Di seguito l’intervista a Ignazio Corrao, rilasciata a Affari Italiani
Onorevole Corrao, come arriva l’Europa alle elezioni europee del 2019? Sarà un referendum sull’Europa? Ci sarà un asse euroscettico?
Il 2019 sarà un anno importante per la storia futura dell’Unione europea perché gli assetti che nel 2014 sembravano solidi e immodificabili in questi anni sono stati messi in crisi in tutti i Paesi del Continente. Anche la prima reazione, quella euroscettica contro l’establishment, è una risposta che si è dimostrata incapace di dare concrete soluzioni. Non siamo ancora nella fase finale di questa rivoluzione, ma il 2019 segnerà la fine del governo dell’Unione europea per come lo abbiamo conosciuto finora.
L’asse popolare-socialista non reggerà più?
L’asse popolare-socialista è andato completamente in crisi in tutti i Paesi dell’Ue e subirà sicuramente una batosta clamorosa. Nel 2019 si aprirà una fase di transizione che consentirà di andare oltre i partiti tradizionali di destra o di sinistra per arrivare alla nascita di realtà più simili a noi che possono dettare un futuro diverso per l’Europa. Secondo me in questa chiave può essere inquadrata anche la questione dei gilet gialli in Francia.
In che senso?
A Parigi si soffre la mancanza di un’alternativa vera a una forza pro-establishment falsamente europeista, come quella di Macron, e un sovranismo di estrema destra come quello di Marine Le Pen. Il fenomeno dei gilet gialli ci spiega che entrambi i modelli non danno risposte e non sono la soluzione. I cittadini hanno bisogno di qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo.
Perché Macron è “falsamente europeista”?
Perché nel suo programma di riforme per l’Unione europea non c’era nulla di pensato per i cittadini dell’Ue. Macron considera europeista quello che è il meccanismo di governo dell’establishment di Bruxelles, cosa molto diversa da un’Europa attenta ai bisogni dei cittadini europei.
Con chi si potrebbe alleare il M5s in Europa?
Con chi ritiene che entrambi i modelli spinti come alternativi dai media non siano le soluzioni necessarie ai cittadini. E ce ne sono di entità e movimenti nei diversi Paesi dell’Unione europea che hanno compreso, come il M5s ha fatto da tempo, che entrambi gli approcci non sono più in grado di dare risposte. Spero che nel 2019 possa iniziare la transizione verso l’Europa del cittadino, che è l’obiettivo con cui noi siamo entrati al Parlamento europeo.
Quale sarà il programma del M5s per le europee?
Il nostro programma si basa sulle battaglie che abbiamo portato avanti in questi anni. Prima di tutto bisogna abolire il primato della finanza e del sistema bancario su quella che è l’economia reale. Vogliamo un’Europa che si occupi non più di megasistemi ma di crescita dal basso. Vogliamo più diritti sociali, lo stop a una politica dettata dall’austerity nei confronti di Paesi che hanno bisogno di investire per ricominciare a crescere. E poi rispetto dell’ambiente, crescita energetica e di lavoro 4.0. Vogliamo partecipare alla costruzione di un’Europa coesa in grado di non farsi schiacciare dalle grandi potenze mondiali come Usa, Cina e Russia.
Quali sono le differenze tra le vostre politiche e quelle della Lega in Europa?
Ci sono differenze totali. Loro hanno fatto un ragionamento di convenienza politica tramutandosi da partito regionalista separatista a forza sovranista, vedendo scoperto il settore della destra in Italia. Hanno dunque scelto di entrare nell’orbita di altre forze nazionaliste come quella di Orban in Ungheria. Forze che non possono essere un bene per l’Italia perché guardano solo agli interessi nazionali e non a quelli del continente. Noi invece ci siamo posti su una dimensione completamente diversa. Noi vogliamo un’Ue forte, ma che inverta le sue priorità, dove cessi il principio della supremazia del più forte sul più debole.
Per quanto riguarda la Brexit, altro tema caldo del 2019, crede che alla fine Londra lascerá davvero l’Ue oppure no?
Vista a posteriori, la vicenda della Brexit mi sembra sia stata un gran pasticcio. Credo che Londra non abbia pensato bene alle conseguenze del referendum. Non possono pensare che al tavolo di negoziazione vengano esaudite tutte le loro richieste. Il rischio è trovarci di fronte, il prossimo marzo, a una situazione paradossale con una Brexit che non si realizza e un Regno Unito che voterà ancora per eleggere europarlamentari in primavera.
Vede per l’Italia una possibile uscita dall’Ue o dall’euro?
No, non vedo alcuna possibilità in tal senso. Non vedo alcun motivo per cui noi dovremmo andarci a isolare. Questo non significa che dobbiamo accettare per forza le decisioni prese dalla Commissione europea, che in questi ultimi anni non ha capito il cambiamento dei tempi. Speriamo che dal 2019 si possa avere una Commissione più neutra e che tratti tutti gli Stati membri nello stesso modo. Su questo tema è in gioco la credibilità delle istituzioni europee.
Sullo scacchiere globale quale sarà il ruolo dell’Ue? Si porrà a difensore del commercio a fronte degli Usa sempre più isolazionisti? Sembra andare in tal senso il recente accordo con Ue-Giappone.
Questo è un grande tema. L’Europa ha iniziato a sfaldarsi quando ha aperto al mercato mondiale in maniera scriteriata. Finché la Cee cercava di abbattere le differenze nel mercato interno europeo e creare le stesse condizioni per tutti andava benissimo, nel momento in cui si è allargato questo meccanismo ai Paesi in via di sviluppo con basso costo del lavoro, niente controlli, nessun rispetto per l’ambiente e corruzione le cose hanno iniziato ad andare male”.
Si riferisce a commercio sleale e delocalizzazione?
Questi Paesi sono diventati l’Eldorado delle aziende europee che vogliono esternalizzare e spendere meno. Questo è uno dei motivi principali che ha portato alle proteste e al crollo dei partiti dell’establishment. Questo meccanismo va a favore solo di chi detiene grossi capitali. Va bene l’accordo di libero scambio col Giappone perché si tratta di un Paese che ha standard persino più alti dei nostri. Il discorso cambia quando il libero scambio viene fatto con Paesi dove questo standard non esiste. E’ quest’ultimo meccanismo di diseguaglianza che va bloccato.
Esisterà ancora un’Europa a trazione franco-tedesca?
Non credo che il futuro dell’Europa si possa basare ancora su una continuazione dell’asse franco-tedesco, anche perché da sempre, mentre la Germania porta avanti politiche più europeiste (anche se rigoriste), la Francia ha un approccio molto più nazionalista. L’Italia, che è il terzo Paese più grande d’Europa, ha avuto finora un ruolo troppo marginale. L’auspicio è che questo governo possa riequilibrare i rapporti di forza ed essere, se non l’ago della bilancia, protagonista nei processi decisionali europei. Con Germania e Francia in difficoltà e l’indebolimento della Merkel il governo Conte può diventare il frontman dei rapporti con le grandi potenze come Usa, Cina e Russia. E le premesse mi sembra che siano più che buone.