Guido Scorza: Il diritto ad avere diritti
ll diritto ad avere diritti spiegato in maniera semplice Guido Scorza: "Accetta e continua è diventata la definizione della società nella quale viviamo. Accettiamo quelle “Lenzuolate"di parole che scorrono sugli schermi degli smartphone. Cosa servirebbe per uscire da questa dimensione nella quale cediamo in maniera inconsapevole parti importanti del nostro essere, della nostra identità?"
Pubblicato da Associazione Rousseau su Mercoledì 19 dicembre 2018
Il diritto ad avere diritti. Il problema, spiegato nella maniera più semplice possibile, è quello di consegnare all’utente, cittadino-consumatore la consapevolezza delle sue scelte quando queste scelte implicano l’esercizio di un diritto o l’assunzione di un obbligo.
Voglio raccontare un aneddoto: qualche anno fa l’Unione Europea commissiona a una società di ricerca un test che consiste nell’hackerare le condizioni generali che regolano la fruizione del wifi pubblico all’interno dell’aeroporto Heathrow di Londra. Questa società ha inserito una clausola piccola piccola che obbligava a cedere il proprio primogenito in cambio del Wi-Fi. Inutile dire che quasi tutti hanno cliccato su “accetta e continua“. La cosa viene presa talmente sul serio che la società del test viene sommersa di telefonate da parte degli utenti che dicono: “Ma davvero ho venduto mio figlio?”
Ecco: “Accetta e continua” è diventata la definizione della società nella quale viviamo. Accettiamo quelle “lenzuolate” di parole che scorrono sugli schermi degli smartphone. Cosa servirebbe per uscire da questa dimensione nella quale cediamo in maniera inconsapevole parti importanti del nostro essere, della nostra identità?
La scommessa è far sì che l’utente, prima di cliccare su “accetta e continua”, possa averne un po più di consapevolezza. Servirebbero strumenti per garantire agli utenti, ai cittadini quanta più consapevolezza possibile di quelle parole, di quei termini d’uso che si accettano. Si può fare essenzialmente attraverso due soluzioni, due strumenti. Da una parte tradurre le parole in simboli. L’esempio, già utilizzato, è quello delle creative commons: ovvero licenze d’uso tradotte in simboli. E poi l’altro passo un po’ più lungo, ma neppure tanto, una volta che le condizioni generali che governano il rapporto tra l’utente ed il gestore della piattaforma – o lo Stato, se lo Stato è gestore della piattaforma- sono tradotte in simboli e in codice, è davvero facile pensare al giudice robot, all’avvocato robot, che amministra la giustizia in tempi ragionevoli, in maniera efficiente e soprattutto egualitaria.
Il principio è proprio questo: fare uscire fuori i diritti dalla carta, tirarli fuori dai codici delle leggi e trasformarli in codice come software. Perché siano viventi, perché i cittadini, li rivendichino di fronte alle istituzioni e di fronte ai privati.