Il futuro? È l’acqua pubblica. E a dirlo non sono soltanto gli attivisti del MoVimento 5 Stelle o i portavoce che in questi giorni stanno discutendo alla Camera la proposta di legge che ha come prima firmataria la nostra Federica Daga. Una importante conferma del successo di questo modello di gestione è giunto dall’analisi che ha esposto in commissione Ambiente a Montecitorio Emanuele Lobina, ricercatore di Public Service International Research Unit dell’Università di Greenwich. Il quadro che ha tracciato Lobina è chiaro: il passato da superare è l’affidamento dell’acqua nelle mani dei privati che vogliono lucrare sulla risorsa più preziosa, mentre l’orizzonte futuro, necessario a garantire ai cittadini l’accesso all’acqua e la sua disponibilità duratura nel tempo, è la gestione pubblica. Utili sì, ma reinvestiti nella qualità dei servizi, perché quando si parla di acqua concetti come lucro, dividendi, speculazione non sono contemplati.
Le cronache di questi anni, approfondite nell’analisi di Lobina, parlano di modelli di gestione europei, in particolare quello britannico, quello parigino e quello berlinese, che hanno prodotto utili elevati per i privati che controllavano le aziende idriche e investimenti sempre più ridotti e comunque insufficienti rispetto alle necessità di manutenzione e ammodernamento della rete. Vi ricorda qualcosa questa dinamica? Si tratta della stessa dinamica che in Italia ha ingrassato Autostrade e altri titolari di concessioni autostradali, in cui gli amici dei potenti di turno avevano vita facile per speculare mentre i cittadini pagavano pedaggi più salati. Ed è accaduto anche per le tante società per azioni che controllano le nostre reti idriche: dividendi a go-go e investimenti da cercare col lanternino, tanto che oggi facciamo i conti con perdite che si aggirano intorno al 47% dell’acqua trasportata nelle condutture italiane.
La gestione privatistica e di mercato ha fallito ovunque, e dove si passa al pubblico calano le tariffe e aumentano gli investimenti. Nella capitale francese, ad esempio, i privati avevano portato a un aumento delle tariffe del 174%, mentre il passaggio della gestione all’azienda pubblica Eaux de Paris, soggetto analogo alla nostra azienda speciale, ha prodotto un calo delle tariffe (dell’8% già dopo il primo anno) e un aumento degli investimenti e maggiore trasparenza, anche con forme di partecipazione dei cittadini. Nel 2017 l’azienda e la città di Parigi hanno ricevuto il Public service Award, riconoscimento per come eccellenza sul piano della trasparenza, della responsabilità e dell’integrità,
Discorso analogo per Berlino, con forti incrementi tariffari, pochi investimenti nella fase di gestione privata e un contratto di concessione praticamente secretato, non visionabile dalle autorità locali. Tutto questo ha prodotto una forte spinta sociale verso un referendum cittadino con conseguente ripubblicizzazione, a cui è seguita una riduzione del 17% delle tariffe per il periodo 2012-2018 imposta dall’autorità Antitrust federale, che fa da controllore. Con il gestore pubblico gli investimenti nel periodo 2013-2020 sono raddoppiati, e nel 2018 la città di Berlino è diventata una Blue community decidendo di promuovere il principio del diritto umano all’acqua dialogando con i movimenti sociali berlinesi.
A completare il quadro, ha spiegato Emanuele Lobina in audizione alla Camera, c’è il disastro della privatizzazione nel Regno Unito del 1989, che ha prodotto una nuova forma di povertà, quella delle persone che non possono più permettersi di pagare la bolletta dell’acqua. Anche con un regolatore molto forte come quello britannico, la privatizzazione mostra dunque tutte le sue falle, perché gli interessi dei gestori privati finiscono comunque per essere anteposti a quello di cittadini e consumatori.
Non è un caso che in tutta Europa e nel mondo si registri una tendenza alla ripubblicizzazione, spinta proprio dal tradimento della promessa di maggiori investimenti, maggiore efficienza e più trasparenza. Lo abbiamo visto anche in Italia con casi eclatanti come quello di Acqualatina, ma anche all’estero ci sono stati casi eclatanti come l’episodio di corruzione avvenuto a Grenoble, cui è seguita la ripubblicizzazione e il caso di scarsa trasparenza che proprio a Parigi è stato uno dei fattori principali della spinta all’abbandono della gestione privata. Ad Atlanta, negli Stati Uniti, la scelta della gestione pubblica è stata invece voluta fortemente per la bassa qualità del servizio.
Gli italiani questi limiti degli attuali sistemi di gestione li hanno visti da un decennio e più, e proprio attorno a questi temi hanno preso le mosse le prime riunioni e le prime azioni di quelli che poi sarebbero diventati gli attivisti del MoVimento 5 Stelle. L’acqua pubblica è la nostra prima stella, abbiamo dalla nostra la volontà espressa nel 2011 da 27 milioni di italiani e una tendenza globale che conferma quanto si possa gestire meglio questa risorsa se torna nelle nostre mani. Ora che siamo forza di governo non ci faremo sfuggire l’occasione. Lo abbiamo detto e lo ribadiamo con forza: questo è l’anno in cui daremo l’acqua pubblica agli italiani, l’anno in cui splenderà la nostra prima stella.