Salvare le paludi mesopotamiche. Fermare le guerre dell’acqua

Le paludi mesopotamiche dell’Iraq meridionale alla confluenza dei fiumi Tigri ed Eufrate si stanno per prosciugare. Questa particolarissima regione umida, cuore della Mezzaluna Fertile, culla della agricoltura e della civiltà, luogo dell’Eden biblico secondo la tradizione – patrimonio dell’Unesco insieme alle città sumere di Ur, Eridu e Uruk – sta per scomparire. Quindicimila chilometri quadrati di fertili terreni paludosi ridottisi a un terzo nel giro di pochi decenni. Un cataclisma ambientale e sociale che ha messo in crisi l’intero ecosistema dell’Iraq meridionale e ha costretto all’esodo i Maadan, la popolazione locale degli ‘arabi delle paludi’ che da millenni vive di agricoltura e pesca in simbiosi con questo ambiente. A causare questo disastro – di cui si parlerà nel Forum dell’Acqua di Sulaymaniyah del 6/8 aprile – non è stato tanto il cambiamento climatico, quanto lo sconsiderato uso politico e militare dell’acqua.
Ne parliamo con il coordinatore iracheno della campagna ‘Save the Tigris’ (savethetigris.org), Ismaeel Dawood.

Quando, come e perché nasce questo problema?
Tutto nasce con la guerra Iran-Iraq, che è stata anch’essa una guerra dell’acqua per il controllo dello Shatt al-Arab, il fiume formato dalla confluenza del Tigri e dell’Eufrate. Negli anni ’80 la Turchia approfittò della debolezza dell’Iraq, impegnato in guerra, per sottrargli risorse idriche con la costruzione di diverse dighe sul Tigri nell’Anatolia sud-orientale. Dopo che negli anni ’90 lo stesso dittatore iracheno Saddam Hussain prosciugò le paludi per soggiogare le ribelli popolazioni sciite locali, il disegno turco verrà rilanciato dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan in funzione anti-curda: i bacini delle dighe per allagare e isolare i territori dei ribelli del Pkk e per assetare i curdi del nord dell’Iraq e della Siria.

La mega-diga di Ilisu rientra in questo disegno?
Questa gigantesca diga rappresenta l’apice del sogno di Erdogan di imporre con l’acqua la sua egemonia su tutta la regione, senza curarsi dei danni provocati. La diga di Ilisu lascerà a secco il Tigri decretando la sparizione definitiva delle nostre paludi e generando una grave crisi idrica in tutto l’Iraq. E il suo gigantesco invaso non solo sommergerà città antichissime come Hesenkeyf, vecchia di 12mila anni, ma provocherà una gigantesca perdita di acqua a causa dell’evaporazione e un fortissimo aumento della salinità dell’acqua. La situazione idrica nel mio Paese è già drammatica, ma se la Turchia attiverà la diga di Ilisu si scatenerà un vero e proprio disastro ambientale. Ora che la guerra all’Isis è finita, il governo iracheno deve concentrarsi su questa priorità nazionale.

Anche l’Isis, a proposito, puntava al controllo dell’acqua…
Altroché! In una regione desertica come l’Iraq e la Siria, il controllo del territorio e della popolazione che ci vive non può prescindere dal controllo dell’acqua. La battaglia del 2017 per la mega-diga di Tabqa sull’Eufrate è stata centrale per le sorti del conflitto. Il Califfato, che la controllava da anni la diga, avrebbe potuto inondare e distruggere la sottostante città di Raqqa. Lo stesso rischio si è corso in Iraq, con la diga di Mosul che voi italiani avete aiutato a proteggere dai ripetuti tentativi dell’Isis di conquistarla. La stessa Coalizione, nel corso del conflitto, ha ripetutamente preso di mira le infrastrutture idriche controllate dal Califfato.

Dopo le guerre per il petrolio, ci aspettano le guerre per l’acqua?
Se vogliamo evitare catastrofi ecologiche come quella che incombe sulle paludi irachene e su tutto l’Iraq – crisi che possono diventare economiche, sociali e politiche – e un futuro di guerre per il controllo di questa risorsa vitale, non solo in Medio Oriente ma in tutto il mondo, bisogna considerare l’acqua non più risorsa di cui appropriarsi per sfruttarla economicamente e politicamente ma come bene comune da gestire a livello regionale e transnazionale. L’acqua non deve più essere strumento di guerra e di ricatto, ma di pace e cooperazione tra popoli e nazioni.