Sulla democrazia diretta va fatta chiarezza per sgomberare il campo da alcune critiche che non trovano fondamento. La Stampa ha pubblicato questo mio intervento in merito. Vi prego di leggere e condividere.
L’avvio dell’esame delle riforme sta generando un interessante dibattito sul rapporto tra democrazia diretta e rappresentativa. L’intervento di Sofia Ventura, su queste pagine, merita delle precisazioni puntuali che in qualità di ministro per i Rapporti con il Parlamento e la Democrazia diretta mi sento in dovere di fornire anche a benefico dei lettori.
In sintesi, la proposta per introdurre una forma di iniziativa legislativa rafforzata prevede che 500.000 cittadini possano elaborare un progetto di legge da sottoporre al Parlamento, che avrà 18 mesi di tempo per esaminarlo. Le Camere potranno approvarlo oppure respingerlo, dando luogo al referendum. Potranno anche approvarlo con modifiche. Se soddisferanno i promotori questi rinunceranno alla consultazione, viceversa si terrà un referendum su entrambi i testi.
Evidentemente non si tratta di uno strumento con il quale mettere in discussione i diritti e le libertà dei singoli e delle minoranze. La proposta, prima di essere presentata, dev’essere infatti sottoposta alla Corte costituzionale.
Non è nemmeno uno strumento incompatibile con le dimensioni delle democrazie moderne. La riforma introduce un nuovo tipo di referendum che dà voce alla rinnovata volontà di partecipazione attiva.
È sbagliato sostenere che la proposta costringerà il ricorso continuo al voto perché è richiesto un consistente numero di firme per la presentazione delle proposte e la legge di attuazione specificherà il numero massimo di leggi che potranno essere presentate.
Anche il timore che questa riforma metta a rischio le finanze pubbliche è infondato perché, se essa prevede delle spese, deve anche provvedere per le relative coperture sotto il controllo dalla Corte costituzionale.
Lungi dal consentire il prevalere di minoranze organizzate, la proposta favorirà la partecipazione al voto grazie dall’assenza del quorum. I presentatori infatti si mobiliteranno per il sì, contrari per il no e il dibattito pubblico sarà più articolato.
Quanto al rischio che la riforma possa delegittimare il Parlamento, è vero l’esatto contrario. Consentire ai cittadini di organizzarsi per sottoporre certi al Parlamento rafforzerà la sua legittimazione. Le Camere avranno il tempo di meditare anche una soluzione più conforme alla volontà popolare di quella dei promotori.
La proposta della maggioranza parlamentare, quindi, si iscrive pienamente nel paradigma delle democrazie liberali. La loro storia, del resto, è fatta di continui aggiustamenti, volti non solo a rafforzare le libertà e ad estendere i diritti ma anche ad aumentare le forme della partecipazione. Così il suffragio, prima ristretto, è stato progressivamente allargato. Allo stesso modo, le forme di decisione diretta del popolo sono state estese. Già nel 1948 la nostra Costituzione ha introdotto vari tipi di referendum. La proposta in esame continua dunque su questa strada, introducendo una nuova forma di partecipazione diretta del popolo per far funzionare meglio le istituzioni rappresentative.