Da ovunque si guardino, le previsioni sull’economia nazionale sono negative. Anche l’Istat, che mantiene la stima più alta sul nostro Pil 2018, ieri ha leggermente abbassato l’asticella dal +1% fissato dal Governo nell’ultima manovra a un +0,9%. Non male se paragonato alle sventure annunciate per quest’anno da grandi istituzioni internazionali e agenzie di rating. D’altra parte si sa che il contesto per le imprese è stagnante in mezzo mondo, e l’Italia subisce il clima generale, in attesa di sentire gli effetti delle politiche anticicliche del Governo, con in prima linea i provvedimenti del Reddito di cittadinanza e Quota cento.
A nove mesi dall’insediamento della squadra di Giuseppe Conte, qualche primo segnale però si vede già, e guarda caso si vede proprio sul primo atto significativo del ministero per le Attività produttive, che in tutta fretta la scorsa estate era riuscito a varare il decreto Dignità. Lo scopo era mantenere uno dei principali impegni presi dai 5 Stelle con gli elettori, e cioè ridurre l’altissimo livello di precarietà nel mercato del lavoro. L’iter della legge come al solito fu molto contrastato dal mondo imprenditoriale, abituato bene col Jobs Act e spericolato nel prevedere che l’obbligo di stabilizzare tanti contratti a tempo determinato avrebbe avuto l’effetto di far crescere la disoccupazione o, peggio, il lavoro nero. In ogni caso, una volta partito il provvedimento si era percepito subito che, malgrado i gufi, i posti a tempo indeterminato stavano aumentando.
I sedicenti bene informati dei soliti giornaloni spiegarono che si trattava di dati parziali, poco significativi e difficilmente replicabili. Un coro che ieri si è spento di schianto, anche se non c’è dubbio che presto ritroverà la voce, costringendoci a sentire altre fantomatiche tragedie. A regalarci il silenzio di questi economisti in servizio permanente effettivo contro ogni iniziativa del Governo sono stati i numeri diffusi dall’Osservatorio dell’Inps sul precariato. Numeri secondo cui a novembre scorso – mese di piena entrata il vigore del decreto Dignità – le trasformazioni di contratti a termine in rapporti a tempo indeterminato sono raddoppiate, passando dalle 21.910 di novembre 2017 a 43.859.
Un aumento delle trasformazioni che, come detto, era in corso già da inizio 2018, per effetto da un lato del forte incremento dei contratti a termine nel 2017, arrivati a scadenza l’anno scorso, e dall’altro per gli sgravi sulle assunzioni stabili degli under 35 previsti dalla legge di Bilancio dell’anno scorso. Mentre iniziano a diminuire le assunzioni a termine, salgono anche i nuovi rapporti di lavoro stabili, passati da 86.305 a 88.504. Ce n’è abbastanza per gioire? No purtroppo. Quello del lavoro resta il più grande problema del nostro Paese, perché spezza le potenzialità e le aspettative di moltissimi giovani, umilia chi non riesce in nessun modo ad accedere a un’occupazione e getta nella disperazione chi ha raggiunto l’età diventata critica dei cinquant’anni.
Per dare le risposte vere a questo dramma non c’è decreto Dignità che tenga. Servono investimenti di cui il Governo non dispone, uno sentimento nazionale che ci unisca nel pretendere l’utilizzo delle risorse necessarie per far ripartire produzione e consumi, a costo di tornare a fare debito con nuove politiche economiche espansive. Un quadro che purtroppo non solo oggi non c’è, ma che vede il Governo e in particolare sulle misure per il lavoro i Cinque Stelle tirare da una parte e invece Confindustria, sindacati, grandi mezzi d’informazione inginocchiati ai diktat della finanza e dei vincoli europei tirare dall’altra.
Il nostro è un Paese che non sa fare squadra, storicamente educato a dividersi in tifoserie e campanili, e non a fare quadrato, fosse anche per conquistare diritti basici come il lavoro e la dignità da cittadini. Così persino questi primi piccoli segnali di ripresa del lavoro stabile ieri sono stati contestati da chi si lamenta perché le cose potevano andare meglio, senza un briciolo di autocritica per aver contribuito a frenare uno scenario migliore. Mentre il Governo accelera sull’apertura dei cantieri (11 miliardi per il piano ProteggItalia)e la riduzione del costo del lavoro (taglio dei costi Inail per le imprese da 500 milioni), i partiti d’opposizione con i giornali trombettieri strepitano per i pochi soldi a disposizione delle grandi opere. Le stesse grida che abbiamo sentito contro il Governo quando chiedeva questi stessi soldi a Bruxelles.