Di seguito il mio intervento alla Camera dei Deputati sul consiglio Europeo
Grazie presidente, il consiglio europeo del 20 e del 21 giugno è molto importante, è il primo con il nuovo assetto delle istituzioni europee dopo le elezioni appena passate. Saranno a decidere i membri della commissione europea, tra qualche mese si dovrà parlare anche della presidenza della Bce e dovrà essere adottata l’agenda strategica dell’Unione Europea per il 2019-2024. A tutto questo si affianca quello che è su tutti i giornali, ovvero la procedura d’infrazione per il nostro Paese, dovuto a un rapporto debito/pil eccessivo relativa all’anno 2018. Storicamente l’Italia ha sempre avuto un rapporto debito/pil molto alto: in tal caso appunto parliamo del 2018 in cui non abbiamo nemmeno fatto la legge di bilancio perché ancora c’era la legge di bilancio precedente, ma non voglio dire che è colpa del governo precedente, perché qui in realtà è un fattore storico del nostro Paese che questo debito sia così alto, soprattutto il rapporto debito/pil. Viene suggerita la possibilità da parte dell’Europa di utilizzare l’austerità per ridurre questo rapporto. Ora non voglio riportarvi a scuola, ma essendo un rapporto debito/pil bisogna decidere: o si va a ridurre il debito o si va ad aumentare il pil per ridurre il rapporto stesso.
Si è cercato di ridurre il debito con l’austerità e qual è stato il governo principale che ha cercato di farlo? Il governo Monti. Se andiamo a vedere il rapporto debito/pil del governo Monti, a fine 2011 quando si è insediato era nel 116,5 %. A fine 2013, dopo le manovre lacrime e sangue, è salito al 129 %. Questo significa che (lo vediamo dai numeri) l’austerità per ridurre questo debito/pil come ci chiede l’Europa è sbagliato, è addirittura folle! Lo dimostra quello che ha già passato il nostro Paese, perché c’era qualcuno che diceva che era sbagliato fare lacrime e sangue, però qualcun’altro diceva “è l’unico modo per ridurre questo rapporto”. Vediamo che effettivamente non è così, quindi questa non è la strada da intraprendere.
Serve dialogo a questo punto, il dialogo è importante per rimettere in discussione certi paradigmi e certi parametri europei: è sotto gli occhi di tutti che stare più attaccati a quelli che vengono definiti “zero virgola”, ovvero stare più attaccati al 3 % deficit/pil perché 4 % è troppo e 2 % è poco! Tutti questi paradigmi e parametri europei sono deleteri per i singoli stati sovrani e questo è un dato di fatto: dobbiamo andare lì, non dobbiamo fare uno sconto, bisogna dialogare perché sono certo che il presidente del consiglio sarà assolutamente in grado di farlo perché è un abile negoziatore, dovremo riuscire a portare avanti il bene del paese e di tutti quei paesi che oggi dalle regole europee sono discriminati.
Dobbiamo salvare l’Europa da se stessa: le attuali regole fiscali stanno conducendo l’intera area euro verso un vicolo cieco. Da una parte i tassi di interesse negativi introdotti dalla Bce, che a quanto pare rimarranno in essere per un periodo di tempo prolungato come ha paventato ieri Mario Draghi, stanno comprimendo la redditività delle banche europee; dall’alto il modello di crescita basato solo sulle esportazioni ha portato le economie dei paesi che adottano l’euro ad essere dipendenti dal resto del mondo. Se l’economia mondiale rallenta come sta avvenendo oggi, anche l’Europa rallenta di conseguenza, pertanto senza il paracadute di una politica fiscale espansiva da utilizzare nei periodi di rallentamento globale, il modello di governance economica dell’unione monetaria mostra oggi tutta la sua illogicità e ogni richiesta basata su questo modello non può che essere illogica. Lo dicono i dati, ma ormai anche gli economisti più ortodossi.
Quello che mi preoccupa oggi è vedere che oltre i problemi che abbiamo all’interno dell’unione europea che sono sotto gli occhi di tutti, abbiamo anche il riproporsi di tensioni internazionali. Giusto ieri il presidente degli Stati Uniti, ovvero un partner storico dell’Europa, va a creare questa tensione fortissima con Mario Draghi dopo le parole di quest’ultimo, ma se nuove tensioni con un partner storico e strategico si affacciano all’orizzonte anche a causa di quelle politiche europee che dopo aver destabilizzato le economie dei paesi membri oggi destabilizzano anche l’economia mondiale, io dico che questo intervento della quantitive easing, il “bazooka” di Draghi, è necessario per quella che è la situazione attuale. Ma la situazione attuale è dovuta proprio alle politiche di austerità che hanno ridotto la domanda interna, costringendo i singoli Paesi per andare avanti, per tirare a campare, per andare avanti con l’economia, ad aumentare l’export. Questo tipo di politica fiscale funziona fino a un certo punto, anzi, ora ne vediamo tutti i limiti.
Nel consiglio europeo che ci sarà a breve si parlerà di vari punti. Uno di questi, a noi molto caro, è quello dell’ambiente. Perché oggi siamo tutti bravi a parole, si parla tanto dell’ambiente, si fanno manifestazioni, poi azioni concrete se ne fanno poche. Voglio dirvi che bisogna fare la lotta ai cambiamenti climatici, la riconversione ecologica, la cura del pianeta: queste devono essere le vere priorità. Invece vedo che le priorità principali sono l’austerità e gli “zero virgola”. Noi potremmo essere ricordati un giorno come un’Europa miope, che pensa appunto al deficit, al debito, e non pensa a quello che poi realmente sarà fondamentale, ovvero il benessere del pianeta. Non è un discorso da figli dei fiori: i cambiamenti climatici in questo momento ci sono realmente. Io vorrei che tutti noi potessimo lasciare ai nostri figli un pianeta non devastato, con un’aria irrespirabile o con acqua non più disponibile per i nostri popoli, per le persone. Quindi credo che da questo punto di vista sia molto importante capire che non si può andare a fare una riconversione ecologica e al contempo puntare sull’austerità. Sono due concetti molto complicati, perché se tu devi fare degli investimenti per la riconversione ecologica non puoi pensare allo stesso tempo di rispettare tutti i parametri che esistono oggi. Per questo dobbiamo sicuramente ridiscuterli questi parametri se vogliamo realmente fare qualcosa nel nostro pianeta e non limitarci alle parole, alle chiacchiere e alle manifestazioni.
Concludo con due parole sul meccanismo europeo di stabilità: avallare nella sua forma attuale la riforma del trattato al punto del Mes significherebbe legittimare proprio quelle stesse regole fiscali che stiamo criticando da anni. Nello specifico l’attuale bozza di riforma del trattato prevede che l’accesso alle linee di credito precauzionali per gli Stati richiedenti sia subordinata al rispetto di parametri fiscali come il rapporto deficit/pil non superiore al 3 %, il saldo strutturale pubblico in pareggio o al di sopra del parametro di riferimento richiesto al singolo Paese, un rapporto debito pubblico/pil al di sotto del 60 % o in caso di valori superiori a tale soglia che il rapporto sia ridotto di un ventesimo in media nei due anni che precedono la richiesta. Sulla base di questi tre parametri, ad esempio, ci sono otto paesi dell’area euro (tra cui l’Italia) che sarebbero esclusi dalla possibilità di richiedere assistenza al Mes, a meno che non firmino un memorandum che di fatto commissionerebbe il Paese. Noi non possiamo accettare che si tracci una riga che distingue fra Stati di serie A e Stati di serie B in base ai soliti parametri di politica fiscale che stanno tenendo in ostaggio l’Europa. Ecco perché sul Mes l’Italia dovrebbe farsi sentire a gran voce e con inflessibilità. Non si deve procedere oltre su questa riforma se nello stesso momento non vengono affrontati seriamente due altri dossier decisivi: l’assicurazione europea sui depositi bancari e il bilancio unico dell’eurozona. Per quanto riguarda il primo è evidente che non si può continuare a irrigidire i paletti sui crediti deteriorati delle banche senza pianificare in tempi certi una condivisione dei rischi a livello dell’intera unione, sul secondo serve maggiore apertura nei confronti di quelle proposte che vorrebbero istituire fondi di stabilizzazione all’interno del bilancio dell’eurozona in caso di crisi dei singoli Paesi.
L’Europa del prossimo futuro dovrà essere necessariamente una comunità solidale, altrimenti andremo solo ad alimentare la disfunzionalità dell’attuale architettura.