Di seguito l’intervista rilasciata da Antonio Di Maio al Corriere della Sera
«Le mie responsabilità non possono ricadere sui miei figli»: rompe il silenzio Antonio Di Maio, padre del vicepremier e capo politico dei Cinque Stelle, dopo la polemica sui lavoratori in nero nell’azienda di famiglia e il sequestro di alcuni beni sui terreni di loro proprietà.
Lei ha messo in difficoltà suo figlio. Si sente come il papà di Renzi?
«Le due vicende sono totalmente differenti».
Lo dice lei.
«Mio figlio, giustamente, ha preso le distanze dagli errori che ho commesso, ha garantito subito la massima trasparenza presentando tutte le carte. Non si è sottratto alle domande, non ha fatto nulla per favorirmi o nascondere fatti ed ha fatto bene.Lo conosco, è mio figlio, non avrebbe potuto avere altro comportamento perché è una persona onesta».
In ogni caso questa vicenda danneggerà suo figlio. C’è chi ne ha chiesto le dimissioni.
«Come potrà immaginare è la cosa che mi dispiace di più. Hanno attaccato Luigi con una ferocia spropositata. Stanno cercando di colpirlo ma lui non ha la minima colpa. Non era a conoscenza di nulla. Le mie responsabilità non possono ricadere sui miei figli. Tornare indietro non si può ma se potessi riavvolgerei il nastro per non ripetere gli errori del passato.Questo non è possibile quindi posso dire che mi dispiace».
Lui nei giorni scorsi ha detto che per anni non vi siete parlati. Le dispiace che abbia tirato fuori questo aspetto privato?
«Mi spiace piuttosto che in passato ci siano state delle incomprensioni che per fortuna con il tempo abbiamo superato. Penso possa accadere tra un padre ed un figlio».
Nelle carte lei ammette di aver pagato in nero alcuni operai, possibile che non ne avesse mai parlato in famiglia?
«Sì e mi dispiace. Come papà ho sempre cercato di tutelare la mia famiglia. Ho affrontato i momenti difficili da solo, senza parlarne con i miei familiari perché non volevo si preoccupassero. sono pronto a rispondere dei miei errori. Ma dovete lasciar stare la mia famiglia, i miei figli che non c’entrano nulla con tutto questo. Quando si commettono degli errori li si nasconde ai propri figli perché si ha paura che possano perdere la stima nei tuoi confronti. Io volevo che i miei figli fossero orgogliosi del loro papà. E ora non so se è così ed è la cosa che mi fa più male».
Perché sua moglie ha deciso di ricoprire il ruolo di amministratore della società? È vero che in quanto insegnante e dipendente pubblica per legge non poteva ricoprire tale incarico?
«Lo abbiamo scoperto negli ultimi anni è così ci si è attrezzati per cederla. Abbiamo sempre detto ai nostri figli che era tutto in regola».
Perché tra i documenti forniti da suo figlio mancano alcuni contratti estivi?
«Luigi ha lavorato per l’azienda di famiglia da febbraio a maggio 2008 regolarmente contrattualizzato; d’estate qualche volta mi accompagnava al cantiere».
Sì, ma lui ha usato toni diversi. E tra gli aspetti stravaganti, c’è anche il fatto che nei suoi terreni c’è pure un campo da calcio dove si allenano i pulcini della squadra locale…
«Il campo di calcio non è mio ma è adiacente al terreno di Mariglianella, questo sì è di proprietà mia e di mia sorella e viene utilizzato da chi gestisce il campo di calcio in virtù di un contratto di comodato verbale per far giocare i bambini».
Perché ha tirato in mezzo suo figlio in questa vicenda nominandolo socio quando era già in politica?
«Tenevo molto a questa attività, ha sempre avuto per me un valore anche affettivo. Volevo lasciare qualcosa ai miei figli e poi Rosalba studiava per diventare architetto. Luigi non ha mai gestito questa azienda, ne era solo socio».
Che manovale era Luigi?
«Serio, ha sempre lavorato con dedizione e impegno».