L’ex presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, è stato condannato per corruzione a 5 anni e 10 mesi di reclusione e per lui si sono aperte le porte del carcere. Ma non c’è nulla da esultare per il suo ingresso nelle patrie galere, è semplicemente ciò che avviene in un Paese normale.
Il ministro Bonafede, poco dopo il suo insediamento, aveva denunciato la ridicola percentuale dei colletti bianchi in carcere: circa lo 0,7 per cento della popolazione dei detenuti. Che, di fronte alle proporzioni del fenomeno corruttivo in Italia, sa proprio di beffa, di sacca di impunità. Poi è arrivata la legge Spazzacorrotti, proposta dal ministro Bonafede e approvata prima in consiglio dei ministri, poi nei due rami del Parlamento.
Una legge che segna una svolta epocale con l’introduzione del daspo ai corrotti, dell’agente sotto copertura nelle indagini per reati contro la pubblica amministrazione, della causa di non punibilità per chi si autodenuncia subito e collabora con la giustizia. Ma questa legge introduce anche un importantissima novità: i reati di corruzione vengono equiparati a quelli di mafia, droga e terrorismo a livello di ordinamento penitenziario. Questo significa che per corrotti e corruttori, condannati in via definitiva, si aprono inevitabilmente le porte del carcere.
Quindi, Formigoni, con la condanna emessa ieri, molto probabilmente sarebbe comunque entrato in carcere ma per uscirne subito dopo: data l’età poteva tranquillamente accedere alla detenzione domiciliare. Ma questo non vale più dopo l’approvazione della Spazzacorrotti. Qualcosa comincia a cambiare in questo Paese con il MoVimento al governo.
Formigoni è stato protagonista di quello che il pg della Cassazione ha definito un “imponente baratto corruttivo”. Da parte sua c’è stato un “sistematico asservimento della funzione pubblica agli interessi della Maugeri, un baratto della funzione” per un giro di circa 70 milioni di euro e 6 milioni di “utilità” (le famose cene, i viaggi e le vacanze da sogno). Il pg aveva infatti chiesto la conferma della condanna in appello a 7 anni e 6 mesi “tenuto conto del suo ruolo e con riferimento all’entità e alla mole della corruzione, che fanno ritenere difficile ipotizzare una vicenda di pari gravità”. Ma, parte delle accuse nei suoi confronti, nel mentre, sono cadute in prescrizione, e dunque si è giunti al verdetto di 5 anni e 10 mesi. Ma il MoVimento ha anche pensato a questo, varando la riforma della prescrizione che a partire dal prossimo gennaio sarà interrotta alla sentenza di primo grado.
In fondo non è nulla di che: chi ha sottratto risorse dei cittadini italiani per proprio tornaconto personale deve scontare la sua pena. Solo una cosa normale in un Paese normale. Ma forse nessuno era abituato a tutto ciò.