E’ interessante nel metodo e nel merito il dibattito promosso ieri, a Londra, da Darren Jones, prima su Facebook e poi in Parlamento. Nel metodo perché il dibattito di ieri in Parlamento è stato preceduto, il 26 aprile dalla pubblicazione di un post sulla pagina Facebook della Camera dei Comuni – uno dei due rami del Parlamento inglese – nel quale, in una manciata di caratteri, semplici, accessibili, comprensibili a chiunque si anticipava il dibattito che si sarebbe svolto in Parlamento, si ponevano agli utenti tre domande centrali nella discussione e ben formulate, si indicava un termine entro il quale rispondere se si fosse voluto che il Parlamentare ne tenesse conto nel suo intervento e si faceva presente che nomi e opinioni dei partecipanti alla discussione avrebbero potuto essere resi noti nel corso della discussione parlamentare.
Ma apprezzabile nel metodo perché la discussione non è stata lanciata e poi dimenticata ma seguita passo dopo passo, con un altro post nel quale si ringraziava e informava che la discussione utile ai fini del dibattito parlamentare era chiusa ma che, naturalmente, si poteva continuare a pubblicare commenti e poi con un altro ancora contenente il link alla diretta televisiva della discussione parlamentare e, quindi, con un ultimo post nel quale si dava atto di quali tra le centinaia di commenti ricevuti era stato effettivamente utilizzato nella discussione con tanto di link al minuto nel quale il Parlamentare cita tali commenti, indicandone gli autori.
Un esercizio facile di partecipazione democratica leggera nella forma e efficace nella sostanza.
Ma è, certamente, nel merito che il dibattito svoltosi ieri a Londra è ancora più interessante.
L’utilizzo dei sistemi di riconoscimento facciale di massa da parte delle forze di polizia per la repressione del crimine.
La sintesi della questione della quale si è discusso è, nella sostanza, se e in che termini sia legittimo barattare la privacy dei singoli cittadini con l’ambizione – e niente più di questo – a un maggior livello di sicurezza.
Tre le domande poste ai partecipanti alla discussione su Facebook e poi riecheggiate in Parlamento ieri: acconsentireste a che la polizia scansioni il vostro volto tra la folla per verificare che non siete un criminale? L’evoluzione tecnologica nel settore del riconoscimento facciale e dell’intelligenza artificiale vi fa sentire più tranquilli o più preoccupati rispetto all’uso del riconoscimento facciale da parte dello Stato? E poi l’ultima: siete preoccupati in relazione all’uso che lo Stato può fare di queste tecnologie?
Due, naturalmente, come di consueto in questo genere di discussioni le posizioni contrapposte tra i cittadini e gli utenti come in Parlamento.
Una prima secondo la quale chi non ha niente da nascondere non dovrebbe essere preoccupato della circostanza che la polizia utilizzi questo genere di soluzioni tecnologiche e, anzi, dovrebbe concordare sull’opportunità di usarle in maniera sempre più incisiva se utili a garantire maggior sicurezza.
Una seconda secondo la quale la privacy viene prima e non c’è ambizione alla sicurezza che possa giustificare un utilizzo generalizzato e indiscriminato del riconoscimento facciale da parte della polizia anche perché non dovrebbe essere un cittadino a lasciarsi scansionare il volto per “provare” di non essere un criminale ma la polizia a dover provare che qualcuno è un criminale prima di comprimere così tanto il suo diritto alla privacy.
Ed è stata – e si tratta di una conclusione non scontata – questa seconda tesi a prevalere decisamente tra le centinaia di commenti arrivati sulla pagina Facebook della Camera dei Comuni, lasciando la prima tesi – quella del “male non fare, paura non avere” – in netta minoranza.
Un epilogo sensibilmente diverso, senza grandi sorprese, rispetto a quello registrato, in analoghe discussioni, all’indomani degli attentati terroristici che, negli ultimi anni, hanno funestato l’Europa.
Questo, a conferma, che certe questioni tanto centrali nel governo della società nella quale viviamo vanno affrontate lontano dai momenti di emergenza, dai giorni dell’emozione e dal contingente e, quando, i pro e i contro di ogni decisione possono essere valutati, analizzati e ponderati a mente lucida, guadando al futuro più che al passato, con la mente e l’anima sgombre da paure e preconcetti tanto umani quanto controproducenti in un processo di regolamentazione.
Un esempio da imitare quello londinese, nel metodo e nel merito, perché il dibattito sulla relazione – peraltro niente affatto antitetica per definizione come spesso si commette l’errore di credere – tra privacy e sicurezza va ripreso, sviluppato e affrontato anche da noi.