di Pasquale Tridico, Professore di Economia del Lavoro, Università Roma Tre
L’Italia non è affatto un paese spendaccione, o che ha vissuto sopra le sue possibilità come è stato più volte detto: non è quindi un paese che si merita una cura dimagrante. Per dirlo basta dare uno sguardo ai dati. Il dato sicuramente più importante, come sanno gli economisti, è il saldo di bilancio primario, ovvero la differenza fra spesa pubblica e tassazione, al netto degli interessi, che è in attivo da due decenni. Ciò significa, in sostanza, che i governi italiani hanno tassato più di quanto hanno speso per consumi e investimenti.
Il saldo primario di bilancio dell’Italia è stato costantemente al di sopra del saldo primario francese dal 1995 al 2018, restando peraltro molto al di sopra di quello spagnolo dopo il 2007, e di sopra a quello tedesco, almeno fino al 2006, e poi sostanzialmente in linea con quest’ultimo. Dalla metà degli anni ’90, perciò, l’Italia ha praticato una sostanziale politica di contenimento del bilancio pubblico, cumulando in 23 anni un avanzo primario di +54%, mentre la Francia ha cumulato nello stesso periodo un disavanzo primario di -21%. Peggio della Francia la Spagna, mentre la Germania un po’ meglio, ma comunque inferiore rispetto all’Italia.
Questo tuttavia, non ha aiutato la crescita del Pil italiano. Anzi. Probabilmente, come sostengono in molti, e non solo economisti keynesiani, questo ha contribuito a una dinamica stagnante del Pil e ad un aumento del rapporto debito/Pil.
L’aumento del rapporto Debito/Pil da valori vicino al 100% nel 2008 ai valori di circa 130% di oggi è quindi da ascrivere al peggioramento del denominatore del rapporto (il Pil). Quindi, nonostante i tassi di interesse pari a zero, gli avanzi primari e la politica monetaria accomodante, il rapporto Debito/Pil è aumentato: un fenomeno che chiaramente questo governo vuole evitare attraverso una politica espansiva che possa agire da motore della crescita.
La manovra prevede, tra l’altro, un finanziamento di 10 miliardi per il Reddito di Cittadinanza, che permetterà a chiunque si trovi a vivere al di sotto della soglia di povertà stabilità dall’Eurostat (9360 euro di reddito annuale) di ottenere un’integrazione di reddito fino a tale soglia. Gli effetti moltiplicativi di tale misura, insieme al rilancio degli investimenti previsti, sono evidenti, tanto più laddove il sostegno andrà a beneficiari con reddito nullo o molto basso, e quindi con propensione al consumo pari a 1.
L’idea di veicolare il sostegno al reddito attraverso un bancomat, servirà non solo per la tracciabilità dei consumi, ma anche per innescare incentivi a consumare (sono previsti infatti incentivi per il consumo totale del sussidio mensile). Inoltre, ci saranno dei filtri di accesso attraverso l’ISEE e degli aggiustamenti attraverso una scala di equivalenza familiare oltre che rispetto all’affitto pagato. I beneficiari inoccupati, in cambio, si impegneranno a fornire un minimo di 8 ore settimanali in lavori di pubblica utilità per le comunità locali e soprattutto a frequentare percorsi di riqualificazione professionale che permettano di transitare nuovamente verso il mondo del lavoro.
Questo comporterà anche, per il prossimo anno, un aumento del Pil potenziale, attraverso l’inserimento di forza lavoro nel tasso di partecipazione, ed un aumento conseguente dell’output gap, con maggiori guadagni di spazio fiscale per il governo. Inoltre, anche la riqualificazione e il potenziamento dei Centri per l’impiego, con la destinazione di 1 miliardo di euro di risorse, per l’assunzione di nuove unità operative, avrà effetti moltiplicativi sui consumi, sull’occupazione e sul reddito superiori ad uno per essere prudenti. La povertà assoluta, che negli ultimi anni è aumentata vertiginosamente, troverà finalmente un grande argine.