Ecco tutti i danni dell’austerity – Lo studio Eurispes

Ecco tutti i danni dell’austerity. Lo studio Eurispes “Vincoli di bilancio comunitari e nazionali: l’influenza del Patto di stabilità e crescita sulla finanza delle Regioni ed Enti locali italiani”, realizzato in collaborazione con il gruppo Efdd al Parlamento europeo, analizza l’impatto delle politiche di austerity sull’economica e sulle finanze pubbliche italiane.

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Ecco la conferenza stampa in diretta. Partecipano il Presidente di Eurispes Gian Maria Fara, il dott. Giovambattista Palumbo, Direttore dell’Osservatorio Eurispes sulle Politiche fiscali e Laura Agea, capodelegazione del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo. I saluti introduttivi saranno a cura di Fabio Massimo Castaldo, vice presidente del Parlamento europeo.

di Laura Agea, Efdd – MoVimento 5 Stelle Europa

“oggi siamo qui per presentare i risultati di uno studio dettagliato dell’Eurispes sui vincoli di bilancio europei che la nostra delegazione ha fortemente voluto e che – come vedremo – conferma la correttezza delle battaglie che abbiamo condotto in questa sede durante tutta la legislatura.

Ma, non solo: questo rapporto aggiunge infatti un ulteriore tassello alla nostra proposta analitica e costruttiva di una nuova Europa, capace di adattarsi e cambiare le proprie normative per essere davvero vicina ai bisogni dei cittadini e dei territori, invece che schiava di assurdi paradigmi economici che la indeboliscono e ne condizionano lo sviluppo economico e sociale.

Come sappiamo bene, in seguito alla crisi economica e finanziaria vi è stato un progressivo rafforzamento delle politiche di austerity con la riforma della governance economica dell’Ue – in particolare tra il 2011 e 2013 – che ha portato, nel luglio 2012, alla ratifica, con il governo Monti, del Trattato sul Fiscal Compact. Trattato che ha introdotto, tra le altre cose, la dannosissima regola del pareggio di bilancio in Costituzione. E noi – vorrei ricordarlo ancora una volta – già allora fummo gli unici ad apporci sia al Fiscal Compact che al pareggio di bilancio in Costituzione.

L’idea di fondo era che, introducendo in Costituzione vincoli al bilancio, ed in particolare, il principio del pareggio di bilancio, se ne rendesse difficile, per il futuro, l’aggiramento, garantendo così un alleggerimento della spesa pubblica e dunque del ricorso all’indebitamento.

Peccato, però, che così facendo Mario Monti e l’allora maggioranza PD-Forza Italia avevano di fatto consegnato la nostra sovranità economica all’Europa e ai falchi dell’austerity. E adesso cercare di sfilarsi da questo vincolo, senza una revisione dei Trattati, significa finire come la Grecia, nelle mani Troika.

La nuova disciplina costituzionale, con la riforma del 2012, ha introdotto misure di tipo strutturale ed esteso i nuovi princìpi alla Pubblica amministrazione e agli Enti territoriali, con tutte le ricadute sul nostro welfare che possiamo immaginare, in quanto gli Enti territoriali sono esplicitamente vincolati a “concorrere” al rispetto dei vincoli europei e dunque degli obiettivi economico-finanziari.

Come purtroppo sappiamo e come evidenziato anche da Eurispes, i vincoli di bilancio incidono anche sul sistema di welfare.

L’inserimento del principio del pareggio di bilancio in Costituzione incide sulla nostra forma di Stato sociale, che, in applicazione dell’articolo 3 della Costituzione, sarebbe tenuta ad intervenire attivamente a favore dei gruppi o delle classi più deboli realizzando il principio di eguaglianza sostanziale e non solo formale. Dal 2012 in poi, a seguito di questo provvedimento, la composizione dei conflitti tra logica del vincolo di bilancio e tutela dei diritti appare invece molto più problematica.

Cito solo una parte dello studio, per noi molto significativa:
“Alla luce di quanto evidenziato, il momento di crisi non sembra dunque essere stato affrontato in Italia, in questi anni, nel modo più efficace, essendo stata focalizzata l’attenzione più sugli strumenti contabili, sulla riduzione di spesa e sul futuro pareggio di bilancio, piuttosto che sugli investimenti, sulla costruzione di infrastrutture e sul rilancio della spesa interna, con anche maggiore attenzione e tutela ai diritti sociali” (pag, 28 rapporto Eurispes)

Noi denunciamo da tempo tutto questo, sia nelle istituzioni italiane che in quelle europee . Le misure di austerity, imposte fino ad oggi, hanno prodotto solo carneficine sociali e lo studio lo conferma.

In seguito alle misure di austerità, un’ampia fetta della popolazione italiana non riesce più ad accedere alle cure per ragioni economiche. Nel 2008, la spesa pubblica sanitaria in percentuale al Pil ha iniziato a decrescere, invertendo uno storico trend positivo e toccando il minimo del 6,4% nel 2018…

Nel 2015, oltre 12 milioni di italiani hanno dichiarato di aver rinunciato alle cure per motivi economici, mentre 7,8 milioni hanno speso tutti i loro risparmi o si sono indebitati per far fronte alle spese mediche.

I draconiani tagli alla sanità hanno anche esacerbato le iniquità socio-economiche. Infatti, dall’inizio della crisi, la percentuale di persone appartenenti al quintile di reddito più povero che dichiara di non aver avuto accesso alle cure per motivi economici, di distanza, o a causa di lunghe liste d’attesa, è cresciuta in modo significativo, raggiungendo quasi il 16% nel 2015. Le persone appartenenti al quintile più ricco, invece, non sono state per nulla intaccate dalla crisi. Similmente, è aumentato il divario tra Nord e Sud, e molte regioni stentano a garantire i Livelli essenziali di assistenza (Lea).

Le regole interpretative sul patto di stabilità e crescita emanante nel 2015 dalla Commissione Europea, con alcune clausole per investimenti e per le riforme strutturali, non sono state abbastanza ambiziose e sono state limitate ad alcuni strumenti come il piano Juncker, oppure applicate ai fondi strutturali solo tramite vincoli rigidissimi.

Da quando siamo al Parlamento Europeo, abbiamo invece sempre insistito su alcuni aspetti sui quali adesso anche lo studio Eurispes ci dà ragione. Mi riferisco, in particolare, a:

1) Lo scorporo dai criteri di deficit della quota delle spese nazionali per il cofinanziamento di fondi europei. Questo, nella pratica, significa due cose, ovverosia – e cito da pag.53 del rapporto Eurispes:
a) promuovere iniziative affinché la quota delle spese nazionali per il cofinanziamento di fondi europei possa essere scorporata dai criteri di deficit e di debito degli Stati membri;
b) escludere dagli aggregati rilevanti del Patto di stabilità le spese sostenute da Enti locali e Regioni per il cofinanziamento dei fondi strutturali europei

2) lo scomputo della spesa per infrastrutture dal calcolo del deficit ai fini del Patto di stabilità e cito ancora lo studio: “Appare infatti ragionevole finanziare investimenti in debito dal momento che questo debito potrà essere ripagato con il maggiore gettito fiscale che discenderà dall’aumento del Pil, generato a sua volta da infrastrutture più funzionali. L’Italia è infatti un Paese in cui la spesa pubblica incide per oltre il 50% sul Pil. Tuttavia, la quasi totalità della spesa viene indirizzata in spesa corrente e non in spesa per investimenti. Gli investimenti pubblici, in periodo di recessione o di bassa crescita, hanno effetti moltiplicativi sul Pil. Gli investimenti, inoltre, non rilanciano solo la domanda, ma aiutano a far crescere il rendimento atteso del capitale privato, dunque portano anche più investimenti privati, coi conseguenti effetti positivi sul Pil.

3) Riconsiderare la mission della BCE. Da anni chiediamo una modifica dello statuto della BCE per cambiare l’obiettivo della stabilità dei prezzi – che è stata una ossessione principalmente tedesca – in quello della piena occupazione. Inoltre chiediamo che la BCE possa agire come prestatore di ultima istanza (“lender of last resort”) nel mercato dei titoli di Stato per fornire liquidità agli Stati Membri proprio come fa per il settore finanziario.

4) Modificare la procedura di calcolo del Pil potenziale, ovverosia il livello del Pil che un Paese otterrebbe utilizzando al massimo livello possibile i suoi fattori produttivi: ad oggi il calcolo del pil potenziale è calcolato considerando un tasso di disoccupazione ottimale, che molto spesso è fuorviante, perché non considera la forza lavoro scoraggiata. Per questo motivo la metodologia europea, che sottostima il Pil potenziale di molti Stati membri, va rivista urgentemente.

5) Infine, modificare il valore del debito di riferimento: il 60% del debito/PIL è un valore arbitrale e privo di fondamenti economici. È necessario rivedere al rialzo questo rapporto portandolo, ad esempio, al 90% poiché più realistico (dato che è uguale alla media del debito pubblico a livello UE)

In conclusione, lasciateci dire che alcune delle cose che ripetiamo da anni, e per le quali continueremo a batterci nella prossima legislatura, ormai non sono più tabu. Dobbiamo restituire un futuro ai giovani in Italia e in Europa: le politiche di austerità, che condannano i nostri figli a una povertà materiale e immateriale, hanno fallito. E questa “certificazione” non viene solo da Eurispes, ma dalla realtà dei fatti. Perfino il presidente della Commissione europea Juncker ha recentemente fatto mea culpa parlando di “austerità avventata” da parte delle istituzioni comunitarie e di “scarsa solidarietà” nei confronti della Grecia.

Appare quindi fondamentale, per costruire una nuova Europa, imprimere una svolta decisiva per la revisione di uno strumento normativo che – come suggerito nel rapporto “riesamini, innovi e riorganizzi l’insieme delle norme che hanno sovrapposto e via via integrato le regole strutturali, a partire dal Six pact, per pervenire ad un nuovo punto di sintesi, che riconosca la necessità di sottrarre al vincolo numerico dell’equilibrio nominale e strutturale un’area ben determinata di spese per investimenti produttivi, idonea a funzionare come volano di politiche anticicliche a scala europea” (pag.57).

Infine vorrei concludere citando i due passaggi finali del rapporto Eurispes:

1) il primo, laddove non solo si dice a chiare lettere che congelare gli investimenti nei vincoli di bilancio è analiticamente errato ma, viene addirittura visto come “un’operazione masochistica”;

2) Il secondo – e possiamo prendere spunto dall’annosa questione che in questa legislatura abbiamo affrontato sulle riforme strutturali – è che in realtà la crisi dell’ultimo decennio ha dimostrato che, contrariamente a quanto ci dicono e ci ripetono i falchi dell’austerity, “è proprio la macchina europea – e non i nostri sistemi pensionistici e sanitari – ad avere bisogno di profonde riforme strutturali”.

Ed è su questo che continueremo a lavorare anche nella prossima legislatura: vogliamo riformare l’Europa, non vogliamo distruggerla. Vogliamo passare dall’Europa delle banche e della finanza a un’Europa sociale e solidale, dove i diritti e gli interessi del cittadino vengano messi prima di tutto”.