Anche questo lunedì, nella nostra rubrica sul futuro del lavoro, torniamo a parlare del settore automobilistico. In questo ambito, infatti, più che in altri è visibile e già concreta la trasformazione in atto, come risultato dell’automazione di massa, che abbiamo raccontato in questo video.
Oggi vi portiamo dunque in Slovacchia, sollecitati da un articolo pubblicato dal Corriere della Sera proprio in questi giorni. La Slovacchia è entrata nell’Unione Europea nel 2004 e nell’euro quattro anni più tardi. Oggi è il paese con la più alta produzione di auto procapite al mondo, tanto da essere stata definita la Detroit sul Danubio. L’industria automobilistica rappresenta il 12% del PIL e il 44% della produzione industriale. La Volkswagen è stata – fino ad ora – il più grande datore di lavoro privato della Slovacchia, contribuendo al Pil del paese per l’1%. Grazie alla presenza di grandi gruppi come Volkswagen, PSA e Kia Motors che hanno stabilito qui impianti produttivi all’avanguardia che assemblano principalmente auto con motori a combustione, l’industria automobilistica è la spina dorsale dell’economia slovacca, impiegando oltre 13 mila persone nella produzione di Touareg SUV, Audi Q7s e Porsche Cayennes, quasi tutti destinati al mercato statunitense.
Qui è presente un robot ogni 13 lavoratori e le fabbriche, tutte nate negli ultimi 15 anni, sono tra le più avanzate al mondo in quanto a produzione e hanno dato vita a un indotto importante. Il 40% dei fornitori di parti e componenti infatti è rappresentato da aziende locali. Si direbbe tutto bene, insomma. Eppure non è così.
Volkswagen Slovakia, infatti, sta licenziando 3.000 lavoratori solo nello stabilimento di Bratislava, nonostante la produzione nel 2018 sia stata di 1,08 milioni di veicoli e la previsione per il 2019 sia di 1,15 milioni. E se è vero che Jaguar Land Rover ha annunciato che produrrà la prossima generazione del Land Rover Defender nel suo stabilimento in Slovacchia, in cui produce già la Land Rover Discovery, ha anche annunciato il taglio di 5.000 posti di lavoro a livello globale, circa un decimo del totale dei suoi dipendenti, come parte di un programma di riduzione dei costi di 2,5 miliardi di sterline.
La preoccupazione che attraversa tutti i reparti di questi produttori è l’auto elettrica, come ha dichiarato Patrik Krizansky, direttore della SEVA, Associazione slovacca dei veicoli elettrici. In Slovacchia, nonostante la netta dipendenza dal settore automobilistico, la presenza di veicoli elettrici è sotto la media dell’UE e gli investimenti in ricerca e sviluppo sono scarsi. “Siamo un paese industriale – ha dichiarato Jn Pribula, segretario generale Zap, l’associazione dell’industria automobilistica slovacca – ma il 75% degli investimenti nel settore è nelle mani degli stranieri: il nostro futuro dipende dalle sue decisioni”.
Secondo l’ultimo rapporto sulla e-mobility di Modis, infatti, la mobilità elettrica caratterizzerà il 65% del comparto nei prossimi tre anni. La sfida per la Slovacchia è dunque riuscire a mantenere la produzione sul proprio territorio, convertendo le fabbriche e quindi i lavoratori alla produzione di veicoli elettrici. Una sfida non da poco.
Il passaggio alla produzione di componenti elettronici comporterà un risparmio in termini di manodopera di circa il 40% e a essere richiesti saranno soprattutto figure altamente specializzate. Oltre agli esperti IT, infatti, saranno necessari meccanici specializzati nell’elettrico. Sarà necessaria una riconversione rapida e di massa.
Uno dei problemi della Slovacchia, infatti, è proprio la carenza di manodopera specializzata e così il governo ha già avviato una riforma dei programmi scolastici in modo che il paese resti competitivo per il settore automobilistico e lo sta facendo in collaborazione con i principali attori del settore: Volkswagen, PSA Peugeot Citroen e Kia Motors. “Formare e preparare una forza lavoro qualificata e fare in modo che si possa trasferire i risultati della scienza e della ricerca alle applicazioni e alle innovazioni nel settore è fondamentale per mantenere qui la produzione di automobili del futuro”. In effetti, il settore automobilistico è stato uno dei principali motori della nuova legge sulla doppia istruzione, entrata in vigore l’anno scorso e disciplina la possibilità di unire la formazione teorica con la pratica nelle aziende del settore automobilistico.