Quando parliamo di futuro del lavoro, di automazione di massa, di iperproduttività e di disoccupazione il nostro pensiero va al settore manifatturiero, che è quello che si immagina subirà più di tutti il profondo cambiamento che abbiamo appena cominciato ad attraversare (e già sta rivelando quali potranno essere le conseguenze su occupazione e opportunità di impiego per centinaia di migliaia di persone). Ma questo non è l’unico aspetto del problema da considerare.
Richard Baldwin è uno dei più famosi esperti di globalizzazione al mondo e ha appena pubblicato il suo ultimo libro, The Globotics Upheaval, in cui offre una serie di spunti di riflessione che vale la pena approfondire. Baldwin identifica infatti due tendenze dirompenti che, combinandosi nei prossimi anni, rischiano di impattare in modo massiccio sui lavoratori non più solo del settore manifatturiero, ma in quello dei servizi. Da un lato infatti abbiamo la spinta sempre più forte all’automazione e alla robotizzazione dei processi che sta subendo un’accelerazione ulteriore grazie allo sviluppo dell’intelligenza artificiale (se ve lo siete perso, leggete il caso di Tesla), dall’altra stiamo assistendo a quella che lui stesso definisce la diffusione della “remote intelligence”. Per dirla in parole semplici, stiamo parlando di una marea crescente di talenti a basso costo provenienti da paesi come Cina e India in grado di competere con i professionisti meglio pagati dei paesi OCSE.
A partire dal 1990, come ha illustrato l’autore qui e qui, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno permesso il superamento dei confini territoriali. Attraverso lo sviluppo della rete, le aziende del G7 hanno potuto dislocare intere fasi di produzione nei paesi in via di sviluppo, mantenendo comunque l’intero processo di produzione senza intoppi e affidabile e potendo contare su manodopera a basso costo. E questo, come sappiamo tutti molto bene, è avvenuto.
Le differenze salariali, però, non riguardano solo la manodopera, ma anche molte categorie professionali nel settore dei servizi. Se fino a questo momento la globalizzazione ha riguardato essenzialmente la produzione e la diffusione delle merci, oggi stiamo entrando in una nuova era della globalizzazione che riguarderà anche i servizi.
Oggi ci sono differenze di costo per gli stessi servizi tra paese e paese anche del 10.000%, una differenza molto allettante per molte aziende che però fino a questo momento non sono riuscite a sfruttare per limiti tecnologici e perché per molti di questi il rapporto umano rimane fondamentale. Limiti però che si stanno sempre più assottigliando e molto presto l’evoluzione tecnologica consentirà ai lavoratori che sono fisicamente presenti in un paese di operare virtualmente negli uffici di un’azienda presente in un altro paese. Facciamo un esempio. Una delle maggiori difficoltà alla condivisione delle competenze fino a oggi è stata di natura linguistica. Ma grazie al machine learning applicato alla traduzione simultanea questa barriera presto non esisterà più. Se consideriamo la lingua inglese, vediamo che nel mondo ci sono circa 400 milioni di madrelingua e almeno altrettanti con un alto livello di competenza. Fino a oggi questo è stato un vantaggio competitivo fondamentale per coloro che cercavano lavoro, in tutto il mondo. Con la traduzione automatica simultanea in così rapido sviluppo, le persone che parlano inglese si troveranno presto in competizione diretta con persone di talento che non lo parlano e che saranno in grado di essere presenti ovunque nel mondo da remoto, in modo virtuale.
Baldwin definisce nel suo ultimo libro questo fenomeno telemigration e riconosce che in effetti è già realtà in alcuni settori come quello dello sviluppo software. Siamo dunque di fronte a una nuova forma di globalizzazione, dopo quelle che hanno riguardato la circolazione delle merci prima e poi la loro produzione.
Come ha spiegato lo stesso Baldwin in questo articolo, la prima forma di globalizzazione è stata precedente alla Prima Guerra Mondiale ed è avvenuta grazie al calo dei prezzi delle merci, dovuto allo sviluppo della macchina a vapore e di altre forme di energia meccanica che contribuirono ad abbassare notevolmente i costi di trasporto. Al tempo non ci fu alcun intervento da parte dei governi, il cambiamento avvenne in modo deregolamentato e impattò su aziende e lavoratori, contribuendo a generare una situazione di instabilità che sfociò nei due conflitti mondiali. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale si assistette a una nuova forma di globalizzazione in cui i governi operarono con maggiore consapevolezza e se da una parte incoraggiarono lo scambio delle merci, dall’altro cercarono di individuare misure compensative che accompagnassero questa evoluzione. Fu in questo periodo che nacquero strutture sovranazionali che garantissero una regolamentazione del fenomeno: l’ONU, l’FMI, la Banca Mondiale, il WTO e molte agenzie specializzate come l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura e l’Organizzazione internazionale del lavoro. La terza fase della globalizzazione è più recente e ha visto le aziende e il loro know-how attraversare i confini grazie alla tecnologia. L’alta tecnologia e l’alto valore aggiunto legato alle competenze specifiche si è saldato con i bassi salari e i lavoratori del manifatturiero hanno subito più di chiunque altro il confronto con i competitor a basso costo. I risultati li abbiamo visti negli ultimi 20 anni.
Oggi, secondo Baldwin, sebbene questo fenomeno non si sia ancora esaurito, ci troviamo di fronte a una nuova fase che riguarda i servizi, un fenomeno che esporrà centinaia di migliaia di professionisti alle sfide e alle opportunità della globalizzazione, per la prima volta nella storia. Se si considera che questo settore è anche quello maggiormente esposto alle conseguenze dell’introduzione dell’intelligenza artificiale è facile immaginare come l’unione delle due tendenze stia generando uno scenario assolutamente inedito che l’autore definisce Globopics Upheaval, nel quale la crescita esponenziale delle capacità di elaborazione, trasmissione e archiviazione sta creando una nuova forma di globalizzazione “virtuale” e di fronte al quale le strutture che i governi possono mettere in campo a livello nazionale e sovranazionale non sembrano adeguate. Sebbene il cambiamento stia avvenendo molto più velocemente che in passato, oggi siamo in grado di identificare alcuni fattori che potranno limitare le conseguenze negative che porterà. Se, infatti, nel secolo scorso la maggior parte delle persone è passata dal fare affidamento sulle proprie mani nel proprio lavoro al fare affidamento sulla propria testa, in futuro, dovranno fare affidamento sui loro cuori, perché le macchine non saranno in grado di replicare capacità umane come la comunicazione non verbale, la compassione, la creatività e il contatto umano ancora per molto tempo. Molti lavori che si basano su questi attributi, sostiene Baldwin, saranno al sicuro dai robot per decenni e, sul lungo periodo, potremo contare su un’economia più prospera grazie ai robot, ma anche più umana grazie alle persone.