I nostri mari si stanno ammalando sempre più. E la colpa è anche del cambiamento climatico causato dalle emissioni di gas serra prodotte dalle attività umane. A confermarlo sono numerosi studi, tra cui quelli della Fondazione Imc. Scienziati da tutto il mondo hanno lanciato l’allarme ormai da tempo: gli ecosistemi marini sono soggetti a un crescente degrado causato dall’aumento delle temperature e della concentrazione di anidride carbonica.
Questo comporta serie conseguenze su flora e fauna, ma anche sulla vita delle comunità che vivono lungo le coste e, di riflesso, su tutti noi. Le temperature sempre più elevate dell’acqua, i bassi livelli di ossigeno disciolto, l’acidificazione oceanica e costiera, le inondazioni e gli eventi meteorologici estremi: tutti eventi ai quali si deve porre con urgenza un freno.
Negli Oceani si registra un incremento di temperatura media dell’acqua superficiale di circa 2 gradi nell’ultimo secolo. Siamo passati da 25 a 27°C: può sembrare un piccolo aumento ma per il Pianeta e i suoi ecosistemi è un vero e proprio sconvolgimento. Non a caso stiamo assistendo alla progressiva “meridionalizzazione” del mar Mediterraneo: in pratica, gli organismi marini cosiddetti “ad affinità subtropicale”, tipici delle coste meridionali del Mare Nostrum, hanno ampliato o spostato il proprio areale verso regioni più settentrionali, dove in precedenza a causa della temperatura troppo bassa erano assenti o molto rari. Per esempio, la “donzella pavonina”, il pesce più variopinto del Mediterraneo, fino ad un paio di decenni fa era diffusa solo nelle acque del bacino levantino e a sud, ora è comune anche nelle acque del Mar Ligure.
E se le specie del mediterraneo si “trasferiscono” più a Nord, nelle nostre acque assistiamo al fenomeno, sempre generato dal surriscaldamento, della “tropicalizzazione”, vale a dire l’arrivo di specie provenienti da zone tropicali, che un tempo erano estranee al nostro mare e sono causa di non pochi problemi. È il caso del pesce flauto, arrivato dal Mar Rosso attraverso il Canale di Suez a causa del riscaldamento delle acque. Questa è una delle tante specie definite “aliene” che come molte altre, una volta nel nostro mare sembra non aver trovato competitori e si alimenta facilmente di pesci “autoctoni” che non la riconoscono come un predatore.
Il combinato di tutti questi fattori può favorire l’attivazione di agenti patogeni e indebolire fortemente gli organismi marini, provocando nei casi più gravi eventi di mortalità massiva. Questo significa che il pescato è meno sicuro, meno ricco e meno abbondante: in poche parole, il nostro mare si impoverisce con tutte le conseguenze ecologiche, economiche e sociali del caso.
I cambiamenti climatici hanno un impatto sulla distribuzione, sulle abitudini migratorie e sulle dimensioni degli stock di molte specie di pesci. Alcune specie si spostano dalle acque costiere poco profonde e dalle aree semichiuse, dove le temperature aumenteranno più rapidamente, in acque più profonde e più fredde. Certe specie presenti in mare aperto e negli oceani sono colpite in modo più drammatico. Per sgombro, sardine e acciughe, ad esempio, le fluttuazioni indotte dal clima influenzano importanti processi biologici come il successo riproduttivo e le loro interazioni nella catena alimentare.
Un’altra conseguenza preoccupante dell’aumento di CO2 in atmosfera è la cosiddetta “acidificazione”: il pH medio delle acque superficiali dei mari è sceso da 8.21 a 8.10. Tra le conseguenze dirette di questi cambiamenti c’è la perdita o comunque la compromissione di habitat importanti, con la modifica delle catene alimentari basate su plancton e della distribuzione delle specie. L’acidificazione causa problemi di sviluppo delle larve e del plancton alla base delle catene alimentari, come avviene per le uova di tonno pinna gialla, la cui sopravvivenza è messa in forte pericolo dall’acidificazione.
L’equilibrio naturale del Pianeta è fragile e i cambiamenti repentini legati alle attività umane stanno determinando un’accelerazione delle temperature a livello globale. Gli ecosistemi marini e terrestri cambiano forse irreversibilmente e siamo in grado di prevedere solo in parte le conseguenze di questi cambiamenti. Per questo bisogna prendere coscienza dei rischi che stiamo correndo come specie, sensibilizzare i cittadini, determinare – come il Movimento 5 Stelle sta facendo con tutte le energie in Parlamento e nel Paese – nuove politiche e spingere la comunità internazionale a varare regole riconosciute da tutti come necessarie e improcrastinabili se vogliamo salvare la nostra specie salvando gli ecosistemi che ci hanno consentito fin qui di essere sulla Terra.
Partecipa alla discussione sull’evoluzione del MoVimento 5 Stelle nell’area di ascolto su Rousseau