fonte: LaNotiziaGiornale
Sono passati ormai nove mesi dall’insediamento del Governo presieduto da Giuseppe Conte. Per la prima volta nella storia, come sono soliti ripetere i gialloverdi, un esecutivo regola le proprie azioni sulla base di un contratto firmato da due azionisti di maggioranza, Lega e Movimento 5 stelle. E, mentre si avvicinano le elezioni europee, i sondaggi raccontano di una crescita esponenziale del Carroccio e di un Movimento in frenata, come d’altronde testimoniato anche dai risultati delle regionali in Abruzzo. A questo punto, però, un fact-checking su quanto fatto finora dal Governo e dai gialloverdi. Il risultato, sebbene poco se ne parli, è sotto gli occhi di tutti: al di là degli strombazzamenti (spesso eccessivi) dei leghisti, la stragrande maggioranza dei provvedimenti portano la firma del M5S.
Manovra al 2,04%. Vittoria sui burocrati Ue. La si può guardare come si vuole, ma c’è un dato inoppugnabile sulla prima Manovra dei penta-leghisti: Conte è riuscito a strappare condizioni decisamente più vantaggiose rispetto a quelle in un primo momento imposte da Bruxelles. Certo: la trattativa è stata lunga ed è “costata” anche un dietrofront del Governo italiano che inizialmente aveva fissato al 2,4% il rapporto tra Deficit e Pil. Alla fine, come si sa, si è riusciti ad ottenere un 2,04% rispetto all’1,6 che chiedeva l’Europa. Ma, al di là dei numeri, il merito dei gialloverdi è stato quello di aver sfidato l’austerity e, primi in Ue, di aver dato spazio ad una linea economica differente. Il primo passo è stato compiuto. Vedremo se anche i risultati saranno soddisfacenti.
Rivoluzione col Reddito. Altro che ragazzi sul sofà. La misura del Reddito di cittadinanza è stata criticata, osteggiata, presa in giro spesso anche da chi, probabilmente, neanche ha letto il decreto (che in questi giorni ha subito importanti migliorie in Parlamento). Si è parlato di una misura che spingerebbe i giovani a restare sul divano. In realtà così non è: la misura è strutturata in modo che se qualcuno dovesse rifiutare tutte le tre offerte di lavoro durante il periodo di contributo, lo stesso non potrebbe essere rinnovato. In più la misura incentiva (e tanto) anche la singola iniziativa dei giovani che, se si dovessero mettere in proprio, beneficerebbero del contributo per finanziare la propria stessa attività. Parliamo di una misura che ha i tratti per essere rivoluzionaria. Ora vedremo se la macchina burocratica si presterà per rendere il provvedimento realmente tale.
Addio riforma Fornero. Quota 100 è un successo. Sia nel programma leghista che in quello pentastellato era contemplato il superamento della riforma Fornero. Non è stato difficile, dunque, trovare un accordo a riguardo nel contratto di Governo siglato dalle due forze di maggioranza. Il sistema messo a punto e inserito nello stesso decreto del Reddito di cittadinanza, è Quota 100. Un sistema che permette, a chi ha almeno 62 anni di età 38 di contributi versati, di anticipare l’uscita dal lavoro. Che la misura sia stata di fatto un successo lo rivelano i numeri: secondo l’ultimo bollettino Inps, sono in totale 63.414 le domande per Quota 100 presentate. Il maggior numero di domande è stato registrato a Roma con 4.752 richieste, seguita da Napoli con 2.953 e da Milano con 2.476.
Dignità per i lavoratori. I dati Inps lo testimoniano. Che il decreto Dignità (primo provvedimento realizzato dal Governo Conte) stia già facendo registrare risultati soddisfacenti, lo dimostrano i numeri snocciolati giovedì dall’Inps. Gli effetti del decreto Dignità – che pone un tetto ai contratti a tempo determinato prevedendo incentivi per i contratti indeterminati – si erano già visti nelle statistiche di novembre, mese in cui il provvedimento che rende obbligatoria la causale per i contratti superiori a 12 mesi è entrato in vigore anche per rinnovi e proroghe. Se infatti nei 12 mesi le trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato nel complesso risultano quasi raddoppiate, da 299.000 a 527.000, con un aumento del 76,2%, nell’ultimo bimestre dell’anno c’è stata “un’ulteriore accelerazione“. A novembre e dicembre le trasformazioni di rapporti a termine e apprendistati in contratti stabili sono state 124.300 contro le 61.700 di novembre e dicembre 2017. Un aumento del 101%.
Arriva la Spazzacorrotti. Bonafede nella Giustizia. Il ddl Anticorruzione, rinominato “Spazzacorrotti” è un’altra importante vittoria M5S. Oltre alla riforma della prescrizione, prevede il cosiddetto “Daspo a vita” per i corrotti, la figura dell’agente sotto copertura, l’utilizzo di trojan per le intercettazioni. Il provvedimento, ancora, introduce un nuovo articolo del codice penale, il 323-ter, che stabilisce non sia punibile chi ha commesso i reati di corruzione se li denuncia volontariamente; se fornisce indicazioni utili e concrete per assicurare la prova del reato e per individuare gli altri responsabili. Per l’applicazione della causa di non punibilità occorre però anche che l’interessato sveli la commissione del fatto prima che il suo nome sia iscritto sul registro degli indagati. Sono inoltre previste norme più stringenti su partiti e movimenti politici: sarà obbligatorio rendere pubblici sul sito internet del partito o del movimento politico i dati di chi eroga contributi superiori nell’anno a 500 euro a partiti o movimenti politici nonché alle liste di candidati alla carica di sindaco partecipanti alle elezioni amministrative nei comuni con popolazione superiore a 15mila abitanti. Gli obblighi sulla pubblicità dei contributi, sulla rendicontazione e la trasparenza varranno anche per “fondazioni, associazioni e comitati collegati a un partito o movimento politico”.
Bye bye vitalizi. Risparmi per 56 milioni. Altro importante risultato raggiunto è l’abolizione dei vitalizi, supremo scandalo della politica italiana. Ma qui il discorso non è semplicemente etico e d’immagine (specie in un periodo di ripresa economica), ma anche prettamente “erariale”: il taglio agli assegni d’oro consentirà un risparmio per le casse pubbliche, tra Camera e Senato, di 56 milioni annui. La battaglia, tuttavia, non è terminata: ora la guerra – ancora più pesante – è contro i vitalizi degli ex consiglieri regionali che, ovviamente, hanno già alzato le barricate. Senza dimenticare il taglio alle pensioni d’oro, altra battaglia annunciata dai Cinque stelle e che, secondo programma, dovrebbe vedere la luce quest’anno.
Sbarchi e immigrazione. Pugno duro di Salvini. Il provvedimento che più di ogni altro segna la politica di Matteo Salvini improntata alla chiusura dei porti è senz’altro il decreto Sicurezza. Con tale legge la Lega ha messo a segno un punto importante nella lotta all’immigrazione e nella modifica della gestione stessa dell’accoglienza. Come si sa, il provvedimento prevede l’abolizione dei permessi umanitari sostituiti da vari permessi speciali di durata però più breve (un anno rispetto ai due dell’umanitario) e la chiusura del circuito Sprar. Questo ovviamente potrebbe portare una maggiore immigrazione clandestina presente sul territorio italiano, che Salvini vuole combattere con una forte politica di rimpatrio che oggi, tuttavia, numeri alla mano ancora stenta a decollare. Il dl Sicurezza, ancora, va di pari passo con il taglio pesante ai fondi per i centri d’accoglienza e la chiusura stessa dei porti: di fatto, secondo i dati del Viminale, gli sbarchi sono crollati rispetto agli anni precedenti.
Ok alla legittima difesa. A giorni sarà legge. Tema connesso alla sicurezza e, anche questo, squisitamente leghisto, è quello relativo alla legittima difesa. Tutti ricordano la “promessa” sottoscritta dallo stesso Salvini con i comitati pro-armi. Il prodotto, alla fine, è una legge ancora più permissiva rispetto al resto d’Europa. Con il nuovo testo si esclude la punibilità di chi si è difeso in “stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto” per la presenza di un eventuale ladro. Affinché scatti la legittima difesa non è necessario che il ladro abbia un’arma in mano, bensì è sufficiente la sola minaccia di utilizzare un’arma e non è necessario che la minaccia sia espressamente rivolta alla persona. Per ora il disegno di legge – tra malumori degli stessi pentastellati – è passato al Senato ed è approdato alla Camera dove si aspetta l’ok definitivo in questi giorni. Non è in discussione l’approvazione finale del provvedimento, peraltro contenuto nel contratto di Governo. Ma è anche vero che su questa norma il Movimento rischia di registrare altri malumori dopo quelli registrati sul decreto Sicurezza.
Riforme costituzionali. M5S col vento in poppa. Prendono piede anche le riforme costituzionali su cui il Movimento cinque stelle ha tanto insistito. Prendendo una via differente rispetto a quella intrapresa nella scorsa legislatura dal Governo Renzi (e sappiamo bene com’è andata a finire il 4 dicembre 2016), la maggioranza, sulla spinta pentastellata, ha presentato 4 disegni di legge di riforma costituzionale distinti: uno riguardante l’abolizione del Cnel, uno per introdurre il referendum propositivo, uno riguardante il taglio dei parlamentari e uno, collegato, di riforma della legge elettorale di modo da conservare l’attuale sistema ma in linea con lo stesso passaggio dagli attuale 945 parlamentari a 600. Due di queste riforme già sono state approvate in prima lettura. La legge sul referendum è stata approvata alla Camera: saranno sufficienti 500mila firme per vedere approvata dalle Camere una proposta di legge entro il termine di 18 mesi. Si tratta dell’iniziativa legislativa introdotta modificando l’articolo 71 della Costituzione, che già prevedeva la possibilità di proposta legislativa da parte di almeno 50mila elettori. Trascorso questo periodo senza “risposta” da parte del Parlamento la parola passerà alle urne, dove sarà necessario un quorum “approvativo” del 25% degli aventi diritto al voto. Al Senato invece è stato approvato il già menzionato taglio dei parlamentari. Ovviamente, trattandosi di riforme costituzionali, i tempi di legge sono più lunghi rispetto a quelli ordinari: saranno necessarie in totale quattro letture, due alla Camera e due al Senato (con una distanza temporale di tre mesi dopo le prime due approvazioni).
Truffati dalle banche. Ecco i veri risarcimenti. Il maxi-fondo per i truffati dalle banche venete e di quelle dell’Italia centrale ha una dotazione di 1,5 miliardi nel triennio 2019-2021. Ben altra cosa rispetto ai 100 milioni annui previsti dal passato Governo. La Manovra 2019, nella versione finale, dispone indennizzi del 30% per gli azionisti e del 95% per gli obbligazionisti subordinati fino a un limite di 100mila euro a testa senza necessità di dimostrare la frode o comunque la vendita senza sufficienti informazioni sui rischi (misselling). A gestire la procedura, stando alla legge, sarà il ministero dell’Economia, che ha già nominato una commissione incaricata di definire le modalità di presentazione delle domande e di riparto delle risorse, pari a 525 milioni l’anno nel prossimo triennnio.