzazione della pubblica amministrazione, la semplificazione del Codice degli appalti, la riforma del Codice Civile, del Processo civile per diminuire i tempi della giustizia civile e molto altro. Quando i mercati conosceranno nei dettagli la nostra manovra, lo spread sarà assolutamente coerente con i fondamentali della nostra economia.
Più di 5 milioni di italiani in povertà assoluta: che farà il Governo?
Mi tormenta il pensiero delle persone che vivono in assoluta povertà, delle persone che sono completamente esiliate dal consesso sociale. Risponderemo a questa emergenza stanziando somme cospicue per introdurre il reddito di cittadinanza. Ma eviteremo che questa misura esaurisca le sue finalità sul piano meramente assistenziale. Condizioneremo l’erogazione di queste somme all’impegno dei destinatari a riqualificarsi presso i centri per l’impiego, che potenzieremo in linea con le migliori prassi internazionali. Il nostro obiettivo è recuperare i cittadini svantaggiati al circuito lavorativo, in modo da restituire loro dignità, e coniugare equità, efficienza e produttività, in linea con il pilastro europeo dei diritti sociali.
Alleanze internazionali: Trump o Putin? La conferma del rapporto con Washington e con i Paesi Nato o un’inedita intesa con il Cremlino?
La Guerra Fredda è finita ormai da anni. Al segretario generale dell’Onu Guterres ho ribadito l’impegno del nostro Paese per un “multilateralismo efficiente”. L’attuale geo-politica definisce scenari multipolari, che vedono i grandi Paesi competere e collaborare contemporaneamente. Ovviamente l’appartenenza all’Alleanza atlantica è uno dei capisaldi della nostra politica estera e di difesa. Il legame con gli Stati Uniti è consolidato e vive attualmente un momento di particolare intensità anche in virtù dei rapporti personali che intrattengo con il presidente Trump. Anche la Russia, tuttavia, è un nostro partner di particolare rilievo storico, con cui vantiamo salde relazioni commerciali e industriali. In ogni caso la nostra politica estera, pur risentendo delle tradizionali collocazioni, non è condizionata da pregiudiziali ideologiche, ma dalla determinazione a tutelare gli interessi degli italiani.
I costosi cacciabombardieri F-35, tanto osteggiati dai 5Stelle, sono stati confermati. A dispetto dei programmi elettorali di alcune forze che lo sostengono, il Governo ha annunciato di voler arrivare al 2 per cento del Pil per la Difesa, che significherebbe 16 miliardi annui in più entro il 2024. Dove si attingeranno? Abbiamo 6.190 militari impiegati in 24 Paesi diversi, tra cui Libano, Afghanistan, Iraq e Libia e (new entry del 2018) Niger. Conta di mantenere tutte queste presenze?
Questo governo non ha speso un solo euro per l’acquisto di nuovi F-35. Tutto quello che è stato fatto fino ad ora è frutto delle decisioni di chi ci ha preceduto. Noi oggi stiamo valutando gli impatti occupazionali ed economici della riduzione del programma. Un ridimensionamento ci sarà sicuramente, con modalità e tempi che chiariremo in modo chiaro e preciso. Gli uomini e le donne delle nostre Forze Armate contribuiscono in modo eccezionale a portare sicurezza nelle aree di crisi e rendere possibile la pace. Sono un’eccellenza che ci è riconosciuta a livello internazionale. Per questo stiamo studiando modalità di impiego sempre più efficaci. Dalla riduzione della nostra presenza in Afghanistan e Iraq, allo sblocco, avvenuto finalmente dopo otto mesi, della missione in Niger. Con l’addestramento di personale lì sul posto puntiamo a scoraggiare l’odioso traffico di esseri umani.
Più volte i vicepremier Salvini e Di Maio di fronte ai moniti del capo dello Stato o alle critiche provenienti da altre istituzioni (come il Csm) si sono appellati alla legittimità che deriverebbe loro direttamente dal consenso popolare, come se questo desse il diritto di andare oltre la legge. Lei è un giurista: non è contrario a qualunque principio giuridico questo continuo appellarsi al popolo, scavalcando il tessuto democratico delle istituzioni previste dalla Costituzione?
In realtà, non c’è alcuna intenzione di scavalcare altre istituzioni del Paese o di andare oltre la legge. C’è solo il sacrosanto obiettivo di realizzare finalmente la “repubblica dei cittadini”, in modo da orientare il Governo a servizio dei cittadini e dei loro reali bisogni, scardinando le incrostazioni del vecchio sistema partitocratico, rifuggendo i privilegi tradizionalmente accordati ai potentati economici, evitando le estenuanti mediazioni offerte dalle associazioni di categoria.
L’Italia ha forse il più grande patrimonio artistico e naturale del mondo, che, se messo a frutto, potrebbe garantire occupazione e sviluppo. Nel programma di governo non c’è quasi traccia di una sua valorizzazione. Perché?
L’attenzione alla tutela del nostro inestimabile patrimonio culturale è una delle priorità di questo Governo. Allo stesso tempo siamo convinti che la valorizzazione dei nostri beni artistici e naturali giocherà un ruolo strategico nel favorire lo sviluppo dell’occupazione e del turismo in tutto il territorio italiano. Il Contratto di Governo è molto chiaro su questo punto. L’intenzione è quella di sviluppare politiche in grado di liberare l’enorme potenziale del nostro patrimonio culturale come motore di crescita economica per generare nuovi posti di lavoro.
Di recente ha incontrato il presidente della Cei Bassetti. Che cosa vi siete detti? C’è un buon dialogo, tra la Chiesa e il suo Governo?
Con il presidente della Cei ho avuto un proficuo scambio di opinioni. Abbiamo in comune l’amore per Firenze. Ci siamo soffermati a ragionare, in particolare, sull’azione del governo a favore dei poveri e degli emarginati: gli ho anticipato le linee fondamentali della riforma sul reddito di cittadinanza, che introdurremo per restituire la dignità a milioni di persone.
È venuto il momento per il ritorno di un partito dei cattolici? Una sorta di “Dc 2.0”?
Penso che il rinnovato impegno dei cattolici nella vita pubblica sia una risorsa etico-politica di cui il nostro sistema democratico può senz’altro giovarsi. Non credo, tuttavia, che questo impegno debba tradursi nelle forme della costituzione di una nuova compagine partitica. Per parafrasare liberamente il pensiero di Scoppola, più che a una rinnovata “democrazia cristiana” penso piuttosto a una “democrazia dei cristiani”, che intendo come spazio pubblico in cui i cristiani si cimentano e confrontano, muovendo da angoli visuali e, quindi, formazioni politiche anche differenti, con lo scopo di individuare i percorsi più efficaci per realizzare il bene comune.
In tanti sostengono che lei sia una sorta di figura meramente “rappresentativa” di una compagine governativa in cui Di Maio e Salvini la farebbero da padrona…
Di Maio e Salvini oltreché vicepresidenti sono anche leader delle rispettive forze politiche. Per questa ragione hanno particolari esigenze comunicative e sono sollecitati a esprimersi sulle varie questioni di rilievo politico. Io non avverto la loro medesima esigenza comunicativa. Preferisco parlare con i fatti. Ma il mio ruolo è insostituibile: sono chiamato a esprimere la sintesi politica e a riassumere l’indirizzo generale del Governo. Dell’autorità di Governo mi assumo tutta intera la responsabilità.
Sempre i due vicepremier hanno mostrato in più occasioni di non tollerare critiche da parte dei giornalisti…
La libertà di stampa è un principio che mi sta particolarmente a cuore. È un bene prezioso che i giornalisti sono chiamati ad amministrare con la massima cura. Per parte mia, sin dall’inizio del mio mandato ho fatto la scelta di non agire in giudizio anche al cospetto di articoli palesemente diffamatori. Anche il Governo è sotto quotidiano attacco, e non sempre gli articoli si inquadrano nel segno della critica legittima. Ma la libertà di espressione deve potersi esprimere senza censure. Spetta solo ai lettori sindacare l’esercizio di questa libertà. Questo ci rimette al problema del finanziamento all’editoria. I giornali e i media, ove riconducibili ad aziende private, dovrebbero affidarsi esclusivamente al giudizio dei lettori e dovrebbero stare sul mercato, in modo da poter realizzare la condizione ottimale di essere “puri e liberi”.