L’edera, il bambù, il tronchetto della felicità, l’aloe vera. Sono tante le piante d’appartamento in grado di ridurre i livelli di inquinamento indoor, vale a dire i rischi per la salute legati a benzene, formaldeide e altre sostanze nocive presenti nelle nostre case. Uno studio dell’università di Taipei pubblicato di recente, ha confermato il potere purificante delle piante monitorando la qualità dell’aria in 60 abitazioni della capitale taiwanese, metà delle quali ospitavano da 8 a 21 piante in vaso. Ebbene, nelle 30 case con pochissime piante (non più di due), la concentrazione di Pm2,5, le cosiddette polveri sottili, era di 1,29 volte superiore rispetto alle case dove erano presenti più piante. Le misurazioni – 12 in ciascuna abitazione per tutto il 2014 – hanno riguardato anche le capacità respiratorie degli abitanti, 60 in tutto. Ciò che è emerso è che al ridursi della concentrazione di particolato corrisponde un aumento della funzionalità polmonare.
La correlazione tra l’inquinamento dell’aria esterna e la nostra capacità respiratoria è ormai ampiamente documentata dalla scienza, ma anche l’inquinamento dell’aria interna pesa sulla salute dei nostri polmoni, anche perché le persone trascorrono sempre più tempo in ambienti chiusi. Già in passato alcuni studi avevano confermato la capacità delle piante a foglia larga di filtrare e decomporre il particolato, alcune piante sono in grado anche di “assorbire” i cosiddetti composti organici volatili, tra cui appunto benzene e formaldeide.
Oltre la metà delle piante d’appartamento oggetto dello studio taiwanese erano Epipremnum aureum, specie più nota come Pothos. Proprio su questa comune pianta d’appartamento si è concentrato il team di ricerca dell’Università di Washington che la ha trasformata in una super-pianta in grado di assorbire l’inquinamento cinque volte più dell’originale, grazie all’innesto di DNA di coniglio.
Il gene in questione, noto come P450 2e1, è presente in molti mammiferi, compreso l’uomo, e produce un enzima che scompone una serie di sostanze chimiche presenti nel corpo. Come già riscontrato nei pioppi, le piante non modificate geneticamente producevano soltanto una piccola riduzione delle concentrazioni di benzene e non incidevano sul cloroformio, mentre quelle modificate in otto giorni portavano al 25% la quantità di benzene presente nell’aria, con una velocità 4,7 volte superiore rispetto alle piante non modificate. Il cloroformio, invece, quasi spariva dopo soli sei giorni.
Il team di ricerca ora è al lavoro per verificare da un lato l’impatto della pianta modificata sulla concentrazione di altre sostanza nocive e dall’altro la possibilità di introdurre altri geni per agire su sostanze diverse rispetto a quelle già osservate. L’inquinamento domestico, soprattutto nelle grandi città, raggiunge livelli analoghi a quello prodotto dalle industrie, con rischi particolarmente elevati per i bambini. L’ipotesi su cui ragionano i ricercatori dell’Università di Washington è quella di inserire le piante modificate in speciali filtri attraverso i quali far passare forzosamente l’aria di casa: basterebbero dai 5 ai 10 chilogrammi di piante per “ripulire” l’aria di un’abitazione di medie dimensioni.
Una prospettiva senza dubbio interessante, anche se è ancora da sciogliere il nodo della manipolazione genetica, con le sue implicazioni etiche e la necessità di verificare gli impatti a lungo termine.
Intanto che la ricerca fa il suo corso, ciascuno di noi può fare molto per contrastare l’inquinamento. Iniziative come “Alberi per il futuro” , che lo scorso novembre ha visto migliaia di cittadini piantare più di diecimila alberi in 180 città italiane, sono appuntamenti importanti per ripopolare di verde le nostre città, ma soprattutto per sensibilizzare sull’importanza e l’impatto che una singola azione, se moltiplicata per i molti che partecipano, può avere per il futuro di tutti.
Da questo puto di vista, anche sindaci e urbanisti possono fare molto. Una recentissima ricerca dell’Università di Surray pubblicata su Atmospheric Environment, per esempio, suggerisce caldamente ai pianificatori urbani di non piantare soltanto alberi lungo le strade, ma considerare anche l’importanza delle siepi: solo così si mitiga l’impatto delle emissioni dei veicoli a scoppio. Lo studio si è focalizzato su sei punti lungo la strada a Guildford, nel Regno Unito, e ha preso in considerazione tre tipologie di barriere vegetali: solo alberi, solo siepi e un mix di alberi e siepi. Le misurazioni hanno rilevato che la riduzione più elevata di inquinanti dall’altro lato della strada è avvenuta dove c’erano soltanto le siepi, indipendentemente dalla direzione dei venti. Come era facile immaginare, le alberature non hanno prodotto benefici all’altezza di 1,5-1,7 metri, quella della respirazione umana per intenderci.
L’inquinamento nelle città è un problema complesso, ovviamente, che deve essere affrontato da molti punti di vista, ma le piante possono venirci in aiuto. Potremmo riassumere dicendo che una delle regole auree della città pulita è quella delle “4 p”: pedoni, pedali, pendolari e… piante!