Il reato di voto di scambio politico-mafioso è uno dei più gravi che può essere commesso in una democrazia.
Fra pochi giorni ricorre il ventisettesimo anniversario della Strage di Capaci in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, sua moglie e tre uomini della scorta. I 500 kg di tritolo esplosero su impulso del telecomando che teneva in mano il mafioso Giovanni Brusca, che successivamente divenne un testimone di giustizia. Dalla sua testimonianza emerse un interesse che anche alcuni ambienti politico-imprenditoriali avevano di evitare lo sviluppo delle indagini che i giudici Falcone e Borsellino stavano conducendo sul filone “mafia e appalti”.
Poco più di due mesi prima veniva ucciso Salvo Lima, un potente esponente politico della Democrazia Cristiana, braccio destro di Andreotti, che aveva “un rapporto di stabile collaborazione con Cosa Nostra”, come riportato anche da una sentenza. Probabilmente pagò con la morte gli impegni non onorati con la mafia. In passato però i suoi favori a Cosa Nostra non erano mancati.
Gli orrendi legami di interesse tra mafie e politica hanno fatto danni incalcolabili.
Proprio per colpire i patti criminali tra i politici e i mafiosi, fatti alle spalle e a spese dei cittadini onesti, Falcone voleva introdurre il reato del voto di scambio politico-mafioso. Un governo e un Parlamento dormienti, e forse non liberi da connivenze, trovarono il coraggio solo dopo la morte del giudice: l’8 giugno 1992 venne approvato il cosiddetto “decreto Falcone” che introdusse il regime carcerario duro per i mafiosi, il 41 bis, e il nuovo articolo 416 ter del Codice penale per colpire lo scambio elettorale politico-mafioso. Negli anni quella norma si è rivelata insufficiente, un primo passo utile ma non risolutivo.
Nel 2014 venne approvata una riforma che peggiorò l’efficacia della norma. Rimase agli atti come uno dei “capolavori” degli statisti del Patto del Nazareno: Renzi, Verdini e company. A giudizio di moltissimi operatori del diritto quella legge non consegue affatto l’obiettivo che tutti dobbiamo avere: tenere la mafia fuori dalle istituzioni. Noi del Movimento 5 Stelle facemmo un’opposizione durissima ma costruttiva: le nostre proposte vennero ignorate e l’Italia ha perso 5 anni nella lotta alla mafia.
Adesso che siamo al governo possiamo porre rimedio e lo stiamo facendo: al Senato questa settimana approviamo la nuova legge sul voto di scambio politico-mafioso, una proposta che porta la prima firma del nostro Mario Giarrusso.
Ecco cosa prevede: sia per il politico che per il mafioso, la pena va da 10 a 15 anni di carcere, così come è previsto per il reato di associazione di stampo mafioso. Prima la pena andava da 6 a 12 anni; è prevista un’aggravante speciale nel caso in cui il politico che si è messo d’accordo con il mafioso viene effettivamente eletto; per il politico che viene condannato per questo reato scatta anche il daspo a vita: fuori dai palazzi e zero incarichi pubblici a vita; si amplia ulteriormente l’oggetto della contropartita del patto, potendo essere non solo il denaro e ogni altra utilità, ma anche “la disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa”.
Vediamo gli strumenti con cui incastrare gli artefici del patto criminale: è reato, sia per chi la fa che per chi la accetta, la promessa di procurare voti da parte di soggetti appartenenti alle associazioni mafiose, indipendentemente dal fatto che questa appartenenza sia nota al politico. In alternativa, è sufficiente che il procacciamento dei voti avvenga secondo le modalità mafiose, come già era previsto prima.
Il reato di voto di scambio politico-mafioso è uno dei più gravi che può essere commesso in una democrazia. Non lo si può combattere con le armi spuntate. Così come ha fatto con la legge Spazzacorrotti, anche in questo caso il Movimento 5 Stelle ha scelto da che parte stare: da quella della legalità e del rispetto dei diritti.