Quanti caffè bevete al giorno? Pensate alla preparazione di un singolo espresso con una macchina a capsule. Un’azione di 35 secondi, a prima vista innocua, si rivela tra le più impattanti per la quantità di rifiuti prodotti: l’alluminio della capsula, la plastica dell’involucro che la contiene e quella che raccoglie insieme tutte le capsule. Poi ancora cartone, pellicola, nastro adesivo, polistirolo… Aggiungeteci la plastica del bicchierino, quella del bastoncino per mescolare, la carta della bustina di zucchero… Bene, questo gesto moltiplicato per i 10 miliardi di capsule di caffè vendute nel mondo produce 120mila tonnellate di rifiuti in un anno.
Nostalgia della buona vecchia caffettiera? Questo esempio di vita quotidiana ci fa intuire che ridurre i rifiuti è una sfida che ci riguarda molto da vicino, nel quotidiano. In Italia nel 1997 il decreto Ronchi ha introdotto in Italia la “strategia delle 5 R”: Riduzione, Riuso, Riciclo, Raccolta, Recupero, per promuovere una gestione dei rifiuti sostenibile. Eppure in questi 22 anni il problema dello smaltimento dei rifiuti si è aggravato sempre di più, divenendo priorità dell’agenda politica e spina nel fianco per amministratori locali, regionali e nazionali.
La prima R, quella della Riduzione, è senza dubbio la più importante perché afferma il principio secondo il quale il miglio rifiuto è quello che non si produce. “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, afferma la legge di Lavoisier sulla materia, che ci mette di fronte a una dura realtà di cui prendere coscienza: nessun rifiuto prodotto potrà mai essere davvero eliminato. Così accade che ogni ecosistema è invaso da plastica, rottami e altri scarti sfuggiti alla filiera di gestione.
La quantità di rifiuti prodotti nell’UE è in media di 240 milioni di tonnellate all’anno, pari a 400 kg a persona. Tolti i cosiddetti rifiuti speciali pericolosi, il nemico numero uno è la plastica che crea 25 milioni di tonnellate di rifiuti, di cui solo un terzo viene riciclato. Ha un valore economico potenziale di 105 miliardi di euro l’anno eppure, per fare un esempio, l’85% dei rifiuti presenti sulle nostre spiagge sono di plastica. Andando avanti così, entro il 2050 nei nostri oceani potremmo trovare più plastica che pesce.
Posate, bastoncini cotonati, piatti, cannucce, contenitori e oggetti di vario tipo costituiscono il 70% dei rifiuti marini e per fortuna dovranno essere banditi entro il 2021, come stabilito di recente dal Parlamento Europeo https://www.ilblogdellestelle.it/2019/03/55303.html. Oltre all’inquinamento degli ecosistemi, bisogna considerare anche il dispendio energetico legato alla produzione di plastica usa e getta. Secondo i dati pubblicati dallo studioso Paul Mc Rande in ‘The Green Guide’, la produzione di un chilogrammo di PET per le bottiglie in plastica richiede 17,5 chilogrammi di acqua e rilascia in atmosfera 40 grammi di idrocarburi, 25 grammi di ossidi di zolfo, 18 grammi di monossido di carbonio e 2,3 chilogrammi di anidride carbonica.
Come evitare tutto questo? La prevenzione dei rifiuti passa attraverso una produzione più intelligente fatta di beni più durevoli, riutilizzabili e riparabili, ma nel nostro piccolo, possiamo contribuire. Fare finta che i sacchetti di plastica non esistano, ad esempio, potrebbe essere un buon inizio. La vecchia “borsa della nonna” di cotone per la spesa è più resistente e riutilizzabile tante volte. E dovremmo poter fare a meno anche del sacchetto biodegradabile che prendiamo al banco della frutta nei supermercati! Oltre agli involucri, sarebbe opportuno poi soffermarsi anche sui prodotti che acquistiamo. Un carrello stracolmo, anche quando non è necessario, aumenta il rischio di sprechi di cibo e super produzione di immondizia.
Ogni anno gli italiani nelle loro case bruciano 12 miliardi di euro, che corrispondono per ciascuno di noi a 36 chili di alimenti che gettiamo nella spazzatura senza averli consumati. Quasi l’80% dello spreco avviene tra le mura domestiche. Pane e verdure fresche sono fra gli alimenti più buttati, ma pesano anche bevande analcoliche, legumi, frutta fresca e pasta.
Comperare frutta, verdura o altri cibi calcolando i nostri bisogni reali significa ridurre tali sprechi. E a questo accorgimento andrebbe aggiunto un ulteriore obiettivo: evitare il più possibile gli imballaggi per alimenti freschi come vaschette di polistirolo, pellicole, carta chimica stampata e incollata…
Il Parlamento Europeo ha dichiarato guerra anche ai mozziconi di sigarette, che – non tutti lo sanno – contengono plastica al proprio interno. Ebbene la quantità di plastica dovrà essere dimezzata entro il 2025 e ridotta dell’80% entro il 2030, con i produttori di tabacco che dovranno farsi carico dei costi di trattamento e raccolta. Può sembrare una misura insignificante, ma ricordiamo che nel mondo ci sono 1,5 miliardi di fumatori, i quali oltre alla plastica contribuiscono a immettere nell’aria oltre 4.000 sostanze chimiche ad azione irritante, nociva, tossica, mutagena e cancerogena. Una parte di queste, resta nel filtro ove si nascondono moltissimi inquinanti come nicotina, benzene, ammoniaca, acetato di cellulosa e la materia plastica di cui abbiamo già parlato. Ancora convinti che lasciare a terra una “cicca” sai un peccato veniale?
Altra buona abitudine è quella di portare con sé, fuori casa, delle borracce o dei thermos così da non acquistare acqua in bottiglietta per bere. Il nemico dell’ambiente non è solo la plastica, ma l’usa e getta in generale che andrebbe sempre sostituito con prodotti durevoli. Quando ci sono bimbi piccoli, ad esempio, l’uso dei pannolini una e getta è una specie di disastro ambientale “formato famiglia”: un bambino viene cambiato tra le 4.500 e le 5.000 volte nei primi anni di vita e ogni singolo pannolino impiega fino a 500 anni per decomporsi, rilasciando nell’ambiente diverse sostanze nocive.
Usare pannolini lavabili in tessuto vorrebbe dire ridurre per il 20% i propri rifiuti. Stesso discorso vale per gli assorbenti e i tamponi che, proprio a causa della loro composizione chimica, sono tra i rifiuti più difficili da smaltire: il rivestimento in plastica che li avvolge, gli applicatori, le strisce e la copertura adesiva hanno un tempo di degradazione molto lento, calcolato in circa 200 anni. La coppetta mestruale ha invece una durata media di 8 anni e un assorbente lavabile di 3. Insomma, se si pensa che il primo assorbente inventato ancora non si è decomposto forse diventa più facile cambiare abitudini. A maggior ragione considerando che le buone pratiche sostenibili producono anche un notevole risparmio economico.
A casa, ad esempio, è possibile evitare l’ingresso di materiale organico nella filiera dei rifiuti attraverso il compostaggio domestico. È possibile trasformare scarti organici in terricciato, ottimo fertilizzante naturale, riducendo la spazzatura in casa semplicemente acquistando una compostiera. Un gesto tutt’altro che insignificante: la frazione organica costituisce circa il 40% in peso della produzione di rifiuti urbani. Applicare estensivamente il compostaggio domestico o di comunità, nel condominio o nel quartiere, non solo consentirebbe di abbattere la quantità di rifiuti urbani prodotti, ma darebbe anche un contributo importante al contrasto della desertificazione del suolo e alla prevenzione del dissesto idrogeologico, preservando e rafforzando lo strato di humus fertile dei terreni.
Quando è impraticabile la via della compostiera domestica, resta sempre l’opzione del “compost di comunità”, in cui il piccolo impianto è messo in spazi pubblici o comunque comuni. Il MoVimento 5 Stelle ha realizzato un test qualche anno fa verificando che la compostiera di comunità non solo dà risultati soddisfacenti e diventa un importante strumento di sensibilizzazione, ma è anche facile da installare: per autorizzare un impianto che tratta fino a 130 tonnellate di organico basta una semplice SCIA in comune.
In alcuni comuni italiani, poi, chi “salva” gli scarti organici e produce il compost può beneficiare della riduzione sulla tassa dei rifiuti, con un conseguente risparmio economico per la famiglia. Questo permetterebbe quasi di azzerare la produzione di rifiuti urbani organici tenendo sotto controllo le quantità prodotte. E con il sistema di tariffazione puntuale, quello per cui si paga in base alla quantità di rifiuti effettivamente prodotti, non chi riduce i rifiuti prodotti risparmia, ma i cittadini sono spinti a riflettere sulle loro scelte di consumo.
“Chi inquina meno, paga meno” è il giusto input di un sistema sostenibile che permettere una responsabilizzazione collettiva. Ciò si ripercuote anche sugli acquisti di ciascuno e, di conseguenza, sui cicli produttivi delle aziende, le quali naturalmente finiranno per convertire la produzione verso beni e servizi a basso impatto ambientale. Così un ciclo spesso “viziato” da costi economici, ambientali e sociali esorbitanti si trasforma in una preziosa opportunità di cambiamento, e riducendo i rifiuti si moltiplicano i vantaggi.