di Manlio Di Stefano, Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri
Il 12 e 13 novembre a Palermo, per la Conferenza #ForLibyaWithLibya, erano presenti 30 Paesi (di cui 10 a livello di Capi di Stato o di Governo e 20 di Ministri o Viceministri) e 8 organizzazioni internazionali.
Tra questi spiccano Abdel Fattah el-Sisi (Presidente dell’Egitto), Dmitrij Medvedev (Primo Ministro della Russia), Jean-Yves Le Drian (Ministro degli Esteri della Francia), Beji Caid Essebsi (Presidente della Tunisia), Alexīs Tsipras (Primo Ministro della Grecia), Ahmed Ouyahia (Primo Ministro dell’Algeria), Idriss Déby (Presidente del Ciad), Mahamadou Issoufou (Presidente del Niger), Federica Mogherini (Alto rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri), Donald Tusk (Presidente del Consiglio UE) oltre a ONU, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e le delegazioni di Turchia, Germania, USA, Qatar, UAE, Marocco e Lega Araba.
Sostanzialmente tutti i Paesi con interessi nel Mediterraneo e tutti gli organismi internazionali determinanti nei processi politici dello stesso erano presenti.
Ciò che conta davvero, però, è che a Palermo ci fossero Fayez al-Sarraj (Capo del Governo di unità nazionale libica), Ghassan Salamé (inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia), Khalid al-Mishri (Presidente dell’Alto Consiglio di Stato libico), Aguila Saleh (Presidente del Parlamento di Tobruk sotto il controllo del generale Haftar), Khalifa Haftar (Generale al comando della Cirenaica) e Ahmed Maitig (Vicepremier e rappresentante delle milizie di Misurata).
Basterebbe questo quadro per spiegare meglio di qualsiasi altra cosa l’importantissimo risultato raggiunto dalla conferenza fortemente voluta dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ma voglio andare oltre riportandovi le parole in conferenza stampa di Ghassan Salamé ovvero “Questa è una conferenza in cui ho visto un suono di unità della comunità internazionale ben più forte a sostegno del piano delle Nazioni Unite [ ] Considero questa conferenza un successo e anche una pietra miliare importante nella nostra lotta comune per riportare la pace la sicurezza e la prosperità al popolo libico”.
A sostegno di tutto ciò mi preme ricordare che dal 2011 in poi, malgrado il maldestro tentativo francese con la Conferenza di Parigi del maggio 2018 (seppur raccontata come un grande successo persino dalla stampa italica molto più propensa a incensare i cugini d’oltralpe che a raccontare la verità sul suo governo), in Libia si sono cristallizzate le posizioni del generale Haftar e del Governo Nazionale di Al-Sarraj che miravano più a stabilizzare il controllo rispettivo di Cirenaica e Tripolitania piuttosto che ambire ad una concreta pacificazione nazionale.
In questo clima divisivo a farla da padrone sono state le milizie che per anni hanno controllato il territorio con metodi simili a quelli delle organizzazioni mafiose ovvero gestendo gli snodi chiave del Paese come porti, raffinerie e confini nonché istituzioni.
Le identità locali e tribali e gli interessi economici di parte hanno prevalso sul senso di appartenenza collettivo e nazionale.
Instabilità, questa, alimentata anche dalla polarizzazione politica seguita al fallimento delle cosiddette “Primavere Arabe” e dal ruolo disgregante giocato dagli attori internazionali, che negli anni hanno cercato di favorire gruppi specifici per aumentare la propria influenza sul Paese.
In questo contesto è evidente che l’auspicio migliore che potessimo avere fosse di mettere questa gente attorno a un tavolo a parlare, in nome e per conto dell’intero Paese, principalmente di tre temi: politica, economia, sicurezza.
Definire il ruolo del Generale Haftar nel processo di partecipazione democratica della Cirenaica nella nuova Libia, tracciare una roadmap di inclusione del maggior numero possibile di realtà politiche del Paese (comprese le aree tribali del sud e le municipalità) che porti ad una conferenza nazionale in territorio libico, riunificare e consolidare le istituzioni finanziarie ed energetiche di stato come la Banca centrale e la NOC liberandole dal controllo delle milizie che vanno disarmate e reintegrate in un esercito nazionale unitario che possa garantire la sicurezza del Paese e in particolare di Tripoli e, in ultimo, svolgere elezioni parlamentari nella primavera 2019 per superare il dualismo tra il Parlamento di Tobruk e quello di Tripoli per compiere, poi, tutte le riforme costituzionali di cui il Paese ha bisogno anche in vista delle prossime elezioni presidenziali. Questi sono i capisaldi attorno ai quali si è dibattuto e si dovrà dibattere ancora perché così vuole il popolo libico, non le cancellerie europee.
Senza questo processo di stabilizzazione non avrebbe senso pensare alle elezioni ed è per questo che abbiamo insistito da subito sul nostro ruolo da mediatori piuttosto che da controllori dell’applicazione di un percorso scelto a Parigi o a Bruxelles seppur avversato dai libici. Per questo è stato importante pretendere che i capricci nazionali o le vecchie dispute regionali rimanessero fuori dal tavolo di lavoro al costo di perdere qualche partecipante persino in corso d’opera (vedi Turchia). È stata una conferenza organizzata per la Libia, non una vetrina per le diplomazie delle grandi potenze mondiali.
For Libya With Libya, per la Libia con la Libia – il claim che abbiamo scelto dice tutto sull’impostazione che abbiamo voluto dare e la foto tra il generale Khalifa Haftar e Fayez al-Sarraj che si stringono la mano sorridenti con la “benedizione” del Presidente Conte, credo sia la dimostrazione plastica del successo della conferenza.
Attenzione, con questo non voglio dire che tutti i problemi siano risolti, ma che è stato fatto un primo importantissimo passo verso la stabilità e la sicurezza nel Mediterraneo e ci si è riusciti grazie ad un netto cambio di rotta del nostro Governo e della diplomazia da una logica attendista di chi sa di non avere capacità specifiche al rilancio dell’Italia nel ruolo di mediatrice dei grandi dossier internazionali.
Un successo di Conte, un successo dell’Italia.
For Libya With Libya, per la Libia con la Libia, perché noi saremo sempre dalla parte dei popoli. Avanti così.