Edwin Hardeman ha 70 anni e, dopo aver usato per oltre vent’anni il diserbante Roundup, a base di glifosato, si è visto diagnosticare un tumore. Ha fatto causa all’azienda produttrice, la Monsanto, acquisita dalla casa farmaceutica tedesca Bayer, e ha vinto.
Attenzione però, non è il primo caso. Già ad ottobre la multinazionale era stata condannata a risarcire con 78,5 milioni di dollari un giardiniere, affetto dal linfoma non Hodgkin: tumore maligno. Adesso, si apre un altro importantissimo fronte giudiziario: i giudici americani infatti dovranno capire se l’azienda produttrice ha diffuso informazioni corrette sui rischi dell’erbicida. Una fase importante perché in ballo ci sarebbero circa 11.200 denunce da parte di agricoltori. Un’infinità.
Vi racconto questa storia perché in questi giorni la Commissione europea è tornata a parlare del glifosato. In ballo c’è la proposta di far valutare il fascicolo per far partire la procedura di autorizzazione del pericoloso pesticida a quattro Stati e non uno solo, come si fa generalmente.
Già questo dovrebbe far riflettere: la questione è talmente importante che nessuno Stato voleva assumersi da solo la responsabilità di rinnovare il via libera al pesticida. La licenza, ricordiamolo, scade nel 2022 ed in questi mesi si giocherà la partita del rinnovo.
L’Europa è divisa, ci sono interessi economici importanti, ma sulla salute non bisogna lasciare nulla al caso. Il problema è questo: se non abbiamo la certezza che non faccia male non possiamo rischiare. Questa sostanza non deve finire in alcun modo sulle nostre tavole.
La nostra battaglia è sempre la stessa e non è cambiata negli anni: il glifosato deve essere bandito.