La prima cosa a cui ho pensato quel mercoledì pomeriggio, una volta terminata la votazione e annunciato l’esito, sono state le parole che Gianroberto Casaleggio pronunciò quattro anni fa in un’intervista: “Credo che togliere dalla disperazione e dalla povertà milioni di poveri sia un obbligo morale”. Questo per me è stato, è e sarà sempre il Reddito di Cittadinanza: un obbligo morale, una battaglia di civiltà che abbiamo combattuto vincendola. E quando, per l’appunto, lo scorso 27 marzo l’Aula del Senato ha approvato in via definitiva il decreto che lo conteneva al suo interno mi sono venuti in mente tutti quei momenti, belli e difficili, di rabbia e di orgoglio, vissuti nei sei lunghi anni che hanno separato il deposito del primo disegno di legge per l’istituzione del Reddito di Cittadinanza (29 ottobre 2013) dalla sua trasformazione in realtà.
Chi mi è stato vicino in tutto questo tempo – dalla mia famiglia ai colleghi, dagli attivisti ai tanti cittadini in difficoltà che con i loro messaggi, i loro abbracci e le lacrime ci hanno incoraggiato ad andare avanti – sa cosa voglia dire tutto questo non tanto per me, ma per la storia e il futuro di questo Paese. Abbiamo fatto qualcosa di grande, di grandissimo. Di straordinario. Lo abbiamo fatto grazie al coraggio e alla lucida follia di un uomo, Beppe Grillo, senza cui tutto questo non si sarebbe mai avverato. Per la prima volta in Italia c’è stato un Governo, il Governo di cui il MoVimento 5 Stelle è forza trainante, che ha messo in campo una politica rivolta a 5 milioni di cittadini a cui i vecchi governi hanno tolto pezzo dopo pezzo la cosa più importante: la dignità.
Andiamone fieri, rivendichiamo con orgoglio questa misura. Sempre e dovunque.
In questi giorni, per la verità su pochi giornali e tivù che per la maggior parte hanno prediletto (come spesso capita quando si parla del MoVimento 5 Stelle…) una narrazione negativa allo scopo di gettare ombre sul Reddito di Cittadinanza, ho letto e sentito le storie di chi grazie ai primi soldi caricati sulla propria card è potuto tornare a fare gesti semplici ma per troppo tempo impossibili.
Lilly da Civitavecchia (Roma), per esempio, è riuscita nuovamente a portare suo figlio dal dentista e incrementare l’acquisto di carne rossa e pesce, due alimenti che purtroppo – come rilevato da un recente sondaggio di Altroconsumo – il 32% degli italiani ha difficoltà a comprare. Mario, che vive alla periferia della Capitale, con i primi soldi del Reddito di Cittadinanza ha prenotato, per la prima volta in nove anni, una festa di compleanno per una delle sue due bambine. E ancora Luciano, che ha “finalmente pagato serenamente le bollette. Non sono più solo e abbandonato dallo Stato”. Proprio così ha detto. Senza dimenticare Chiara, disoccupata, che vive a bordo di un camper da otto anni ed è affetta da sclerosi multipla. La prima cosa che ha acquistato con la card è stata una vaschetta di lasagne: “Quel sapore mi ha fatto risentire di nuovo una persona normale (…) Ho ritrovato la speranza”.
Non faccio mistero di aver pianto di commozione e felicità davanti a queste (e altre) storie, aggravatesi proprio negli anni in cui, mentre noi gridavamo dentro e fuori dalle Aule parlamentari l’urgenza del Reddito di Cittadinanza, i vecchi governi pensavano solo a lobby e banchieri. Non lo dico io ma i numeri: nel 2011 in Italia le persone in povertà assoluta erano 2,6 milioni, quelle che noi abbiamo ereditato lo scorso anno 5. In più, come rilevato nei giorni scorsi dal Sole 24Ore, dal 2008 la classe media italiana ha perso il 10% del reddito. Che cosa vuol dire questo? Che chi c’era prima, da Berlusconi a Monti, da Renzi a Gentiloni non solo non ha messo in campo politiche – sociali e non – per raddrizzare la nave Italia, ma, sottostando passivamente all’euroburocrazia, ha contribuito a portarla sempre più a fondo.
Il Reddito di Cittadinanza, che affonda le proprie radici nel “pilastro europeo dei diritti sociali”, è lo strumento che mancava per rimettere in moto l’economia e il lavoro. Infatti al sostegno al reddito si unisce un ambizioso ed epocale progetto di riforma dei Centri per l’impiego, che, attraverso l’assunzione di personale qualificato (i cosiddetti navigator ma non solo) e l’interoperabilità delle banche dati, darà la possibilità al disoccupato di potersi reinserire nel mercato del lavoro dopo un percorso di formazione e riqualificazione. Anche su questo non sono mancate le critiche, ma agli esperti in polemiche ricordo che negli anni in cui Germania e Francia spendevano – rispettivamente – lo 0,36% e lo 0,25% del Pil in servizi per il lavoro, l’Italia governata dai “competenti” investiva lo 0,05%. Senza dimenticare, ovviamente, il fatto che nei Centri per l’Impiego tedeschi e francesi lavorano 100mila addetti (i primi) e 54mila (i secondi) contro gli 8mila del nostro Paese. Con noi al Governo, fra nuove assunzioni e stabilizzazioni diventeranno 19.600 nel prossimo triennio.
Non si ferma il vento con le mani, diceva Seneca. Quella del Reddito di Cittadinanza è una macchina che viaggia spedita verso la strada di cambiamento che questo Governo ha imboccato. Perché nessuno deve rimanere indietro.