C’è un legame tra il “salario minimo orario” e i grandi cambiamenti che l’innovazione tecnologica e digitale stanno generando nel mondo del lavoro? Certamente sì. Proprio il salario minimo orario sarà un tassello fondamentale per fronteggiare le sfide della Quarta Rivoluzione Industriale e sono sufficienti pochi minuti per spiegare perché.
Stiamo entrando in un tempo in cui produrre beni e servizi (ma anche ordinarli, trasportarli, condividerli) è sempre più facile, rapido, immediato. Il mondo digitale, la robotica, l’intelligenza artificiale stanno radicalmente cambiando i processi produttivi e le organizzazioni del lavoro nello stesso modo in cui l’elettricità e l’automazione, in passato, hanno trasformato le nostre fabbriche, le nostre economie, la nostra società.
La “produttività”, dunque, non è un problema. Anzi, come direbbe Erik Brynjolfson – ricercatore del MIT e autore con Andrew McAfee di uno dei testi più importanti sul futuro del lavoro (The future of work) – attualmente la produttività “se la sta cavando benissimo”: il problema è che si è scollegata dal lavoro e il reddito di un lavoratore comune è stagnante. Sempre meno persone hanno un lavoro, sempre meno persone hanno un salario e un reddito adeguato e dignitoso.
In altre parole: la produttività continua a crescere, i salari restano fermi. Sta accadendo da prima della crisi non solo negli Stati Uniti, ma a livello mondiale. Il sottile legame tra lavoro, salari e produttività si è spezzato. Paradossalmente, non abbiamo mai prodotto tanta ricchezza nel mondo quanta ne abbiamo prodotta negli ultimi decenni, ma questa si è concentrata in un numero sempre minore di mani. I rapporti Oxfam ce lo dimostrano ogni anno.
Dobbiamo quindi fermare l’innovazione tecnologica? È impossibile persino pensarlo. Ciò che possiamo fare però, è garantire che in questa grande trasformazione globale le persone possano competere “con” le macchine (non “contro”) continuando ad avere non solo un reddito, ma anche un salario dignitoso. Non possiamo dimenticare quanto ci ricorda Robert Reich, ex segretario al Lavoro Usa e autore di “Inequality for all”: negli Stati Uniti circa il 70% della spesa al consumo è sempre stata sostenuta da quella classe media che ha pesantemente subito lo “scollamento” tra lavoro e produttività. Che succede se nessuno può comprare i beni che produciamo?
Non possiamo ignorare nemmeno ciò che la ricerca “Lavoro 2025”, lo studio previsionale promosso dal MoVimento 5 Stelle, ha previsto per i prossimi anni, cioè che la Quarta Rivoluzione industriale tende ad aumentare la distanza tra lavoratori con “skills” avanzati (sempre di più e sempre meglio pagati) dai lavoratori scarsamente professionalizzati (ugualmente crescenti in numero, ma peggio retribuiti).
A fronte di tutto questo, l’importanza di un salario minimo nell’era della grande rivoluzione tecnologica e digitale appare scontata. Lo è ancor più per l’Italia, dove a differenza di molti altri Paesi europei avanzati ancora non esiste e un lavoratore su cinque guadagna meno di nove euro lordi all’ora.
Insieme al Reddito di Cittadinanza, alla riforma dei Centri per l’impiego e ai massicci investimenti destinati dal Ministero dello Sviluppo Economico al mondo delle imprese, anche piccole e medie, il salario minimo sarà il pilastro di un nuovo welfare e di una nuova politica economica fondate su tre elementi chiave: protezione sociale, formazione, innovazione. E sarà un elemento di forza per trasformare i rischi del futuro in enormi opportunità.