Nell’affrontare il tema del futuro del lavoro, non possiamo non parlare di quella che viene chiamata oggi “reskilling” o, più semplicemente, riqualificazione professionale.
Nei prossimi dieci anni o poco più, secondo molti studi, ben 375 milioni di lavoratori, pari a circa il 14% della forza lavoro globale, potrebbe aver bisogno di cambiare lavoro, a causa dell’impatto che la digitalizzazione, l’automazione e i progressi dell’intelligenza artificiale stanno già avendo oggi sulla produttività e presto anche su quello dei servizi, come abbiamo raccontato qui. La portata del fenomeno, per dare un’idea delle dimensioni, è pari a quella che vide il passaggio di milioni di lavoratori dai campi alle fabbriche durante la prima rivoluzione industriale, che avvenne nel 1700. La differenza è che oggi non abbiamo a disposizione decenni per completare questo percorso di trasformazione della forza lavoro, ma solo pochi anni.
Un recente rapporto del World Economic Forum ha indicato questo come tema centrale dei prossimi anni, fornendo anche delle stime sui costi che questa grande rivoluzione formativa di massa comporterà per i governi. Solo negli Usa, per esempio, la riqualificazione comporterà una spesa di oltre 34 miliardi di dollari, quasi tutti a carico dello Stato.
La situazione italiana in proporzione, potrebbe essere anche peggiore. L’Italia, infatti, vanta la forza lavoro più anziana del mondo, dopo Giappone e Germania. Secondo le rilevazioni Istat, oggi l’età media dei lavoratori italiani è di 44 anni e aumenta di circa 6 mesi ogni anno. Le previsioni del Fondo Monetario Internazionale già nel 2016 indicavano che nel 2022 un quinto degli occupati avrà un’età compresa tra i 55 e i 64 anni e nel 2025 saranno uno su quattro. Questo significa che gran parte dei lavoratori impiegati oggi nel nostro paese si sono formati in un’epoca in cui non esisteva internet, non c’era Google e l’Intelligenza Artificiale era fantascienza.
In The Impact of Workforce Ageing on European Productivity del dicembre scorso, sempre l’FMI indicava l’Italia, insieme alla Grecia, come il paese più esposto a perdite di produttività proprio perché gli occupati invecchiano.
Non ci sono solo cattive notizie però. Uno studio del World Economic Forum del 2018 ha presentato uno scenario incoraggiante in cui, a fronte della perdita di 75 milioni di posti di lavoro in Europa nei prossimi 10 anni, c’è comunque l’opportunità di contenere la disoccupazione creandone di nuovi.
Il nodo, però sono le competenze.
Sarà infatti necessario pensare a percorsi di reskilling per milioni di persone che dovranno aggiornare le proprie competenze per poter accedere a nuove mansioni connesse con l’Industria 4.0 e i futuri sviluppi tecnologici. Percorsi che dovranno integrare gli sforzi pubblici con quelli privati.
Le iniziative in questo senso si stanno moltiplicando nel mondo. Lo stesso World Economic Forum, per esempio, ha promosso un accordo, il “Closing the skills gap 2020”, tra tutte le aziende partner per la riqualificazione di 17 milioni di lavoratori nel mondo entro il 2020.
La situazione italiana, su questo fronte, è particolarmente complessa, anche perché il mismatch fra domanda e offerta è tra i più ampi dell’area OSCE, a causa del mancato allineamento tra sistema formativo e sistema produttivo che non è certamente recente. Nel nostro paese, inoltre, l’abitudine alla formazione non è molto diffusa: l’incidenza della formazione professionale sul totale dei lavoratori che non raggiunge il 10% contro medie europee alte più del doppio.
Una possibile soluzione potrebbe passare attraverso la collaborazione tra aziende: per esempio un’impresa manufatturiera che ha un eccesso di lavoratori potrebbe lavorare a stretto contatto con un’impresa edile che ha bisogno di dipendenti per fornire congiuntamente un’istruzione di riqualificazione. In questa direzione si stanno muovendo diverse agenzie interinali che stanno osservando un’evoluzione del proprio ruolo sempre più verso la riqualificazione delle competenze. Adecco, per esempio, ha lanciato Phyd, una piattaforma digitale in cloud, che sfrutta proprio gli strumenti AI per contribuire a migliorare l’orientamento di chi è impegnato nel proprio aggiornamento professionale, ovvero nel reskilling, o che deve indirizzare il proprio percorso personale nel mondo del lavoro.
Guardando agli Stati Uniti, un esempio interessante è quello di Walmart, che ha lanciato il Walmart Academy Program per formare lavoratori nelle aree di maggiore richiesta. In soli due anni sono stati formate oltre 270.000 persone. A Londra, Lloyd Bank Group, che forniscono servizi finanziari, settore ad altissimo impatto tecnologico, ha investito oltre 3 miliardi di sterline in tre anni per digitalizzare i propri processi, prevedendo contestualmente la fornitura di oltre 4,4 milioni di ore di formazione gratuita ai propri dipendenti, in modo da prepararli in vista della nuova realtà professionale che si troveranno ad affrontare al termine dei tre anni.
In Italia, Microsoft ha avviato il progetto Ambizione Italia che ha l’obiettivo, entro il 2020, di coinvolgere più di 2 milioni di persone e fornire nuove competenze a oltre 500 mila studenti e professionisti.
IBM ha invece implementato il Career Transition Center, un servizio che propone programmi di formazione finalizzati al reskilling per riposizionarsi professionalmente dentro e fuori dall’azienda.