In un mondo sempre più interconnesso e globalizzato, il cambiamento è ormai necessario. Siamo tutti parte di un’unica rete, formiamo tutti un’unica comunità che vive gli stessi problemi, sia globali come il climate change (cambiamento climatico) e l’inquinamento, che locali, come le risorse limitate.
Negli anni ’90 in Italia ci sono state due importanti crisi del ciclo dei rifiuti: quella di Milano e quella di Napoli. Questi due eventi, sebbene distanti tra loro geograficamente, hanno avuto lo stesso minimo comune denominatore: un modello lineare di gestione dei rifiuti che si fondava sull’uso esclusivo delle discariche.
Fortunatamente, negli ultimi anni, abbiamo acquisito una consapevolezza riguardo all’ ambiente, ci siamo resi conto dei limiti dettati dalle leggi della natura, abbiamo iniziato a parlare di sviluppo sostenibile, di economia green e abbiamo capito che avremmo dovuto imparare dalla natura, chiudendo i cicli. Nasce così il concetto di economia circolare.
Quest’approccio deriva dallo sviluppo di alcune scuole di pensiero, come: il “From the cradle to the cradle”, in cui i rifiuti e gli scarti diventano materie prime; come l’“Economia delle prestazioni”, un principio coniato da W. Stahel nel suo famoso libro “The Performance Economy” , in cui si auspica un passaggio ad un’economia che vende servizi anziché beni; la Biomimetica , una scienza che studia i processi biologici e biomeccanici della natura e li utilizza come fonte d’ispirazione per ilo sviluppo sostenibile delle attività e delle tecnologie; l’Ecologia industriale, il capitalismo naturale, il design rigenerativo e la blue economy, un modello attraverso cui, grazie all’utilizzo di sostanze già presenti in natura, si effettuano bassi investimenti, si creano più posti di lavoro e contemporaneamente è possibile tutelare la resilienza di un territorio.
Il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa, fin dal suo primo giorno di insediamento, ha dimostrato quanto sia fondamentale mettere al centro, il tema dell’economia circolare e lo spreco di risorse naturali.
Recepire le direttive europee è doveroso, ma lo è innanzitutto cambiare le nostre abitudini, i nostri modi di pensare e di agire, così come rinnovare i cicli di produzione e costruire i “cicli inversi” dal rifiuto a risorsa.
Si parla tanto di economia circolare, ma la visione resta lineare. Si ragiona ancora per compartimenti, per singole discipline, come se l’ambiente non fosse collegato all’economia, al lavoro, alle problematiche sociali, all’istruzione. E’ necessario che i problemi siano affrontati in modo sistemico, perché connessi tra loro.
Certo, ci vuole coraggio per rompere i vecchi schemi, ma la transizione verso un nuovo modello economico, che tuteli la salute dei cittadini e l’ambiente è già in atto e non dobbiamo ostacolarla.
Karl Popper diceva: “Il futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte.”
Tutti noi dovremmo tenere a mente queste sue parole, se crediamo veramente che un altro mondo sia possibile.