Ecco perché con l’austerity non arriviamo più alla fine del mese

L’austerity ci ha reso tutti più poveri. Subito dopo la crisi economica, secondo l’economista e studioso belga Paul de Grauwe“la Commissione Europea ha accettato di diventare l’agente delle nazioni creditrici dell’Eurozona promuovendo politiche di austerity quale strumento per salvaguardare gli interessi di queste nazioni”. Prima della crisi economica, infatti, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda avevano accumulato deficit delle partite correnti, mentre i Paesi del nord Europa (Austria, Finlandia, Germania e Olanda) avevano accumulato dei surplus.

Questo ha reso alcuni Paesi “debitori” e altri “creditori”. Secondo molti economisti, da qui nascono gli squilibri dell’eurozona. Quando la crisi ha determinato un blocco della liquidità, infatti, i Paesi debitori – Grecia, Portogallo e Irlanda in primis – hanno chiesto aiuto ai Paesi più forti dell’eurozona. E l’hanno ottenuto, ma solo varando pesanti programmi di austerity. Non potendo svalutare la moneta, i paesi “debitori” sono stati costretti a svalutare i salari e i prezzi rispetto ai paesi “creditori”.

I DATI ISTAT CERTIFICANO CHE L’AUSTERITY CI HA RESI PIÙ POVERI

– Negli ultimi dieci anni il potere d’acquisto delle famiglie si è ridotto dell’8%.

– Al netto dell’inflazione, la retribuzione media dei dipendenti è scesa dai 29.738 euro del 2007 ai 29.419 del 2016.

– Rispetto a dieci anni fa, il dipendente medio italiano con la sua paga si trova a dover rinunciare a beni e servizi per 319 euro.

– Tra il 2007 e il 2016, il già basso stipendio reale dei dipendenti di alberghi e ristoranti (25.046 euro lordi) si è ridotto a 24.402 euro: il 2,6% in meno. E cali anche maggiori hanno riguardano il potere di acquisto di chi lavora nella sanità e nell’assistenza (meno 8%), nell’istruzione (meno 10,4), nel pubblico impiego (meno 7,9%), nelle attività finanziarie e assicurative (meno 9,5), tra facchini, imballatori e addetti alle consegne (meno 4,5).

– Durante gli anni della crisi, fino al 2014, l’occupazione a basso reddito è cresciuta dell’8%, quella di media retribuzione è crollata del 12%, mentre quella a reddito elevato (dirigenti, imprenditori e professionisti) è rimasta stabile.

CHE COSA È LA DEFLAZIONE SALARIALE?
Austerity significa deflazione salariale, stipendi fermi, mentre andare a fare la spesa costa sempre di più. Austerity significa che avere un lavoro non basta per arrivare alla fine del mese. 1 lavoratore su 10 in Italia è sotto la soglia di povertà.

In Europa siamo tra i primi per “working poors”, coloro che pur lavorando si ritrovano sulla soglia di povertà. Siamo quinti dopo Romania, Grecia, Spagna e Lussemburgo, con una percentuale di working poors dell’11,7%. Tra il 2010 e il 2017 in Italia la retribuzione media oraria è cresciuta di un euro, solo in Spagna e Portogallo ci sono stati progressi minori dei nostri, e solo in Grecia c’è stato un calo.

VIDEO. Tiziana Beghin spiega gli effetti terribili dell’austerity sulla nostra economia.

L’AUSTERITY IN GRECIA
Il 20 agosto scorso la Grecia è ufficialmente uscita dal terzo piano di aiuti dell’Unione Europea, dopo dieci anni di Troika, di prestiti miliardari, di privatizzazioni, di cinghie strette, di tagli a tutto il tagliabile. Alcuni dati:

– La disoccupazione, dopo aver raggiunto il picco del 27,5% nel 2013, sfiora oggi il 21%, comunque il più alto tra i paesi dell’Unione Europea, dove la media è al 7%.
Un giovane su due sotto i 24 anni è senza lavoro, e stessa percentuale anche per gli over 50.

– Lo stipendio medio di un dipendente del settore privato non supera i 500 euro.
13 tagli consecutivi alle pensioni: la media attuale è inferiore ai 700 euro mensili (sotto quindi la soglia di povertà stabilita da Eurostat).

– Il potere d’acquisto delle famiglie diminuito in una forbice che va dal 25 al 35%.
35% della popolazione a rischio povertà ed esclusione sociale.

– Nel 2017 130mila persone hanno rinunciato all’eredità di immobili perché non potevano permettersi di pagare le tasse su quei beni.

– Negli ultimi anni oltre 500mila greci (su un totale di circa 11 milioni) sono emigrati.
Il debito viaggia al 180% del PIL, nonostante l’imponente piano di privatizzazioni avviato dal Governo: il porto del Pireo è finito in mani cinesi, la Germania ha acquisito 20 aeroporti regionali.