“L’accordo con l’Europa scongiura il pericolo immediato di una reazione negativa dei mercati finanziari e fa scendere lo spread. Ma la legge di bilancio che ne esce non fa nulla né per la crescita né per i conti pubblici. Certo è meglio della versione iniziale, ma questo non ci può consolare“. Parola di Carlo Cottarelli, ex funzionario del Fondo Monetario Internazionale, presidente del Consiglio mancato e grande censore delle politiche economiche del governo in carica.
Poi ci sono le grandi firme di “Repubblica” come Marco Ruffolo, secondo il quale il braccio di ferro con L’Europa “si è risolto in un deprimente gioco dell’oca ma nel frattempo la nostra economia è peggiorata“. O come Roberto Mania che, senza andare troppo per il sottile, scrive che “non è un compromesso quello siglato ieri tra la Commissione Europea e il governo di Roma: è la vittoria del patto di stabilità -con tutti i difetti che da tempo si trascina dietro- sullo sgangherato contratto di governo che serve per tenere insieme i neo populisti italiani minacciando l’equilibrio dei conti pubblici, ma pure i valori e i principi del nostro patto costituzionale“.
Sono solo tre esempi di voci dal Coro del Pensiero Unico che anche questi giorni ha fatto sfoggio sui grandi giornali dei soliti pregiudizi sulle politiche del governo in carica. Che, per loro e per la gran parte degli altri editorialisti titolari di importanti rubriche, non sarebbero altro che un’accozzaglia di provvedimenti da incompetenti e avventurieri che metterebbero addirittura a repentaglio le nostre finanze e le sorti degli italiani.
Niente di nuovo, per la verità, è la stessa cantilena che da me mesi ci sentiamo propinare ogni mattina sfogliando le rassegna stampa. Non ce la fanno proprio ad ammettere l’evidenza e cioè che quello strappato a Bruxelles dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è il miglior risultato possibile per l’Italia. L’accordo su un livello di deficit al 2,04% mette infatti la parola fine a un braccio di ferro estenuante rassicurando comunità internazionale e mercati e confermando, ecco il fatto più importante, tutte le misure indispensabili che gli italiani attendevano da anni per fronteggiare la devastante emergenza sociale legata alla povertà, alla disoccupazione e all’indigenza.
Ma di tutto questo le grandi firme non dicono niente. Non dicono che l’aver messo al sicuro il reddito di cittadinanza e le pensioni di cittadinanza, la riforma della legge Fornero e le altre tante misure che entreranno nella legge di bilancio, rappresentava un atto di coerenza per una classe politica attenta ai problemi dei cittadini. Misure doverose, obbligate e non solo per mantenere le promesse elettorali e gli accordi sottoscritti nel contratto di governo. Di più, rappresentavano e rappresentano un atto doveroso che dopo decenni di politiche dissennate e di sprechi un Parlamento solidale doveva ai milioni di cittadini lasciati in povertà e nel bisogno.
Non lo dicono perché è proprio questo che non piace. A loro e ai tanti ragionieri insediati nei livelli alti della nostra burocrazia e a Bruxelles. Così come non piace alla stragrande maggioranza dei partiti italiani che per troppo tempo sono stati impegnati a tutelare solo gli interessi delle grandi corporation economiche e finanziarie e di quella imprenditoria predona sempre a caccia di sgravi e prebende.
Ci hanno lasciato le casse vuote e clausole di salvaguardia per decine di miliardi che continueranno a ipotecare il futuro degli italiani. Ma neanche questo le grandi firme ricordano. Come non dicono che ci stiamo impegnando a fronteggiare quelle emergenze sociali con misure come le pensioni e il reddito di cittadinanza che aiuteranno milioni di cittadini a vivere decentemente e a tanti offriranno la concreta speranza di potersi reinserire nel mondo del lavoro. Si tratta del più grande investimento sociale fatto in Italia dal dopoguerra ad oggi, un grande investimento sui diritti più elementari dei cittadini abbandonati alla privazione e al bisogno. Un grande investimento che, insieme alle misure fiscali che abbassano il livello della tassazione di privati e imprese, tenta nella situazione drammatica nella quale ci troviamo di fornire anche una spinta ai consumi e alla crescita economica.
Dopo decenni di tagli a danno dei cittadini e delle imprese, dopo decenni di cieca austerità alle spalle di lavoratori e imprese, siamo di fronte al primo serio tentativo di redistribuzione del reddito all’insegna dell’equità sociale. E’ un segnale preciso di fiducia verso tutti i cittadini, ma anche un monito alle cancellerie europee che si ostinano a proporre politiche restrittive che sinora si sono tradotte solo in macelleria sociale.
Ma neanche questo lorsignori dicono e ammettono. Forse perché nella manovra finanziaria e nella legge di bilancio non ci sono le abituali regalìe e marchette a favore dei soliti noti, quei soggetti economici e imprenditoriali che spesso sono, guarda caso, anche gli stessi che detengono le proprietà dei loro giornali e delle loro tv.